L’abbazia di San Giovanni in Fiore (in provincia di Cosenza)

Ci sono pagine di storia che non passano. San Giovanni in Fiore, “Capitale della Sila”, è nota per essere nata intorno all’Abbazia florense fulcro dell’ordine giocaminita che diffuse in tutta Europa il pensiero di Gioacchino da Fiore, il più noto fra i filosofi calabresi. Ma San Giovanni in Fiore è passata alla storia anche per un altro fatto: sono passati 100 anni da quella truce pagina in cui il fascismo, da pochi anni al potere, dimostrò tutta la sua violenza: la strage del 2 agosto 1925.

Luciano Canfora, filologo, storico dell’antichità e della filosofia. Antifascista

Oggi come ieri, e forse più oggi di ieri, è necessario tutelare la memoria di quei momenti in un periodo di revisioni e cancellazione della storia. Anche in Calabria, infatti, sono in molti a ritenere che “il fascismo abbia fatto anche cose buone”, dimenticando di quante violenze anche in queste contrade è stato capace di sporcarsi il regime di Benito Mussolini. Ma in fondo, come ha avuto modo di scrivere il filologo Luciano Canfora, la storia passa veramente quando non ha nulla da insegnarci. In questo senso neppure la storia degli Ittiti è passata veramente e noi dell’Anpi siamo fra quelli che non vogliamo dimenticare.

Una famosa foto di propaganda di Mussolini durante la battaglia del grano

La storia racconta che a causa della tragica situazione economica, una rivolta spontanea divampò nella cittadina in uno dei luoghi più evocativi del centro storico: il sagrato dell’Abbazia florense. Seguì l’arrivo delle milizie fasciste che spararono sulla folla, uccidendo 5 persone. Nella storia nazionale, il 1925 sarebbe stato ricordato come l’anno della “battaglia del grano” messa in campo dal regime fascista. Con questo nome, viene ricordata una battaglia autarchica con cui Benito Mussolini voleva raggiungere l’autosufficienza alimentare di quell’Italia che a quei tempi era economicamente una nazione prevalentemente agricola. Ciò nonostante, dei 75 milioni di quintali di frumento consumati annualmente dal popolo italiano, ben 25 milioni erano importati dall’estero, determinando così un deficit della bilancia commerciale.

Renato Guttuso. L’occupazione delle terre incolte

Le proteste popolari calabresi di quegli anni erano poi collegate anche alla necessità di superare il sistema del latifondismo, problema antico nel Meridione italiano che sarebbe finito con la riforma che seguì ai tragici fatti di Melissa, nel Marchesato Crotonese, nell’autunno 1949. A quei tempi, a San Giovanni in Fiore il Partito fascista non era riuscito ad attecchire in maniera vigorosa come altrove anche in Calabria e la città era diventata ben presto il punto di riferimento dei socialisti e dei comunisti della provincie di Cosenza e Crotone. Il Partito fascista, attraverso la sezione provinciale, nel tentativo di evitare la ricostruzione della “roccaforte socialista”, si apprestò ad operare opportune contromosse. Figure di primo piano della sezione provinciale del Partito fascista furono inviate nel febbraio del 1925 nella cittadina silana per affrontare l’annosa questione delle “cooperative contadine” che rischiavano di sciogliersi, comportando gravi problemi di ordine pubblico.

La maggioranza si dimostrò però molto debole in seno al Consiglio comunale, disorientata sul da farsi, costringendo il sindaco Romei a dimettersi dal proprio incarico. Venne nominato al suo un commissario governativo, Giovanni Rossi, che si trovò ad affrontare la difficile situazione finanziaria delle casse comunali. Per uscire dall’impasse, Rossi propose l’istituzione di nuove tariffe daziarie sostenendo che “il  mezzo più adatto e più tollerato dalla popolazione è il dazio al consumo che non ha avuto finora alcuna applicazione in questo Comune”. In questo modo si spostava il carico fiscale dal ceto proprietario alle classi popolari, soprattutto ai contadini che già non vivevano un periodo florido. Gli scontri sui possedimenti di terra e il diritto di poter coltivarne una parte erano all’ordine del giorno.

Quel giorno, il 2 agosto 1925, sul sagrato della chiesa si erano raccolti circa 2.000 sangiovannesi, donne comprese; tutti uniti dalla consapevolezza che, come ha scritto Franco Laratta, “fame e miseria regnavano in ogni quartiere”. I militari non avevano ricevuto ordini precisi e non sapevano cosa fare, come affrontare quella massa di persone disperate e affamate. Del tutto impreparati, alcuni di loro cominciarono a sparare, altri reagirono con durezza nella speranza di contenere la folla. Ma in realtà quegli spari provocarono il caos. Fra i morti, che furono cinque (Saverio Basile, Marianna Mascaro, Barbara Veltri, Filomena Marra, Antonia Silletta), ci fu pure una ragazza incinta (Filomena Marra). Un episodio tragico che fece esplodere il panico. San Giovanni in Fiore rimase sconvolta. La rabbia non si placava. Seguirono perciò giorni terribili, durante i quali il regime fascista dimostrò tutta la sua crudeltà e violenza, anche in queste periferiche lande silane.

Francesco Spezzano

Sempre per San Giovanni in Fiore, ricordava nel proprio saggio sulla storia del fascismo in Calabria il parlamentare Francesco Spezzano, che fra il 1919 ed il 1922 i contadini diretti da Stano Carbone, da Fausto Gullo e Pietro Mancini avevano occupato le terre feudali di San Bernardo, Germano e Buonolegno determinando la grande preoccupazione del prefetto che scriveva: “si è andato diffondendo nella coscienza dei contadini il motto la terra ai contadini. Tale motto trova grande considerazione e credito, perché affermano che questa era stata una promessa fatta al fronte. Ho disposto per ogni evenienza che quella stazione dei Carabinieri fosse rinforzata e perché in questo comune sia nuovamente istituita la delegazione di PS”.

A ravvivare la memoria di quei tragici giorni è stata posta una lapide che ne ha eternato la memoria, conservando anche i nomi delle vittime: Filomena Marra di 27 anni, contadina; Barbara Veltri di 23 anni, contadina; Antonia Siletta, di 68 anni, contadina; Marianna Mascaro 73 anni, contadina; Saverio Basile 33 anni, fabbro: tutti figli di quel popolo che, oggi come ieri, subisce sulla propria pelle più degli altri le prepotenze dei regimi di ogni tempo e colore.

Francesco Rizza, giornalista e membro della sezione Anpi di Petilia Policastro (Kr), autore di numerosi libri, tra cui “Fascismo, antifascismo e partigianato calabrese: memorie ed opinioni”  in cui si racconta anche l’eccidio