Un’immagine del 25 aprile a Milano. Al microfono il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini. Al centro Carlo Smuraglia e Giuliano Pisapia (da http://www.pensalibero.it/wp-content/uploads/2016/04/25-aprile-Milano-620x330.jpg)
Un’immagine del 25 aprile a Milano. Al microfono il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini. Al centro Carlo Smuraglia e Giuliano Pisapia (da http://www.pensalibero.it/wp-content/uploads/2016/04/25-aprile-Milano-620×330.jpg)

Ho letto ieri su un importante quotidiano alcuni articoli che parlano di ciò che dovrebbe essere il 25 aprile, “un giorno di festa, di felicità, di orgoglio, di coesione nazionale”.

E invece – dicono – non è stato e non è così: «l’anniversario – scrive uno di loro – arriva nella disattenzione generale, di un Paese diviso, cinico, litigioso e tutto si riduce ai “riti istituzionali”».

E perché accade questo, sempre secondo questa stampa (che non è poi così isolata)? Perché della Resistenza è stato fatto “un uso di parte”, scrive uno dei giornalisti; “perché i vincitori si sono divisi e i vinti non si sono dati ragione”, aggiunge l’altro.

Alla fine, tutto dipende dal fatto che la sinistra non ha saputo o voluto soffermarsi sulle belle pagine della Liberazione, per creare una memoria condivisa; c’è stata una valanga di retorica, un’eccessiva esaltazione della Resistenza; perciò, in questa Italia divisa, cinica e litigiosa, i cittadini scelgono di fare il ponte.

Ma è davvero così? È davvero colpa di quelli che hanno creduto che la Resistenza sia una delle pagine più belle della storia del nostro Paese, se non si è arrivati ad una memoria condivisa?

Intanto, ridimensioniamo le immagini più truculente, secondo cui l’Italia sarebbe tutta in vacanza, perché Italia siete anche voi, siamo noi, sono i tanti che, in mille piazze d’Italia, stanno festeggiando il 25 aprile. E non siamo qui perché non avevamo mezzi per andare fuori città, ma perché crediamo nel valore del ricordo, della riflessione, dello stare insieme. E poi, dov’è questa ipotetica retorica? Le nostre sezioni, i nostri organismi periferici e quelli delle altre Associazioni di chi si è impegnato per la libertà, hanno cercato di mantenere vivo il ricordo della Resistenza e dei Caduti. E bene hanno fatto, perché altrimenti lor signori se ne sarebbero ben guardati dal combattere l’oblio.

Se parlano di esaltazione della Resistenza, è perché non ricordano quel possente mucchio di scribacchini che hanno fatto soldi col revisionismo e il negazionismo, a cui bisogna pur reagire e forse l’abbiamo fatto troppo poco.

Perché si occupano così poco di chi non ha voluto e non vuole accettare che ha vinto la Resistenza e si ostina a coltivare odii e nefandezze? Non siamo noi che giriamo per le strade con i simboli delle camicie nere e della X Mas e davvero non se ne può più di vederli. Così come non appartiene all’ANPI quel piccolo gruppo di consiglieri comunali nostalgici, che, quando il Sindaco di Milano ha dato la parola al Presidente nazionale dell’ANPI, si è alzato ed è uscito dall’aula, forse in nome della cosiddetta “memoria condivisa”.

prima_26_aprile-corriere-No, la verità è un’altra. C’è tanta indifferenza e addirittura repulsione, in questo Paese, ma per la cattiva politica, per la corruzione e per lo svilimento dell’Italia. Ci sono tanti, che vogliono invece festeggiare il 25 aprile e sono qui e in mille piazze d’Italia; e mi piacerebbe molto sapere se sono presenti questi giornalisti che troneggiano sul fallimento del 25 aprile, probabilmente restando nelle loro comode case.

La verità è che stiamo, da sempre, facendo il possibile perché i valori della Resistenza trionfino, siano insegnati nelle scuole, festeggiati nelle ricorrenze, come quella di oggi; senza arroganza e senza esaltazioni e soprattutto senza odii e rancori, siamo qui – come tutti gli anni – e come sempre siamo in molti, nonostante il pianto greco di chi, in realtà, vorrebbe le piazze deserte. Noi siamo qui senza altro supporto che quello di quei valori e restando ancorati alla storia, ma pretendiamo che tutti la conoscano e la rispettino, come quella Costituzione che è il frutto migliore della Resistenza.

Gli altri stiano pure al mare, a coltivare le loro nostalgie e magari – alcuni – la speranza di un fascismo del terzo millennio. Noi intendiamo solo deluderli.

L’arrivo di una brigata partigiana in piazza del Duomo a Milano nell’aprile 1945 (da http://www.sapere.it/mediaObject/photogallery/Storia-e-societa/aprile-1945/10317234/resolutions/res-l655x10000/10317234.jpg)
L’arrivo di una brigata partigiana in piazza del Duomo a Milano nell’aprile 1945 (da http://www.sapere.it/mediaObject/photogallery/Storia-e-societa/aprile-1945/10317234/resolutions/res-l655x10000/10317234.jpg)

Il 25 aprile è sempre la festa della Liberazione, la festa più cara, che ci riconduce alle pagine gloriose della Resistenza, alla sconfitta del fascismo, alla vittoria sui tedeschi. Una festa che non dimenticheremo mai e che abbiamo sempre preservato da ogni assalto esterno.

Ma, in certo modo, è anche ogni anno una festa diversa, perché non abbiamo mai voluto ridurla ad una commemorazione formale. Conserva sempre il suo significato, che è anche quello di aver aperto la strada alla democrazia, alla Costituzione, ai nuovi valori che erano cresciuti e si erano alimentati nell’antifascismo e nella Resistenza.

Ogni anno lo arricchiamo di significati, in relazione alle vicende nazionali e internazionali ed alla rilevanza che assumono determinati fenomeni ed eventi, da cui non possiamo restare estranei.

Lo scorso anno era il 70° della Liberazione ed era, in qualche modo, anno di bilanci su quanto rimasto dello “spirito” della Liberazione e di quanto siamo riusciti a conservare la memoria e a renderla sempre più attiva, anche per favorirne la conoscenza a coloro che non hanno vissuto quella esperienza e particolarmente ai giovani.

Quest’anno siamo a 70 anni dal 1946, un anno fondamentale, immediatamente successivo alla Liberazione, che di essa fu figlio e successore. A pensarci, è un miracolo che poco dopo la Liberazione, si potessero, in un solo anno, condensare tre eventi decisivi per la futura vita del Paese.

referendum-2-giugno 1946Il referendum che vide vittoriosa la scelta della Repubblica; una scelta non casuale se riflettiamo sul fatto che le cosiddette “aree libere”, che durante i 20 mesi, si formarono – quando fascisti e tedeschi erano costretti, sia pure temporaneamente, ad abbandonare il campo – riuscirono a dotarsi di una prima organizzazione ed a compiere le prime esperienze concrete di democrazia, e presero il nome di repubbliche partigiane.

Il voto alle donne, antica rivendicazione che risaliva alla fine del secolo precedente e all’inizio del 900 e che – a lungo negato – fu finalmente riconosciuto, rendendo il suffragio – per la prima volta – universale. Anche in questo caso, il rapporto con la Resistenza era ed è diretto, perché la Resistenza fu la prima grande occasione per l’ingresso nella politica delle donne, fino ad allora relegate al ruolo casalingo e private di un diritto fondamentale. Ma della Resistenza le donne furono protagoniste, con le armi e senza, come partigiane combattenti e come staffette e “ausiliarie” spesso fondamentali per l’aiuto a partigiani feriti, perseguitati e perfino agli sbandati; non a caso, quella del voto fu una delle prime rivendicazioni delle donne dei Gruppi di Difesa della Donna e dei movimenti che, anche sul terreno politico, cominciarono ad organizzarsi fin dai mesi più avanzati del 1944.

Ed infine l’anno dell’Assemblea Costituente, a cui fu attribuito il compito di redigere il testo di una Costituzione che avesse il pregio del rinnovamento totale rispetto agli Statuti ed alle Costituzioni dell’800, contenesse non solo affermazioni di principio, ma anche imperativi categorici diretti ai governanti e disposizioni per attribuire efficacia effettiva ai diritti proclamati; e soprattutto il compito di dare vita ad un documento destinato a durare a lungo, perché fondato sulla concordanza di idee e princìpi diversi, proprio sugli aspetti fondamentali della convivenza civile e della democrazia.

L’esito del voto per l’Assemblea costituente (da http://a401.idata.over-blog.com/500x231/1/15/66/74/il-dopoguerra/1946-ripartizione-seggi-Assemblea-costituente.JPG)
L’esito del voto per l’Assemblea costituente (da http://a401.idata.over-blog.com/500×231/1/15/66/74/il-dopoguerra/1946-ripartizione-seggi-Assemblea-costituente.JPG)

Celebriamo, dunque, oggi, anche un anniversario di grande rilievo perché coglie il momento in cui si delinearono i primi frutti del sacrificio e dell’impegno di tante e di tanti. Si rende evidente che era limitativo immaginare che i combattenti per la libertà, solo alla liberazione pensassero e non volessero invece gettare anche le fondamenta di uno Stato diverso.

Quei primi passi della democrazia rappresentano proprio l’avverarsi di un sogno, apparentemente perfino di un’illusione, se si pensa che, tutto sommato, il “vento del nord” durò poco e che, se è vero che da quella prima scelta nacque la Costituzione, è anche vero che – lasciati al loro posto troppi personaggi che nel fascismo avevano vissuto e del fascismo si erano alimentati – cominciò ben presto lo sforzo della rivincita, il tentativo di vanificare la scelta repubblicana, di togliere valore alla Costituzione (non attuandola), di arrestare il processo di emancipazione della donna.

Saremmo davvero ingenui e poco sensibili agli insegnamenti della storia se ignorassimo che ogni grande riforma ha prodotto, storicamente, una controriforma.

Ciò che c’è di eccezionale nel nostro caso, è che la controriforma cominciò quasi subito, col tentativo di vanificare il contenuto della Costituzione riducendolo a meri principi astratti, con i ritardi nella creazione degli istituti fondamentali anche di garanzia, previsti dalla Carta Costituzionale, con la messa in discussione, in termini del peggior revisionismo, del grande afflato politico ed etico che contraddistinse la Resistenza.

La verità è che non furono fatti – in gran parte non lo si è fatto nemmeno ora – i conti col fascismo; questo Stato, che doveva uniformarsi alle perentorie indicazioni della Costituzione, non è mai riuscito a diventare veramente uno Stato antifascista.

Tuttavia, tutto questo non ci impedisce di ricordare quegli eventi e di richiamare l’attenzione di tutti sul fatto che un Paese che non si vanta delle pagine migliori della sua storia e che non le fa conoscere soprattutto ai giovani, sarebbe davvero condannato al declino.

È per questo che siamo qui, ancora una volta, a ricordare la Liberazione, nei suoi connotati di straordinarietà per il solo fatto dell’audacia di esserci contrapposti all’esercito più forte del mondo e soprattutto nel suo più profondo significato politico, che era quello di non rappresentare solo la conclusione di una sciagurata fase storica, ma era piuttosto quello di aprire la strada ad un futuro di democrazia, in cui libertà ed eguaglianza marciassero, di pari passo, in cui i diritti della persona, così come la dignità, fossero considerati alla stregua di beni intangibili ed inalienabili, il lavoro fosse il fondamento non solo economico, ma sociale e morale della Repubblica, la pace come il bene sommo da tutelare ad ogni costo.

Siamo qui per questo, dunque, per ricordare che questa è e deve essere la festa di tutti, e dunque anche di coloro che vivono in Italia da tempo e dovrebbero diventare cittadini, senza steccati culturali o religiosi.

Ma siamo qui anche per richiamare tutti alla necessità di superare un mondo fatto di ingiustizie, in cui alcuni poteri forti cercano di dominare il mondo, riuscendo solo a provocare disuguaglianza, miseria, fame, privazione di diritti, violenza e barbarie.

Siamo qui per non dimenticare il passato, ma al tempo stesso per guardare verso il futuro, sapendo che esso dipende da noi, dalle nostre scelte, dalla nostra volontà di partecipazione, di democrazia, di antifascismo. Siamo qui per restituire ai giovani la certezza di una vita dignitosa e la speranza di un futuro migliore. Siamo qui, in un giorno di festa, ma ricordando che il Mediterraneo è pieno di cadaveri, che in tutto il mondo infuriano guerre, che assassinii e barbarie minacciano la nostra vita e la nostra libertà.

Proprio per questo abbiamo voluto invitare un’ospite graditissima, che ringrazio ancora una volta per essersi sobbarcata uno scomodo viaggio, tra mille pensieri ed occupazioni, per venire qui con noi, a parlare di solidarietà, di accoglienza, di inclusione, dei problemi, cioè, che oggi si impongono alla nostra coscienza prima ancora che al nostro impegno ed alla nostra volontà (ndr: si riferisce alla presenza del Sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini).

Filo-spinatoNon accettiamo i muri, non vogliamo i fili spinati, non vogliamo un’Europa in preda agli egoismi ed alla discriminazione. C’è un dramma tra i più tremendi, in atto, le guerre nel mondo, le persecuzioni, le barbarie; e poi c’è la fame di interi popoli.

Che tanti cerchino di fuggire dalle loro sventure, correndo pericoli immensi, per affrontare l’ignoto che almeno consenta una speranza a fronte del nulla, dovrebbe quantomeno farci riflettere, tutti e prima di tutti i governanti. Ci dovrebbe far dire un NO fortissimo ai razzismi, alle discriminazioni, agli egoismi; e dovrebbero essere per primi i giovani a muoversi e prima ancora l’Europa Unita, se vuole essere ancora all’altezza del grande sogno di Altiero Spinelli.

Poi dovrebbe impegnarci tutti, nel quotidiano, per accogliere, per evitare lutti, dolori, tragedie. E dovremmo pensare non solo ad accogliere, anche con le cautele necessarie, ma consentire che il viaggio prosegua fino a dove può portare una speranza; dovremmo anche ricordarci che ormai la quota di stranieri che vivono in Italia da anni è formata da persone che sono cittadini e altri lo diventeranno, per ricordarci che anche a loro si rivolge la Costituzione, che assicura a tutti i diritti fondamentali, pur non dimenticando che ci sono anche dei doveri, la legalità, l’etica e, prima di tutto la solidarietà.

Se il Sindaco di Milano è qui a ricordarci che le città hanno bisogno di sicurezza e di serenità, e servizi efficienti; se la Segretaria della Cisl è qui a ricordarci che il lavoro è e deve essere il fondamento della Repubblica, se il professor Silvestri ci ricorda i primi passi della democrazia, nel 1946, sulla grande ondata democratica sollevata dalla Resistenza, e se infine Giusi Nicolini è qui a rappresentare l’impegno di una piccola comunità, il Comune di Lampedusa, della Marina e di tanti volontari per lenire le sofferenze, offrire un primo aiuto e purtroppo, assai spesso, per raccogliere cadaveri, noi siamo qui – l’ANPI della nostra gloriosa tradizione – a farci carico di tutto questo, assieme al ricordo dei nostri caduti e della Resistenza.

giulio-regeni-funerali003-1000x600E siamo qui, ancora una volta, a ricordare una vittima del sistema, un nostro fratello, Giulio Regeni, barbaramente torturato ed ucciso e sul quale non si riesce ad ottenere verità e giustizia. Non ci accontenteremo fino a quando non sapremo almeno la verità; non accetteremo i valzer della diplomazia troppo preoccupata di non turbare eccessivamente i rapporti commerciali con l’Egitto; non accetteremo che un governo militare ci prenda in giro ancora, raccontandoci storielle e fornendoci materiale inutile, anziché collaborare seriamente alle inchieste.

Non potremo mai più avere Giulio vivo, né riusciremo a lenire il dolore terribile dei suoi familiari; ma almeno la verità, l’assunzione di responsabilità, saranno un primo passo verso la giustizia. Soprattutto per ammonire, con tutte le forze che abbiamo, che fatti del genere non devono accadere mai più.

Anche questa vicenda drammatica ci costringe a rispondere ad una domanda che sorge spontanea, se cioè si possa ancora parlare di festa, quando c’è così poco da festeggiare.

Certo, il dubbio ha un fondamento, a fronte delle guerre, delle barbarie, della violenza in tutto il mondo; ed ha un fondamento anche in Italia, dove la crisi non è ancora risolta, le disuguaglianze aumentano, troppa disoccupazione e troppa incertezza per il futuro, crisi di valori (corruzione, decadenza dei partiti) mafia, criminalità. Tentativi di stravolgere la Costituzione. Pericoli per la rappresentanza dei cittadini e per l’effettivo esercizio della sovranità popolare. Il problema dei giovani, verso i quali abbiamo un debito enorme. E il neofascismo che imperversa, con lo Stato troppo inerte.

Tutto questo, è vero, ci fa pensare e talvolta ci fa dubitare. Ma noi sappiamo che bisogna reagire alla disillusione, all’indifferenza, al quieto vivere, ai razzismi, agli egoismi.

Contrapponendo i veri valori, quelli della Costituzione.

Allora, una festa è tale se è giorno di gioia, ma anche giorno di ricordo e di memoria, se è giorno d’impegno alla partecipazione, di impegno nel quotidiano per riscattare il Paese e riportarlo alla sua grandezza (conquistata con la Resistenza), al disegno costituzionale, alla volontà ed ai sogni dei combattenti per la libertà.

La Resistenza è stata sogno, sacrificio, utopie, vittorie, sconfitte, perdite; giorni belli e giorni difficili.

Ma abbiamo resistito e abbiamo vinto. Dunque, vincere si può, anche approfittando di un giorno di festa, per trovare la gioia di stare insieme e provare, insieme, a costruire un futuro migliore: una società più giusta ed equa, dove ci sia più libertà, più uguaglianza, più lavoro, più dignità, per tutti.

SogniÈ un sogno? Ma i sogni si avverano se si sanno compiere le scelte e se si sa gettare tutti se stessi verso l’obiettivo.

In fondo, è ciò che volevano i Resistenti, è ciò che volevano i nostri caduti.

In loro nome e per i nostri giovani, prendiamo in mano il nostro futuro e rinnoviamo l’Italia, diffondiamo l’idea della pace, della solidarietà; e questo sarà il frutto migliore di un giorno come questo. Avere saputo cantare e ridere, insieme, pensando che il mondo si può cambiare, si deve cambiare, se lo vogliamo fino in fondo e ci impegniamo a rispettare il lascito dei Caduti per la libertà.

Spesso, per concludere un discorso, si citano frasi celebri, di poeti, scrittori o caduti. Lasciatemi oggi concludere con una frase pronunciata dal presidente Mattarella a Varallo Sesia, che ho trovato bellissima: “È sempre tempo di Resistenza!”.

Carlo Smuraglia, Presidente nazionale dell’ANPI