Barconi della morte: la tragica notizia è il naufragio che sarebbe avvenuto al largo delle coste di Al Khoms, in Libia, con un terrificante bilancio: si parla di 150 vittime.

Ne parla una pagina Facebook. Si scatenano i mostri. Alcuni (testuali): “Peggio per loro”; “Mangeranno i pesci”; “Potevano stare a casa loro buon appetito pesci”; “Potevano stare a casa sua” (sic); “Non è mio problema”; “Se rimanevano da dove venivano non rischiavano nulla”; “Se non partono non muoiono”; “E chi se ne f…a stavate a casa vostra”; “E quindi?”; “Non ci credo lo dicono x impietosirci”; “Gli italiani sono stati i primi a partire x lavorare nelle miniere… no x spacciare ammazzare o violentare… questi sono feccia vera… portateli a casa vostra”.

Vado a vedere le pagine di queste persone, travolte – ovviamente – da una valanga di commenti indignati. Alcune hanno chiuso il proprio profilo sul social. Quasi tutte le altre sembrano (e probabilmente sono) persone normali, madri e padri di famiglia. Nelle immagini e nei loro post campeggiano bambini, gatti e cagnolini smarriti, olezzanti mazzi di fiori e persino indignate dichiarazioni in merito alla vicenda degli affidi di Bibbiano.

Cosa sta succedendo? Si badi: il fenomeno in sé non è nuovo. Il pregiudizio, costruito consapevolmente dai gruppi dirigenti e dominanti, è sempre stato una molla che ha innescato episodi di pura barbarie; basti pensare ai pogrom contro gli ebrei, ai linciaggi dei neri nel sud degli States, alla caccia alle streghe in Medio Evo, al dalli all’untore durante le pestilenze. Il meccanismo, che si ripete, è più o meno questo: si dipinge una determinata minoranza come responsabile di una certa quantità di mali; non c’è bisogno di provare tali responsabilità, basta ripetere, ripetere, ripetere gli stessi slogan; si aizza la folla attraverso un ruolo attivo delle istituzioni, cioè attraverso chi ha il potere. A questo punto il gioco è fatto: si è costruito il nemico, e contro il nemico – secondo alcuni – tutto è lecito. Il nemico è per definizione non pienamente umano. Perché inferiore biologicamente o socialmente o moralmente. Perché è una razza inferiore. Pietà l’è morta.

Chi ha vomitato il proprio rancore, la evidente insoddisfazione esistenziale, la rabbia contro il mondo intero nei commenti citati al tragico naufragio, ha evidenti responsabilità di carattere morale (e forse anche giuridico). Ma la questione centrale è capire chi ha consapevolmente creato lo stereotipo del migrante come nemico; certo, sono tutte le organizzazioni neofasciste e neonaziste che, com’è naturale, sono portatrici (non sane) del virus del razzismo. Ma nessuno è così cieco da non vedere la straordinaria responsabilità del ministro dell’Interno per il selvaggio e permanente accanimento contro i migranti (amareggia, per usare un eufemismo, il silenzio complice dell’intero governo, pur pronto a scannarsi su tutto il resto).

Qui non è questione di politiche migratorie; non si tratta di discutere su una linea più permissiva o più restrittiva; il punto è un altro, e cioè l’ininterrotta campagna di diffamazione, denigrazione e irrisione nei confronti dei migranti, cioè degli stranieri poveri, perché, ca va sans dire, gli stranieri ricchi sono ovviamente ben accetti (in Italia e ovunque). Il ministro dell’Interno è colui che più di tutti, utilizzando il potere di cui è proprietario (pro tempore) ha creato l’immagine dell’identità migrante-nemico. Su questa identità, accresciuta giorno per giorno da centinaia di dichiarazioni, post, interviste, twitt, si è costruita una rappresentazione popolare che, a partire dai disagi causati dai fenomeni di emarginazione sociale legati all’evento migratorio, conduce dritto dritto a mister (e miss) Hide della porta accanto. In fondo per mister (e miss) Hide il naufragio, beh, se lo sono cercato. Perché, diciamocelo, è finita la pacchia. E poi, sono tutti robusti e palestrati.

Certo, ci sono i voti, i sondaggi, il consenso. Certo, si può vincere, nella scalata del potere, nelle ambizioni personali, nel costruire la paura e la rabbia. Si può vincere in quasi tutto, minando la coesione sociale di un Paese. Tranne in una cosa, in cui si perde, rovinosamente. La propria dignità.