San Nicandro Garganico (da https://www.gargano.it/localita/san-nicandro-garganico/)

Questa è la storia strana e anche assurda di un gruppo di persone umili e analfabete che, in pieno ventennio fascista e negli anni delle leggi razziali, decidono di autoproclamarsi ebrei, orgogliosi di portare una stella sul petto e desiderosi di essere riconosciuti appartenenti alla religione ebraica.

A San Nicandro Garganico, nel subappennino Dauno, in provincia di Foggia, una mattina del febbraio 1936 due messi notificatori del Tribunale penale bussano alla porta di Donato Manduzio, bracciante noto con il soprannome “Caccabra”, (faccia di merda), unica eredità paterna. Ad aprire è la moglie che, solo dopo essersi assicurata non siano agenti delle tasse, li invita a entrare. Eppure, quale sconforto l’assale scoprendo che recano la notifica di una multa di 250 lire a carico del coniuge! La donna inizia a imprecare e a contestare: «Ma come può essere che mio marito ha fatto qualcosa, se è paralitico e trascorre tutto il tempo a casa! S’è ammattito quel cornuto del giudice di Foggia!». Gli ufficiali giudiziari ci mettono del bello e del buono per cercare di farla ragionare. Finalmente, dopo molto tempo, riescono a spiegare che la multa è frutto delle riunioni religiose tenute in casa dal suo consorte. «Cosa c’è di male?», domanda la donna. Il male sta nella decisione di Donato di proclamarsi ebreo e di aver fatto proseliti tra la popolazione del paese.

I prodromi alla conversione

Donato Manduzio, classe 1885, era nato a San Nicandro Garganico [1] da una famiglia di senza terra. Come la maggioranza dei concittadini, le umili origini e la vita dura in quella zona economicamente depressa gli avevano impedito di frequentare la scuola. Così, per aiutare la famiglia, appena in età di tenere una zappa in mano, era stato avviato al lavoro nei campi. Si era sposato con Emanuela Vocino, anche lei figlia di poveri contadini. La coppia non aveva avuto figli. Nel 1915, all’entrata dell’Italia nella Grande guerra, Donato era stato chiamato al fronte con il 94° reggimento Fanteria. In prima linea si era ammalato ed era rimasto mesi in ospedale, per essere poi dimesso con un certificato d’invalidità permanente che gli aveva consentito di percepire la pensione di guerra. Praticamente analfabeta, durante la lunga degenza aveva imparato a leggere e scrivere, seppur in maniera elementare. Tornato a San Nicandro nel 1918, si dedicato alla lettura e per le mani gli era finita una copia in italiano della Bibbia [2], regalatagli da un vicino di casa, un pentecostale [3], con l’intento di convertirlo.

Donato Manduzio (https://it.wikipedia.org/wiki/Donato_Manduzio#/ media/File:Donato_Manduzio.JPG)

Manduzio si era appassionato alla lettura delle Sacre scritture, rilevando però incongruenze fra il dettato del Vecchio testamento e i principi dei riformati, prima tra tutte il mancato rispetto del sabato. Per questo motivo aveva rifiutato la proposta di proselitismo dei pentacostali e degli evangelisti attivi nel territorio sannicandrese e nel 1928 si era autoproclamato ebreo, riuscendo pure a convertire 8 abitanti del paese [4]. In breve tempo, la popolazione locale li battezza i “sabbatici”, perché non lavorano di sabato. A farli riconoscere sono le liti che scoppiano in quel giorno di ogni settimana nelle famiglie miste tra mariti che tornano dai campi, e sperano di trovare la cena pronta in tavola, e le mogli che si astengono da qualunque attività [5]. Il sabato, la comunità si riunisce e “recita il Paternoster in italiano e a bassa voce, segue a cura di uno dei convenuti una lettura ad alta voce della Bibbia oppure uno dei discorsi del Pentateuco, poi commentato elementarmente” [6]. Si continua intonando canti sia religiosi sia politici (l’Inno di Mameli, la Marcia Reale). Gli uomini durante la funzione stanno in ginocchio, le donne hanno il capo coperto. Manduzio, oltre a svolgere l’attività di guida e di predicatore, assume il ruolo di guaritore [7], esercitandolo non solo tra i convertiti, aumentando il suo prestigio personale e quello del gruppo di fedeli.

La scoperta dei fratelli ebrei italiani

Manduzio apprende dell’esistenza di comunità ebraiche sul territorio nazionale da un venditore ambulante, che gli rivela la presenza di sedi a Genova, Napoli e Torino. La notizia lo rallegra e lo rincuora; decide di scrivere loro per farsi riconoscere come comunità ebraica e chiedere notizie sulle pratiche religiose. Da Torino gli rispondono consigliando di rivolgersi all’Ufficio generale di Roma. Manduzio esegue e scrive all’«Eccell.mo Commentatore capo comunità Israelitica di Roma». Dalla Capitale però, silenzio assoluto [8]. Manduzio non si arrende [9] e insiste nel mandare missive, ma niente! Più la risposta si fa aspettare e più aumentano le lettere inviate. Il rabbino capo della Comunità ebraica romana, Angelo Sacerdoti [10], dapprima pensa si tratti di un mitomane, poi invita l’amico e collega Alfonso Pacifici [11] a valutare il caso. Questi giunge alla conclusione che potrebbe trattarsi di un caso «d’inconscio marranesimo» [12] e che per «saggiare la serietà di questi tali» si deve inviare sul posto una persona di fiducia. L’incaricato è Giorgio Sessini. Manduzio interpreta la notizia come un riconoscimento della sua comunità e attende trepidante dell’arrivo del signor «Sirsillo». Nel gennaio ’32, Sessini trascorre una giornata con il gruppo, assiste alle loro pratiche, ascolta le motivazioni della conversione di Manduzio, raccoglie le sue richieste e promette di far pervenire materiale in italiano che possa consentire agli aspiranti fedeli di diventare veri ebrei. L’entusiasmo è alle stelle. Il rabbino capo Sacerdoti però temporeggia. Alla fine, leggermente irritato, informa il gruppo che il materiale esiste unicamente in ebraico; propone quindi che due o tre persone si rechino a Roma o a Firenze per impratichirsi dei riti e degli usi ebraici per poi riportarli a tutta la comunità. Ma a San Nicandro sono tutti poverissimi e nessuno può permettersi una… «vacanza studio». Tuttavia Manduzio torna alla carica: la Pasqua è vicina ed insiste sulla necessità di apprendere pratiche e regole del culto, per poter celebrare adeguatamente la ricorrenza. A quel punto Sacerdoti chiede conto, con tono severo, di «come mai lei e i suoi amici, che non avevano mai avuto contatti con ebrei e pertanto ben poco dovessero comprendere e sapere cosa sia l’ebraismo, era venuta questa convinzione? (…). Sono necessari lunga preparazione e studio profondo (…)». Non bisogna avere «fretta ansiosa», l’ebraismo non cerca proseliti e accetta i convertiti solo quando «sia evidente la necessità di farlo: occorre soprattutto che gli aspiranti siano preparati, maturi ed edotti del credo ebraico»; in ogni caso la decisione di ammetterli nella comunità spetta solo «al capo religioso, la cui decisione non può essere forzata». Un modo molto educato e semplice per dire a Manduzio e al gruppo di non ostinarsi nel tempestarlo di richieste e, soprattutto, di non insistere nell’idea di proclamarsi ebrei. Sacerdoti comunica però che nei mesi seguenti invierà un’altra persona per spiegare riti ebrei e significato delle festività. Manduzio non riesce a capacitarsi: il rabbino capo li vuole consapevoli della cultura ebraica eppure non fornisce strumenti; proclama interesse, ma non vuole si dicano interessati.

Nell’ottobre 1932, arriva a San Nicandro il conte Federico Luzzatto, studioso delle origini di varie comunità ebraiche e membro dell’Organizzazione delle associazioni culturali ebraiche in Italia. In paese è festa per la seconda volta, si crede e ci si convince che ciò rappresenti un segno di riconoscimento da parte della Comunità centrale di Roma. Non è così. Sacerdoti è preoccupato che il caso del territorio foggiano coinvolga e travolga l’intera comunità ebraica a livello nazionale. Luzzatto riferisce che i «neo-convertiti rispettano il sabato, non mangiano carne di maiale e anguilla anche se comprano la carne dal macellaio del paese [13]» (avrebbero dovuto acquistarla da un shochet, un «macellaio rituale», che uccida l’animale con rispetto e compassione [14]). Aggiunge Luzzatto che a Pasqua gli aspiranti religiosi avevano mangiato le azzime inviate da Sacerdoti; che «vogliono una maggiore istruzione nella fede ebraica e hanno espresso il desiderio di circoncidersi» e che avevano chiesto: un lunario ebraico; un sillabario ebraico-italiano per l’apprendimento della lingua, testi semplici come quelli in uso nelle scuole elementari; articoli della legge sul matrimonio; l’esenzione dei bambini dall’insegnamento a scuola della dottrina cattolica; spartiti di musiche sacre e copie della Rassegna Mensile d’Israel. Un mese dopo, Sacerdoti invia una lampada per il sabato e un calendario ebraico, animando di gioia la comunità. Finalmente erano ebrei! In seguito però altro silenzio. Manduzio riprende ad assillare il rabbino. Sacerdoti risponde solo a novembre: sta partendo per Gerusalemme e ogni decisione va rinviata al suo ritorno; nel frattempo, il consiglio è di leggere e apprendere i testi della Genesi, dell’Esodo, del Levitico, del Libro dei numeri, il Deutoronomio e i dieci comandamenti, basilari per comprendere lo spirito e il pensiero ebraico.

Sacerdoti, in realtà, non intraprenderà mai il viaggio, morirà improvvisamente nel febbraio ’35. A San Nicandro la notizia arriva solo molto tempo dopo, suscitando l’indignazione di Manduzio perché nessuna comunità sorella ha ritenuto opportuno farli partecipi del lutto. A risollevare gli animi è l’annuncio di una terza visita a San Nicandro: a incontrare il gruppo sarà il famoso studioso polacco Jacques Faitlovich [15]. L’insigne ospite promette testi e suggerisce di mandare il figlioletto di uno dei convertiti, Francesco Cerrone, a studiare in un collegio ebraico svizzero, a Bex les Bains, vicino Losanna, per apprendere la lingua e la cultura. Conseguenza: il direttore Ascher dell’istituto si ritrova sommerso di lettere del padre del ragazzo. Il responsabile del convitto conferma la disponibilità ad accogliere un bambino di 11-12 anni, «in seguito anche due», ma evidenzia come le leggi elvetiche sull’immigrazione non facilitano l’ingresso di stranieri. Trascorrono altri due anni, nonostante Ascher ribadisca la volontà di accogliere il piccolo discepolo, la cosa non si concretizza; infine, nel febbraio 1936, consiglia il genitore di emigrare «in Terra d’Israele», cioè la Palestina del Mandato britannico [16], in cui si sta costituendo una colonia ebraica attraverso l’acquisto di terreni da riservare agli immigrati europei.

«Figli di Noè» e non «d’Israele»

La comunità si sente tradita, abbandonata. Manduzio, in qualità di capo dei fedeli, espone il malessere ad Alfonso Pacifici. Questi replica che, pur avendo il gruppo dimostrato «sincerità e desiderio di conversione», possono considerarsi «figli di Noè», ma non «figli d’Israele» dal momento che il cammino per potersi fregiare del titolo è lungo e arduo ed è necessario imparare quali sono «i doveri di ogni figlio d’Israele». Manduzio non comprende la differenza e ribadisce: «sappiamo per rivelazione divina di essere più che israeliti, discendiamo dal terzo ramo di Giacobbe e direttamente da Levi. Ci troviamo fuori da Israele solo per i peccati a causa dei quali siamo stati scacciati e perseguitati dai nemici di Dio». Conclude con un’annotazione: «se dite che siamo fuori d’Israele, allora questo è un segno che voi non riconoscete la rivelazione divina, della quale siamo stati i soli destinatari prediletti». A questo punto, Pacifici interrompe ogni scambio epistolare.

Il ministro degli Interni Guido Buffarini Guidi

«Attenti a San Nicandro!»

Ed eccoci al febbraio 1936 e all’arrivo nella cittadina pugliese dell’ammenda da pagare. È frutto della circolare del 18 novembre 1935 [17], firmata dal ministro degli Interni Guido Buffarini Guidi [18], che prevede «tolleranza zero» nei confronti dei «pentacostali, o pentecostieri o neumatici o tremolanti come sono diversamente conosciuti» perché si dedicano «a pratiche religiose contrarie all’ordine sociale e nocive dell’integrità fisica e psichica della razza». Si tratta del programma per «nazionalizzare la religione cattolica», il primo passo per l’emanazione delle leggi razziali del settembre 1938. Manduzio chiede chiarimenti e aiuto alle comunità ebraiche. Risponde, da Firenze, Raffaele Cantoni [19], che s’interessa al caso e decide di recarsi personalmente a San Nicandro. Manduzio è scettico, troppe delusioni ha dovuto sopportare la sua comunità, troppe promesse non mantenute. Ma deve ricredersi, Cantoni reca i candelabri, i tallet (gli abiti con le frange prescritti) per ogni componente della comunità, affitta a sue spese un luogo di culto più grande e consono, va dal podestà dichiarando che la multa è illegittima, dal momento che si tratta di un gruppo di «ebrei» e la legge parla di «protestanti». Il podestà tranquillizza Cantoni: ha chiesto la revoca della multa e l’autorizzazione per far esercitare il culto nella casa in affitto. La Comunità si ricrede, finalmente fatti concreti.

Quello che Manduzio e i suoi seguaci non sanno è che Cantoni è nel mirino dell’Ovra [20], la polizia politica segreta fascista, perché «secondo notizie fiduciarie stava viaggiando per tutta Italia con lo scopo di svolgere subdola opera di diffamazione e disfattismo contro il Regime». Di conseguenza la sua visita a San Nicandro accende i riflettori sulla comunità, che da questo momento non viene più persa di vista dall’Ovra. Cantoni intanto cerca di aiutare il gruppo interessando l’amico Enrico Emilio Franco, docente di urologia a Bari. Il professore è stupito, è stato per cinque anni nel capoluogo pugliese e mai ne ha sentito parlare; rammaricandosi di non poter contribuire personalmente, perché in via di trasferimento all’ateneo di Pisa, suggerisce il nome di altro correligionario e medico: Tullio Zappler. Cantoni gli scrive, espone l’esistenza di persone che da anni «vogliono divenire ebrei, e da molto tempo studiano ed intendono avere la circoncisione come primo e inconfondibile segno della nuova fede. Ella ha già capito dove io voglio arrivare. Ella dovrebbe presentarsi a compiere la grande Mizwa [21] (…), sono esseri che aspettano da noi la luce della verità e della libertà dello Spirito».

Mentre la comunità sannicandrese sembra aver trovato un varco per appartenere ufficialmente alla religione ebraica, nubi funeste si stagliano, anche in Italia, contro “i figli delle dodici tribù”. Del luglio 1938 è il Manifesto degli scienziati razzisti, cui fanno seguito, tra settembre e novembre, una serie di leggi e decreti: le leggi razziali. Ovviamente aumentano i controlli di polizia sul piccolo gruppo. Il podestà convoca Francesco Cerrone, ritenendolo il capo del gruppo. Questi nega la conversione dietro cessione di denaro e aggiunge che la comunità non può ricevere soldi fino al riconoscimento. Il podestà conclude il suo rapporto stabilendo che «il movimento di San Nicandro è d’importanza assai limitata». Nonostante tutto, a Roma, il governo decide di aprire un’indagine formale sul caso e, attraverso l’ambasciata italiana presso la Santa Sede, inoltra un memorandum “riservato” al cardinale Eugenio Pacelli, Segretario di Stato e futuro papa Pio XII.

Il rapporto è costruito ad arte, ignora i rapporti del podestà. Riferisce che i componenti del gruppo hanno condanne penali, uno addirittura a ventidue anni di prigione per diserzione. Alla religione ebraica erano stati «attratti dalla mira di qualche lucro». L’ufficio della Santa Sede inoltra il memorandum al vescovo di Lucera, monsignor Giuseppe Di Girolamo, che a sua volta chiede notizie al parroco della cittadina. Il sacerdote conferma che da diversi anni ci sono «dei fanatici delinquenti, i quali si camuffano nel nome di Sabbatini e che si dicono seguaci della religione israelitica»; il capo è Cerrone, uomo di «basso conio, zoppo, delinquente». Il curato lamenta inoltre che i carabinieri non hanno ravvisato alcun reato, nonostante le segnalazioni reiterate, e per questo s’era rivolto alla polizia, che però aveva concluso essere solo «quattro cenciosi miserabili e irresponsabili» per cui non v’era niente di pericoloso. Conclude rassicurando il vescovo che il gruppo «è molto ristretto ed non esplica attività, salvo qualche rara riunione in qualche casa privata». Il vescovo invia una relazione al Segretario di Stato ed esprime la speranza che l’attenzione prestata dal governo possa estirpare la mala pianta delle sette.

La Segreteria di Stato ritrasmette la relazione al governo fascista, ma modera i toni: i delinquenti iniziali diventano «certe persone che seguono un culto non cattolico». Il ministero degli Interni, in base alla circolare emanata il 22 agosto 1939, riguardante i pericoli delle sette, decide così di chiedere maggiori informazioni al prefetto di Foggia. Questi riprende gli incartamenti di polizia e, senza chiedere ulteriori indagini, relaziona direttamente ad Arturo Bocchini [22], capo della polizia e caro amico. Il prefetto indica come capo del gruppo Francesco Cerrone, «convertitosi con la speranza di poter trarne una qualche utilità economica». Ironia della sorte, in quel periodo, Cerrone è in conflitto con Manduzio e vuole uscire dal gruppo. In aggiunta, il prefetto, fedele alle direttive di «sua Eccellenza il Duce», decide di chiedere al podestà di estendere le leggi razziali anche alla comunità di San Nicandro. Risultato: Cerrone viene sfrattato da casa perché, in quanto ebreo, non può abitare in un quartiere ariano. «Anche a scuola – ricordava Elezier Tritto, un componente del gruppo, scomparso nel 2018 – i fascisti ci davano fastidio. Maestri e direttori erano fascisti, tutti i ragazzi ebrei li mandavano via con la scusa che ci facevamo il segno della croce nel Tempio della preghiera». Inoltre gli appartenenti al gruppo indossano la stella, per loro segno di orgoglio e di prestigio. Manduzio non comprende però cosa sta accadendo, subissa le varie comunità ebraiche alla ricerca di una risposta, fino a quando apprende delle persecuzioni, delle deportazioni e della condanna al confino, alle isole Tremiti, del filantropo Cantoni. Neppure i membri del gruppo riescono a capire quali siano le ragioni di tanto odio e di tanto accanimento nei confronti degli ebrei.

A San Nicandro arriva la Reshet

Il 10 giugno 1940 Mussolini dichiara guerra alla Francia e all’Inghilterra. San Nicandro vive di striscio il conflitto, almeno fino al maggio 1943, quando gli Alleati iniziano a bombardare i campi d’aviazione di Foggia e la città. Le incursioni aeree proseguono fino al 25 agosto, provocando ben 20.000 morti tra i civili. Del luglio è lo sbarco angloamericano in Sicilia e poi il rapido risalire fino in Puglia.

Nelle settimane precedenti lo sbarco, però, i tedeschi, si sono spinti fino a San Nicandro in cerca di commilitoni aviatori abbattuti. Il podestà avverte gli “ebrei” di nascondere la stella e ogni altro simbolo ebraico. Forse per una spiata o forse solo per chiedere informazioni, alcuni ufficiali della Wermacht entrano in casa di Manduzio e vi restano oltre un’ora. Il contadino, si sa, non ha imboscato né simboli né oggetti ebraici e tra la popolazione l’ansia cresce, tutti temono il peggio. Ma i tedeschi escono sorridenti, risalgono sulle auto e vanno via per non tornare più. Un miracolo, diranno i seguaci!

Nel settembre del 1943 la provincia di Foggia viene liberata dall’8a Armata alleata, in cui aggregati ci sono dei soldati ebrei. A costoro, dai primi mesi del 1944 viene assegnato il compito di assicurare i rifornimenti, in particolare legname, che vanno a reperire sui monti Dauni. Manduzio, informato di camion militari recanti la stella di David, vuol saperne di più e assieme ad alcuni fedeli dotati di un’improvvisata bandiera con lo stesso emblema ferma gli automezzi. “C’erano ufficiali e soldati – ricordava Eliezer Tritto, all’epoca quattordicenne – sulle spallette c’era scritto Palestine, e in mezzo il simbolo della religione ebraica”. Erano della Brigata ebraica. “Riferirono ai loro superiori che a San Nicandro c’erano famiglie ebree e gli ufficiali vennero da Munduzio, ci portarono grandi quantità di roba da mangiare, sigarette, cioccolate, caramelle, e stato un giorno di grande festa per i bambini”.

Al caso s’interessa il maggiore Aron Wellesley, comandante della Royal Army Service Corps (Rasc), settore logistico dell’esercito, e creatore della Reshet, rete che si propone di assistere i profughi ebrei nell’Europa postbellica fornendo alloggio, cibo e rifornimenti. La Reshet opera anche per far entrare gli ebrei, legalmente o illegalmente, in Israele e anche per reclutare ebrei italiani nella lotta contro i tedeschi. Per conseguire quest’ultimo obiettivo giunge a Bari un ebreo italiano antifascista, Enzo Sereni [23] che ha una parte breve ma determinante nella storia di San Nicandro. Sereni si reca da Manduzio, parla con lui per ore e al termine conclude: «tu sei un vero profeta ispirato da Dio e le tue osservazioni sono più giuste e serene di un ebreo nato ebreo» e, rivolto agli altri del gruppo, li implora di andare in Palestina, o meglio ritornare, e poiché per la prima volta erano stati riconosciuti ebrei avevano il diritto e il dovere di contribuire alla nascita del nuovo Stato. Ma quando avverrà questo ritorno? chiedono a San Nicandro. Risposta: «quando sarà arrivato il momento».

Ovviamente il riconoscimento da parte di Sereni ha bisogno di essere suggellato dall’ufficialità. Intanto il giovane Eliezer Tritto entra nel campo profughi per ragazzi ebrei di Bari, in modo d’assicurare un contatto con la Reshet, e il gruppo riceve l’assicurazione che presto verranno contattati dal rabbino capo di Roma. Le cose tuttavia non vanno così e bisognerà aspettare la Liberazione di tutta l’Italia.

Nell’aprile 1945 due persone inviate da Raffaele Cantoni incontrano gli ebrei sannicandresi per poi riferire, a Roma, a Giuseppe Nathan, commissario per gli Affari ebraici, e a Umberto Nahon, presidente per l’Italia dell’Organizzazione sionistica. Quest’ultimo si convince a perorare la causa della comunità di Manduzio e scrive al presidente dell’Unione delle comunità israelitiche italiane: «esiste un gruppo di circa 200 persone che dal 1932 s’è convertito all’ebraismo. Riteniamo nostro imprescindibile dovere di dare prova tangibile d’interessamento e fratellanza a questi ebrei che hanno saputo resistere alla prova del tragico periodo passato».

L’esito della petizione è positivo. Per l’ennesima una volta si decide di inviare sul posto una persona. Quando il rabbino Aldo Ravenna giunge a San Nicandro, il 29 maggio 1945, trova però una comunità divisa: è soprattutto Manduzio, che adesso si fa chiamare Levi, a opporsi all’emigrazione, perché il compito è quello di «portare luce in questo oscuro angolo di Puglia». Viene comunque fissata la cerimonia della circoncisione per l’agosto del 1946. Manduzio è esentato a causa delle sue condizioni di salute.

Il 15 marzo 1948, Donato Manduzio, capo storico della comunità sannicandrese, muore. Si propone come successore Concetta Di Leo, che cerca di sostenere la necessità di non emigrare, sostenuta anche da Cantoni. Ma a invogliare molti alla partenza è la proclamazione dello Stato d’Israele il 14 maggio dello stesso anno. Il primo a trasferirsi è Francesco Cerrone, il contadino finito nel mirino dell’Ovra; è in contatto con il figlio di Pacifici, conosciuto in un campo profughi, e con Augusto Segre,[24] che ha perorato la causa d’emigrazione dei sannicandresi. Scrive al presidente della sezione milanese della Federazione sionistica, spiegando che sono «gerim (convertiti) molto religiosi, avvicinatisi all’ebraismo in questi ultimi anni. Non vi è dubbio che anche per loro si presenta lo stesso problema che già abbiamo esaminato in rapporto agli italiani e che quindi anch’essi dovrebbero attendere momenti migliori. Ma anche a prescindere dal fatto che molte di queste persone già hanno venduto le loro terre e le loro case e si sono preparati per l’aliyah (“pellegrinaggio”), sta di fatto che tutti hanno una preparazione agricola non comune, essendo il lavoro del contadino, nelle sue più svariate forme, tradizionale da generazioni in questo gruppo. Bisogna anche tener presente che non conoscono la lingua e cha hanno in genere una cultura piuttosto limitata. Ma se fosse possibile ottenere conferma dal kibbutz di Javne, delle proposte fatte dal Chaver Beppe Artom di sistemare questo gruppo (e quelli che si trovano in Eretz) in un piccolo villaggio poco distante da Javne, e in pari tempo l’assicurazione che questo gruppo sarebbe in un primo tempo guidato da questo kibbutz, io penso che la cosa potrebbe essere presa in conto».

A luglio il Mizrachi Organization World Central di Gerusalemme informa Cantoni di aver ricevuto notizie sui sannicandresi e sul loro desiderio di compiere l’aliyah e per questo ha riservato un congruo numero di posti presso un villaggio recentemente sgombrato dagli arabi.

Cantoni si sente vittima degli eventi, vorrebbe opporsi, ma alla fine collabora con Cerrone per far uscire venti persone dal Paese. La partenza del primo gruppo avviene il 14 novembre, destinazione Haifa, come riportato dal quotidiano Il Paese. «Appena arrivati in Palestina si sono inginocchiati per baciare la terra della loro nuova nazione. È previsto che altre tredici emigranti li raggiungano la prossima settimana». Nel frattempo, compare un nuovo gruppo di ebrei anche ad Apricena, altro comune della provincia di Foggia: pure loro chiedono di poter trasferirsi in Israele. A opporsi è il gruppo di San Nicandro: «adesso tutti vogliono seguire la religione ebraica, ma senza Dio, vogliono fare finta solo per andare in Palestina». Al gruppo di Apricena verrà concesso di emigrare, ma in seguito non si avranno altri casi di emigrazione di non ebrei in territorio israeliano.

Stefano Coletta, insegnante


Bibliografia

  1. E. Lapide, Mosè in Puglia. Longanesi & C., Milano, 1958.

Scritti in memoria di Enzo Sereni. Saggi sull’ebraismo romano, (a cura di D. Carpi, A. Milano, U. Nahon), Gerusalemme, Fondazione Sally Mayer, 1970.

  1. Nahon , Per non morire. Enzo Sereni: vita, scritti, testimonianze, Milano, Federazione sionistica italiana, 1973;
  2. Guspini, L’orecchio del regime. Le intercettazioni telefoniche al tempo del fascismo; presentazione di Giuseppe Romolotti, Milano, Mursia, 1973.
  3. Minerbi, Raffaele Cantoni, un ebreo anticonformista, Carucci, Assisi-Roma 1978.
  4. Bondy, The emissary. A life of Enzo Sereni. Londra, Robson Books, 1978
  5. Stretti, Il movimento pentecostale. Le Assemblee di Dio in Italia, Torino, Claudiana,1988
  6. Lotoro (a cura di), Fonte di ogni bene, realizzato con il contributo dell’assessorato al Mediterraneo della Regione Puglia e dell’UCEI
  7. Mitchell, Wellesley Aron: Rebel with a Cause, Helen edicion, 1992
  8. Friedmann, Les enfants de la reine de Saba: Les juifs d’Éthiopie (Falachas), histoire, exode et intégration, 1994.
  9. Franzinelli, I tentacoli dell’OVRA. Agenti, collaboratori e vittime della polizia politica fascista, Torino, Bollati Boringhieri, 1999.
  10. Cabaud, Il rabbino che si arrese a Cristo, Edizioni San Paolo 2002.
  11. Canali, Le spie del regime. Bologna, Il Mulino, 2004.
  12. Vecchioni, Le spie del fascismo. Uomini, apparati e operazioni nell’Italia del Duce, Firenze, Editoriale Olimpia, 2005.
  13. Davis, Gli ebrei di San Nicandro, Giuntina, Firenze, 2010
  14. Gagliano, Un capitolo della intolleranza religiosa in Italia: la circolare Buffarini Guidi e i pentecostali (1935-2015). Atti del Convegno promosso dall’Associazione Piero Guicciardini (Roma, 5-6 novembre 2015), 2017, Biblion.

[1]  Negli anni 30 la cittadina contava circa 30.000 abitanti, una cattedrale, tre chiese parrocchiali, un castello normanno, sette dottori, un veterinario e tre farmacisti. La maggioranza della popolazione era composta da contadini, c’erano anche “cavatori” di pietra che lavoravano nelle pietraie adiacenti alla città.

[2] Le Bibbie in italiano erano difficili da reperire, la maggior parte erano in latino e mancavano del Deuteronomio.

[3] La prima chiesa pentecostale venne fondata a Milano nel 1910. Dopo la prima guerra mondiale tutte le congregazioni evangeliche in Sicilia e nell’Italia del Sud furono a opera degli emigranti ritornati durante il periodo bellico. E. Stretti, “Il movimento pentecostale. Le Assemblee di Dio in Italia”, Torino, cit., pp.30-31.

[4] Manduzio non riesce a coinvolgere nessun familiare a eccezione della moglie. Davis J., Gli Ebrei di San Nicandro, Firenze, Giuntine, 2010 p. 226.

[5] Donato minacciava i convertiti di gravi punizioni divine qualora non seguissero, fedelmente, le sue indicazioni.

[6] ». Davis J., Gli Ebrei di San Nicandro, Firenze, Giuntine, 2010,

[7] Una delle guarigioni più famose fu quella del proprietario del Caffè Trieste di San Nicandro, dato per spacciato dai dottori e ristabilitosi perfettamente grazie alla tisana e alla dieta prescritta. Davis J., Gli Ebrei di San Nicandro, cit. p.38.

[8] Manduzio ritenne che i destinatari «si saranno forse offesi perché scrivemmo con risposta pagata? Ma non ci pensiamo neppure, poiché noi facemmo ciò per ottenere risposta sicura, affermativa o anche negativa».

[9] La sua insistenza, dirà nelle lettere, è giustificata dalla disperazione di sentirsi «soli e quindi smarriti». Per questo chiedeva al Commentatore «di comportarsi come un buon padre e buon pastore».

[10] Angelo Sacerdoti (Firenze 1886 – Roma 1935), era divenuto rabbino capo della Comunità ebraica romana nel 1912, all’età di ventisette anni. Numerosi erano stati i candidati a quella carica, fra questi Alfredo S. Toaff e Dante Lattes, che diverranno in seguito fra i più importanti e influenti rabbini italiani del Novecento. La scelta di Sacerdoti poteva apparire sconvolgente, perché giovane e per aver conseguito la laurea rabbinica solo da un mese, anche se in anticipo sui tempi previsti.

[11] Rav Alfonso Pacifici, rabbino militare durante la prima guerra mondiale, poi avvocato. Fondò il giornale “Israel”. Nel 1934 si trasferisce in Israele, muore a Bene Berak il 7.2.1981.

[12] Con questa denominazione, di origine assai discussa (forse dallo spagnolo marrano “giovane porco”), erano con disprezzo indicati in Spagna e Portogallo gli ebrei e i musulmani convertiti forzatamente al cristianesimo che in segreto mantenevano la fedeltà alla religione originaria. Perseguitati dall’Inquisizione ed espulsi in gran numero dalla penisola iberica alla fine del ‘400 ripararono nei Paesi islamici, in Europa e nelle Americhe. Un decreto del re di Castiglia vietava nel 1380 di usare il termine ingiurioso di marrano […]. Più tardi, specie in Italia, esso fu usato anche senza significato ingiurioso (ad es., in una deliberazione del senato veneziano nel 1497), e ora è corrente nella terminologia storica. Vedi http://www.treccani.it/enciclopedia/marrani

[13] Gli animali impuri erano i carnivori; quelli che non ruminano il bolo (per es. il maiale); quei mammiferi che non hanno lo zoccolo fesso (per es. il cammello, l’irace, la lepre). Fra gli uccelli i rapaci e i saprofagi. Tutti i rettili e gli anfibi. Fra i pesci e gli altri animali marini, tutti quelli che non hanno pinne e squame; infine tutti gli insetti, eccetto un tipo particolare di locusta che, secondo diversi studiosi, non può essere attualmente identificato.

[14] L’uccisione deve avvenire mediante il taglio della trachea e dell’esofago e, di conseguenza, della carotide e della giugulare; il taglio deve essere effettuato con un coltello affilato, non serrato, e con un unico movimento continuo.

[15] Jacques Faitlovitch è stato un orientalista e attivista polacco. Ha dedicato la sua vita per il riconoscimento dei Falasha etiopi (o Beta Israel), una popolazione di religione ebraica le cui origini risalgono al VI secolo a.C.

[16] Nel pieno della Prima guerra mondiale con la Dichiarazione di Balfour, dal nome del ministro degli Esteri britannico, il Regno Unito si espresse in favore di una Stato ebraico indipendente in Palestina.

[17] Gagliano S., Un capitolo della intolleranza religiosa in Italia: la circolare Buffarini Guidi e i pentecostali (1935-2015), Atti del Convegno promosso dall’Associazione Piero Guicciardini (Roma, 5-6 novembre 2015), 2017, Biblion, pp. 39-45.

[18] Guido Buffarini Guidi uomo politico fascista e avvocato, è stato sindaco di Pisa, dove fu anche podestà e federale, deputato al Parlamento, membro del Gran consiglio del fascismo, sottosegretario al ministero dell’Interno per il decennio 1933-1943 e in seguito ministro sempre dell’Interno nel governo della Repubblica Sociale Italiana. Fu condannato a morte e fucilato alla fine della guerra.

[19] Raffaele Cantoni (Venezia, 1896- 1971) è stato un antifascista italiano, ebreo, dirigente della DELASEM, Delegazione per l’assistenza agli emigranti, prima e durante il periodo dell’occupazione tedesca e quindi nel dopoguerra presidente dell’UCEI. Socialista, partecipò nel 1919-20 all’impresa di Fiume. Nel 1930 è a Milano dove diviene capo delle attività del Comitato di Assistenza profughi ebrei, in sostegno dei molti fuggitivi dalle persecuzioni naziste. Nel 1931 è condannato dal Tribunale speciale nella prima sentenza contro il movimento Giustizia e Libertà. Agli inizi del ’39 cercò senza successo di convincere l’ambasciatore inglese a Roma ad accettare un piano per l’arruolamento di volontari ebrei nell’esercito alleato, progetto che si sarebbe realizzato solo nell’ultimo anno del conflitto con la creazione della Brigata Ebraica. Con l’entrata in guerra dell’Italia nel giugno 1940, Cantoni fu internato nel campo di Urbisaglia, nelle Marche, e liberato nell’agosto 1943. Dopo l’armistizio dell’8 settembre opera nell’attività assistenziale clandestina. Tradito da un collaboratore delle SS, Cantoni fu arrestato il 29 novembre assieme all’intero comitato fiorentino del Delasem. Destinato ad Auschwitz-Birkenau, scamperà alla deportazione gettandosi dal treno in corsa nei pressi di Padova. Rientrerà a Milano per allertare sui progetti nazisti, finché, braccato dalla polizia, troverà rifugio in Svizzera, da dove continua l’attività. Nel dopoguerra, insieme al partigiano Luigi Gorini, Cantoni è l’artefice della colonia Sciesopoli di Selvino (Bergamo) per i circa 800 bambini ebrei orfani (i cosiddetti Bambini di Selvino), scampati ai campi di sterminio nazisti e alla guerra e raccolti dalla Brigata ebraica. Nel marzo 1946 fu eletto presidente dell’Ucei, impegnandosi nella battaglia per il risarcimento agli ebrei dei danni subiti con le persecuzioni razziali e, con più fortuna, affinché la Costituzione italiana sancisse un quadro chiaro di uguaglianza e di libertà religiosa. S. Minerbi, Raffaele Cantoni, un ebreo anticonformista, Carucci, Assisi-Roma 1978.

[20] La sigla non è mai stata spiegata; solitamente viene interpretata come “Organizzazione di Vigilanza e Repressione dell’Antifascismo”, o “Opera Volontaria per la Repressione dell’Antifascismo” o ancora “Organo di Vigilanza dei Reati Antistatali”. Fu istituita nel 1930. Franzinelli M., I tentacoli dell’OVRA. Agenti, collaboratori e vittime della polizia politica fascista, Torino, Bollati Boringhieri, 1999.

[21] Comandamento, in ebraico.

[22] Arturo Bocchini (San Giorgio La Montagna, 12 febbraio 1880 – Roma, 20 novembre 1940) è stato un poliziotto, prefetto e senatore italiano. Dal 1922 nella carriera prefettizia, fu capo della polizia dal 1926 fino alla morte; figura chiave del regime fascista tanto da essere definito il «vice-duce». Fu creatore di un apparato poliziesco pervasivo, alle dirette dipendenze del Duce e autonomo dalle interferenze del Partito nazionale fascista e dai prefetti, con una polizia politica fondata su ispettorati speciali sparsi inizialmente in pochi centri d’Italia e poi diffusamente, con il nome di OVRA.

[23] Enzo Sereni (17 aprile 1905 – 18 novembre 1944), figlio del medico del Re. Abbraccia l’ideologia sionista, sostenitore della convivenza ebraico-araba e ufficiale della Brigata Ebraica. Paracadutato nell’Italia occupata dai nazisti catturato, fu deportato e morì nel campo di sterminio di Dachau.

[24] Augusto Segre nasce a Casale Monferrato il 1° aprile 1915 da Ezechiele, rabbino, e da Benedetta Sornaga. Si sposò con Iris Steinmann, che venne in seguito deportata, ed ebbe due figli, Daniel e Tamar. Prima dell’8 settembre 1943 fu membro della Delasem. Nonostante i postumi della poliomielite si unì, così come il fratello Lelio, ai partigiani delle Langhe. Dopo la guerra fu direttore del dipartimento culturale dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane (Ucei). Si trasferì nel 1980 in Israele dove morì nel 1986.