“Non dimenticare mai che una crisi politica, economica o religiosa sarà sufficiente per mettere in discussione i diritti delle donne. Questi diritti non saranno mai acquisiti. Dovrai rimanere vigile per tutta la vita”. Questa frase di Simone de Beauvoir rappresenta appieno il motivo per cui l’Anpi Monza e Brianza  ha deciso di dedicare al lungo cammino, non ancora concluso, delle donne verso la parità il ciclo di quattro serate “I dialoghi della storia. Dalla Resistenza al ’68: le donne raccontano”, al Teatro binario 7 (ex luogo di tortura fascista). Pur consapevoli che quattro incontri non saranno sufficienti per raccontare tale percorso, possono però rappresentare uno spunto di riflessione.

I diritti che noi oggi diamo per scontati sono il frutto di lotte di donne e uomini straordinariamente coraggiosi. Uomini e donne sì, perché i diritti delle donne sono diritti della società intera.

Tutte le conquiste sociali non sono mai date per sempre, costantemente vediamo attacchi alla Costituzione, ai diritti umani universali, alla libertà delle donne. Forse conoscendo la storia, riusciremo a capire quanto la conquista di tali diritti sia costata in termini di scelte e di sacrifici a quegli uomini e a quelle donne coraggiose. Forse così noi oggi riusciremo a esser degni delle loro lotte, a preservare quelle conquiste e a proseguire il cammino.

Ci siamo domandati quale fu la forza propulsiva che spinse le donne a combattere contro il nazifascismo e anche contro le tradizioni familiari e le convenzioni sociali. Si può parlare di amore verso se stesse, verso il proprio Paese e verso l’umanità intera.

Nel primo incontro tenutosi il 16 gennaio dal titolo “Per riaffermare la nostra vitalità in faccia alla distruzione. La forza e l’amore delle donne tra guerra e dopoguerra” con la professoressa Silvia Cassamagnaghi, docente di storia contemporanea dell’Università di Milano e autrice di diverse pubblicazioni, ci si è soffermati sulla vita delle donne durante il fascismo e la seconda guerra mondiale e su quanto in alcune di loro si sviluppò, unitamente al desiderio di liberarsi dai nazifascisti, anche quello di conquistare una nuova collocazione nella società e nella famiglia. Si è parlato di solidarietà e di amore verso il proprio Paese e verso la vita, che spinse a porre fine alle atrocità della guerra.

Dopo l’annuncio dell’armistizio, le donne per prime diedero un aiuto ai soldati in fuga e agli antifascisti che si organizzavano. Questo impulso iniziale divenne poi una scelta, una presa di coscienza, tra ciò che era giusto e ciò che era sbagliato. Prendere parte. La partecipazione delle donne alla Resistenza fu la prima dichiarazione di cittadinanza: la soggettività femminile che entrò finalmente nella società, una società fino ad allora prettamente maschile.

Quindi sì, fu anche una scelta di cuore ma fu soprattutto una scelta consapevole, perché se scoperte mentre svolgevano i loro compiti da partigiane in città, in campagna o in montagna, ricevevano lo stesso trattamento riservato agli uomini.

Onorina Brambilla Pesce mi disse: «Le donne erano più volontarie degli uomini. Noi non scappavamo dall’esercito, non ci dovevamo nascondere per non tornare al fronte o esser portate in Germania. Se fossimo rimaste nelle nostre case ad aspettare che qualcuno facesse finire la guerra, nessuno ci avrebbe detto o fatto nulla. Per questo l’azione delle donne è stata molto importante, era spinta da un forte desiderio di cambiare le cose, un desiderio di pace, di un mondo migliore, democratico, libero».

Si può certamente affermare che se le donne non avessero avuto un ruolo così importante nella Resistenza, sarebbe stato difficile ottenere, a guerra finita, il diritto di voto e di essere votate.

Il diritto di voto alle donne fu il risultato di un lungo percorso, che dagli inizi del ’900 ebbe momenti di accelerazione e di frenata. Furono le donne dei Gruppi di Difesa della Donna –organizzazione nata nel novembre del 1943 a Milano ad opera di alcune signore appartenenti ai partiti del CLN, aperta a tutte le donne di ogni ceto sociale, di ogni fede politica e religiosa, che avessero il desiderio di partecipare alla liberazione dell’Italia e lottare contemporaneamente per la propria emancipazione – a chiedere ostinatamente che le donne ottenessero al termine del conflitto il diritto di votare e di esser votate. Di questo e delle 21 donne elette all’Assemblea costituente parleremo con Debora Migliucci, direttrice dell’Archivio del lavoro Cgil di Milano, durante il secondo incontro, il 13 febbraio, dal titolo “Senza distinzione di sesso: le Costituenti e l’emancipazione delle donne”.

Per capire l’importanza del ruolo di queste donne nella scrittura della Carta costituzionale, va considerato il clima del tempo. Un clima in cui c’era la speranza di costruire qualcosa dopo l’orrore della guerra. Le madri costituenti erano guidate da un estremo realismo, conoscevano i bisogni concreti dei cittadini ed erano consapevoli dell’importanza del loro ruolo per tutte le donne, soprattutto per coloro che sarebbero nate in futuro.

Si batterono per l’uguaglianza tra i sessi nel campo lavorativo e in quello familiare. Avevano chiaro quanti e quali fossero i limiti che la legge da una parte e la società dall’altra imponevano alle donne. Avevano la possibilità di creare le nuove regole dello Stato pensando al futuro e grazie a un grande lavoro di collaborazione, l’Assemblea produsse una Costituzione estremamente innovativa in generale, ma in particolare per la condizione femminile. In essa vengono affermati i principi di uguaglianza tra uomo e donna nella famiglia, nel lavoro e nella società. Principi che sono scritti sulla Carta, ma che poi bisognava mettere in pratica.

Nel terzo incontro, il 13 marzo, dal titolo “Storia di Franca Viola e del suo NO al matrimonio riparatore”, con Chiara Boscaro, Sara Urban e Alessia Gennari, racconteremo la scelta di Franca Viola, una ragazza siciliana di 17 anni che nel 1966 rifiutò di sposare il suo rapitore sfidando arcaiche tradizioni e dando vita a una vera e propria rivoluzione nel diritto italiano. Il No di Franca, in un’Italia in fermento, divenne un simbolo nazionale.

Il 10 aprile, l’ultimo appuntamento sarà dedicato alla presentazione del libro, scritto a più mani, dal titolo “Donne nel sessantotto. Storie di eresie”. Sarà presente Claudia Galimberti, una delle autrici, che ci racconterà la storia di alcune donne che hanno partecipato, come militanti e non, a quel particolare momento storico che fu il Sessantotto e che portò a una grande trasformazione della società.

Nessuna conquista è il frutto della lotta di singoli individui o di un unico genere, al contrario la storia insegna che solo camminando avanti, passo dopo passo, gli uni accanto agli altri, si possono ottenere enormi risultati.