Marsilio Rubegni, partigiano in Montenegro

Mio nonno si chiamava Marsilio Rubegni, era nato nel marzo del 1922 a San Giovanni d’Asso, in un podere chiamato “il bosco”. Penultimo di 7 figli e unico maschio, rimase orfano di padre quando aveva 3 anni e dovette iniziare a contribuire al bilancio familiare fin dalla tenera età. Era un uomo umile, riservato e quasi schivo nei modi. Non si è mai vantato dei suoi progressi e, se qualcuno gli rivolgeva una parola di stima o di apprezzamento, si limitava a sorridere, quasi imbarazzato che i suoi sforzi fossero stati notati.

I suoi diari partigiani sono un’istantanea dell’uomo che è stato per tutta la vita e delle sue caratteristiche fondamentali: un fortissimo senso di responsabilità, una passione viva per la lettura e l’apprendimento (dal suo punto di vista fondamentali nella vita di un uomo) e un innato senso di giustizia.

Partigiani della Garibaldi in Montenegro (wikipedia)

In quanto unico figlio maschio di madre vedova, non avrebbe dovuto essere reclutato. Alla fine del conflitto però quelle regole non contarono molto: la guerra macellava vite, richiedeva carne, e lui fu spedito al fronte. Fece due mesi di Car e poi ad Ancona (dove vide il mare per la prima volta) e da lì fu immediatamente imbarcato per il Montenegro.

Dopo l’8 settembre fu l’unico del battaglione a prendere la decisione di abbandonare il suo reggimento per unirsi a un gruppo di alpini che, comandato dal tenente Scocchera, andava a unirsi alle bande partigiane. Da piccola spesso gli ho chiesto: “Perché? Se tutti sceglievano di rispettare gli ordini, perché tu no, nonno? Non avevi paura? Come facevi a sapere che non ti sbagliavi?”. La sua risposta è sempre stata ferma: “Non lo sai mai se ti sbagli o meno. Però ci sono delle situazioni nelle quali è assolutamente chiaro cosa è giusto e cosa non lo è. E non c’è molto da pensare”.

Tra le pagine dei diari resta il dramma di quel settembre, un ottovolante di caos ed emozioni contrastanti: gioia, speranza, delusione… e abbandono. I fatti si accavallano incalzanti. Ogni aspettativa viene puntualmente delusa. La scelta viene fatta d’istinto e senza battere ciglio. A testimoniare la consapevolezza forse solo una breve constatazione: “Sono stato l’unico di tutto un battaglione di 120 uomini ad aggregarmi agli alpini”.

La medaglia della Liberazione

Il 2 giugno 2016, in virtù di quella scelta, a lui e a tutti i partigiani ancora in vita fu conferita dal ministero della Difesa la Medaglia della Liberazione. Fu per lui un grandissimo orgoglio e per noi un prezioso ricordo. La Resistenza per lui non era solo un momento storico cristallizzato nel tempo, era uno stile di vita. Una vita vissuta nella consapevolezza dell’importanza delle azioni quotidiane del singolo. Aveva una forte convinzione che il futuro si forgia con le piccole grandi azioni, quindi ogni gesto va fatto sforzandosi sempre di migliorarsi, di sollevarsi e, così facendo, contribuendo a risollevare la società tutta. Dal suo punto di vista ogni battaglia va intrapresa chiedendosi se porta un vantaggio individuale o per tutti: “O è per tutti o non è giustizia. È privilegio!”.

Rileggendo i diari, penso che il vuoto che ci ha lasciato è anche la naturale conseguenza di una vita lunga e spesa bene. Un altro nipote mi ha confidato che tutte le volte che gli parlava aveva l’impressione di imparare qualcosa, e di fatto era proprio così per tutti.

Una mia cara amica mi dice che tutte le volte che muore un partigiano ha l’impressione che svanisca un pezzo di storia e un brandello di memoria. Forse, ma a ben pensare i partigiani ci hanno lasciato tanti insegnamenti e non solo testimonianze. Molti dei diritti, che oggi io e le mie figlie possiamo esercitare in modo quasi distratto, sono frutto delle lotte e dell’impegno politico e sociale della loro generazione.

Dobbiamo avere il coraggio di prendere il posto dei nostri nonni e mantenere i valori della Resistenza nel nostro vissuto quotidiano affinché pace, libertà e diritti possano essere una realtà per tutte e per tutti. Dobbiamo fare il possibile per proteggere quanto guadagnato a caro prezzo e lottare perché gli stessi diritti possano essere integrati, allargati e diventare realtà non solo per noi, ma anche per le tante persone invisibili che si trovano oggi a vivere sul nostro territorio nazionale, spesso prive delle benché minime garanzie.

Grazie, nonno Marsilio.

Flavia Galletti