A 80 anni dalla promulgazione delle Leggi razziali – quando il Duce diede il via, nero su bianco, al razzismo di Stato contro gli ebrei – bisogna fare presto per raggiungere gli ultimi testimoni di una storia che spesso si tende a dimenticare, a fare finta di non vedere o a svendere alla cosiddetta “post-verità”, in un momento in cui è più facile mischiare i piani e approfittarsi di malessere e ignoranza per dire no, in fondo è stata tutta una montatura.

“1938 – Quando scoprimmo di non essere più italiani” è un film documentario di Pietro Suber che, attraverso testimonianze dirette di vittime e persecutori, racconta gli eventi che portarono dalle leggi antiebraiche alla deportazione degli ebrei italiani (1943-45). Una cosa impensabile fino alla promulgazione di queste nefaste leggi, a detta di alcuni sopravvissuti, perché anche tra gli ebrei vi erano fascisti convinti e sostenitori del Duce come pure ebrei morti a Caporetto proprio in nome della “italianità”. E allora tutto d’un tratto lo choc delle leggi razziali: gli ebrei non sono italiani e quindi di anno in anno “razza ebraica” è l’etichetta che appare su pagelle scolastiche o elenchi di vario tipo dello Stato fascista italiano e così per tanti cittadini di religione e cultura ebraiche è l’inizio dell’incubo.

Il documentario è in programma in preapertura alla Festa del Cinema di Roma – il 15 ottobre in anteprima mondiale – e farà un piccolo tour in alcune città italiane per approdare poi in prima serata su Rai 1 a metà novembre, una produzione Blue Film con Rai Cinema e Istituto Luce – Cinecittà. Pietro Suber, giornalista e documentarista di lunga esperienza, si avvale della consulenza storica di Amedeo Osti Guerrazzi per mettere insieme testimonianze preziose, immagini d’archivio, documenti d’epoca pubblici e privati, ricordi di resistenza e solidarietà tra il Ghetto di Roma, Ferrara, Fiume, i volti delle vittime e dei delatori. Ne viene fuori un documento utile da far conoscere ai ragazzi nelle scuole, soprattutto per quando alcuni di questi testimoni non ci saranno più a descrivere l’ordinarietà dell’orrore, la propaganda, le invenzioni, tutto il terreno di coltura che ha portato a leggi tanto ignobili quanto insensate.

L’indagine sul campo del regista si chiude con uno sguardo alla contemporaneità: le sfilate di CasaPound e Forza Nuova, le magliette nere, i simboli fascisti e le interviste a ragazzi poco più che ventenni che ripetono oggi a cantilena concetti e giustificazioni già sentiti, appunto negli anni 30 del secolo scorso. Il film narra cinque storie iniziando con la famiglia Ovazza, ebrei fascisti che furono massacrati sul lago Maggiore nell’autunno del 1943, passando per l’affascinante personaggio conosciuto come il “Moretto”, un ebreo del Ghetto di Roma, che decise di ribellarsi e lottare a viso aperto contro i fascisti e riuscì a salvarsi flirtando con la nipote di un collaborazionista del regime. Poi c’è la vicenda di Franco Schonheit e dei suoi genitori, tutti e tre sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti. Emerge il suo dolore composto e dignitoso e quel senso di colpa che mai lo ha abbandonato per essersi salvato: “Perché io sì e altri innocenti no?”

Il film documentario ripercorre anche la vicenda di un’ebrea di Fiume che si salvò nascondendosi in casa di un incisore che lavorava per il Vaticano, dove le SS non potevano entrare. Poi c’è la storia di una famiglia romana di presunti delatori fascisti accusati di aver denunciato i vicini ebrei ai tedeschi.

In questo lavoro di Suber, rigoroso e appassionato, c’è materiale per una profonda riflessione sulla memoria e su come fare per custodirla a ottant’anni anni di distanza dal Manifesto della razza e dalla promulgazione delle leggi antisemite. A cominciare dalla cancellazione dei nomi degli scienziati firmatari o presunti tali del famigerato Manifesto presenti ancora nella toponomastica italiana e che il Comune di Roma sostituirà presto come ha annunciato – in un’intervista concessa proprio per il documentario – la sindaca Virginia Raggi, così che la Capitale sia d’esempio per le altre città italiane. “1938 – Quando scoprimmo di non essere più italiani” è anche il tentativo di spiegare cosa accadde nel nostro Paese, dove una stragrande maggioranza di italiani non aderì alle leggi razziali, ma nemmeno vi si oppose.

Antonella De Biasi, giornalista professionista freelance. È stata redattrice del settimanale La Rinascita. Ha scritto La Spa nell’orto (Ultra – Castelvecchi 2014) e curato il vademecum Il mio nome è ROM. Tutto ciò che devi sapere per non chiamarli “zingari”, con il contributo del programma “Fundamental Rights and Citizenship” dell’Unione Europea