Filippo Travaglini, 95 anni (tutte le foto di Casoli sono di Mariangela Di Marco)

Filippo Travaglini, classe 1930, già insegnante e dirigente scolastico, ci restituisce con grande lucidità una fotografia degli anni della guerra, quando, tredicenne, ha assistito anche ai primi momenti costitutivi della Brigata Maiella, unica formazione partigiana ad aver avuto il conferimento della Medaglia d’Oro, la più importante fra le onorificenze militari. L’unica formazione che, liberato l’Abruzzo, a giugno 1944, fece ciò che nessuno aveva previsto: invece di sciogliersi, decise di continuare a combattere, risalendo l’Italia accanto agli Alleati, liberando Bologna, il 21 aprile 1945, fino agli altipiani di Asiago.

Casoli (CH)

Siamo a Casoli, in provincia di Chieti, alle pendici della Montagna Madre che conferì il nome alla brigata partigiana che qui si costituì ufficialmente il 5 dicembre 1943. Un luogo importante sulla Linea Gustav perché divenuto sede del Comando Maiella. A pochi chilometri da Torricella Peligna, paese natale di Ettore Troilo, guida ideale a politica della Brigata Maiella, avvocato socialista vicino a Matteotti che, dopo aver partecipato alla difesa di Roma contro i nazisti, tornerà per raggruppare i partigiani in una formazione che ne arriverà a comprendere circa 1.500. E poi giù, sul Mar Adriatico, Ortona, cerniera orientale della Linea Gustav conosciuta come la “Stalingrado d’Italia”, da cui re Vittorio Emanuele III, l’intero Stato maggiore del Regio esercito e tutti i membri del governo si imbarcarono il 9 settembre 1943 per fuggire a Brindisi, lasciando le truppe italiane allo sbando e senza ordini precisi.

Casoli, Piazza della Memoria

Nel corso dell’occupazione tedesca di Casoli, anche casa sua venne requisita dai militari nazisti?

Il 16 settembre 1943 Casoli venne occupata dai tedeschi. Casa mia e molte altre case, tra cui quella dei miei nonni, vennero requisite. Nella casa dei miei genitori requisirono tre camere, erano una decina di militari che uscivano la mattina con un camion e ritornavano la sera. Cosa facessero l’ho capito solo dopo, probabilmente minavano le infrastrutture nei dintorni per farle saltare in aria. Qui in paese, almeno per le prime settimane c’è stato un clima di sopportazione reciproca, ma fuori, nelle campagne…

Casoli, l’ingresso del campo di concentramento, uno dei 15 allestiti nella regione

Stupri, fucilazioni sommarie, razzie…

Esatto. Poi ci fu l’elemento di rottura: l’esplosione di Palazzo Di Florio che causò feriti e morti, civili e tedeschi. Era un deposito di ordigni bellici, munizioni e mine. Molte ricostruzioni storiche sono concordi sul fatto che fosse tutto pronto per far saltare in aria Casoli, esattamente come andò per gli altri paesi qui intorno.

Gessopalena, Montenerodomo, Palena, Taranta Peligna e moltissimi Comuni della Valle dell’Aventino.

Casoli fu il centro dove si rifugiarono gran parte degli sfollati. Anche casa mia fu danneggiata e molte altre case furono gravemente rese inagibili. Dopo pochi giorni arrivarono quattro camion tedeschi. Scesero tutti di corsa e puntando i fucili, presero con la forza gli uomini abili al lavoro e li misero in una stanza, dove oggi c’è il Bar Guglielmo. Da quel momento tutti avemmo paura. Poi li portarono a Pizzoferrato per costruire una strada.

Il Sacrario della Brigata Maiella

Dove nel febbraio 1944 ebbe luogo il più importante combattimento della Wigforce, la formazione mista composta da soldati inglesi e partigiani della Brigata Maiella.

Presero anche mio padre per i lavori forzati di Pizzoferrato. Dopo una ventina di giorni, si presentò a casa una persona di Casoli che aveva stabilito un rapporto con l’infermiere tedesco del campo di lavoro di Pizzoferrato. Propose a mia madre il ritorno di mio padre in cambio di 500 lire. A quel tempo era una grande somma. Mio padre aveva un negozio di alimentari e per nostra fortuna disponevamo di quella cifra, per cui mia madre acconsentì. Dopo qualche giorno mio padre tornò a casa con un certificato di inidoneità che divenne, per così dire, un lasciapassare sanitario molto utile anche dopo. Lo stesso certificato venne fatto anche per mio zio, che mi aveva addestrato: per tutto il tempo in cui i tedeschi si presentarono a casa, dovevo portarli in una camera da letto dove lui giaceva su un letto e dove io dovevo versare lo “spirito” (l’alcool etilico denaturato ndr) in abbondanza. C’era una puzza… Poi li facevo entrare nella camera e così se ne andavano, senza per mancare di prendersi qualche bottiglia dalla cristalliera. Anche lui, come mi padre, era commerciante e aveva diversi liquori in casa.

Nessuno scampò alle retate tedesche?

Alcuni si sono nascosti nel soppalco della Chiesa Maggiore a cui si accedeva da una finestrella. Era un posto sicuro nella parte alta del paese perché al tempo ci si poteva arrivare solo a piedi, i percorsi erano tutti a scalini e i tedeschi a piedi erano quindi facilmente individuabili. Quando si presentavano, il sacrestano indossava la stola e cominciava a suonare l’organo cantando in latino. I tedeschi, da quel che ha sempre raccontato chi era nel soppalco, se erano cattolici si facevano il segno della croce e uscivano, altrimenti bofonchiavano qualcosa e uscivano. Erano una ventina e si sono salvati tutti.

Partigiani della Brigata Maiella (Archivio fotografico Anpi nazionale)

Lei ha scritto un libro dal titolo “Una stagione felice” (Ianieri Edizioni, 1997) dove racconta i primi episodi della costituzione della Brigata Maiella. Ne ricorda i volti cotti dal sole, gli abiti stretti di chi “c’era cresciuto dentro”.

La mia è stata una posizione fortunata perché, a differenza di molti miei coetanei, in casa non mi è mai mancato nulla. Avevo 13 anni e con tutto quel via vai in paese avevo tanto da guardare. Vidi una ventina di ragazzi vestiti alla buona, con una bandoniera di traverso sulla spalla, quella giallognola degli inglesi, e le scarpe militari nuove ai piedi. Erano goffi con i fucili in mano e goffi erano anche quando dovettero assumere la posizione dell’attenti. Era gennaio del 1944 e probabilmente era l’arruolamento per quella che poi sarebbe stata la battaglia di Pizzoferrato.

Il comandante della Brigata Maiella, Ettore Troilo

Non ha mai conosciuto nessuno della Brigata Maiella?

Un mio amico Guido Vitacolonna, più grande di me di qualche anno, divenne partigiano. Lo seguì anche suo fratello Michele. Ma per chi tornò non vi fu vita facile: Guido per esempio emigrò in Svizzera, come quasi tutti i componenti della Maiella. Qui era tutto da ricostruire e i fondi per la ricostruzione sono arrivati negli anni Sessanta inoltrati, come tardivo è stato pure il riconoscimento da parte delle istituzioni alla Brigata Maiella, nel 1965. A Ettore Troilo va il merito di aver fatto anche questa battaglia.

21 aprile 1945, la Brigata Maiella entra a Bologna

Avendo visto e conosciuto alcuni di quei giovani partigiani, cosa sente di dire alle ragazze e ai ragazzi di oggi rispetto alle attuali vicissitudini politiche che vedono esponenti neofascisti al governo?

Ammiro molto chi ha avuto il coraggio di opporsi alla violenza, alle ingiustizie. Non è stato facile anche perché c’era l’indottrinamento fascista, che ho avuto anche io. Era un martellamento continuo e non ce ne rendevamo conto. Noi non abbiamo mai avuto un libro diverso da quello fascista. Confesso che a quel tempo pensavo di far parte del popolo più forte del mondo, mi sentivo vincente perché tutto il programma scolastico si rifaceva all’Impero Romano, sapevamo tutto di Roma imperiale e pensavamo di poter riprodurre quelle gesta e di essere tutti degli eroi. Eravamo chi più, chi meno da quella propaganda fascista ossessiva. Per cui dico ai giovani di oggi, studiate, onorate la vita con amore e di fronte alle difficoltà politiche e sociali reagite!

Casoli, Monumento della Memoria

Tra il 1940 e il 1943, Casoli è stata sede di uno dei 15 campi di concentramento abruzzesi allestiti dal regime fascista, dove sono stati internati 218 civili ebrei e stranieri. Alcuni di loro furono deportati ad Auschwitz. Ebbe mai delle occasioni di contatto?

Per la licenza media, i miei genitori mi regalarono una bicicletta e d’estate me ne andavo in giro con altri amici. Alcuni internati avevano una bicicletta e si univano a noi, erano degli ebrei benestanti, ma non parlavamo perché erano circospetti. Nel ’41 arrivarono poi gli slavi, il loro trascorso con gli italiani li rendeva molto diffidenti.

A fronte di quanto il popolo d’Israele ha subìto prima e durante la seconda Guerra mondiale, cosa pensa di ciò che il governo di Benjamin Netanyahu sta commettendo nei confronti del popolo palestinese?

Sono stato ad Auschwitz ed è impressionante di come l’uomo possa pensare di distruggere ed annientare un altro uomo in maniera programmata. Un grado di ferocia che non ha avuto limiti. Attualmente ciò che sta compiendo Netanyahu ritorna criminalmente allo stesso meccanismo, ovvero programmare l’eliminazione di un popolo, quello palestinese. È di una gravissima pericolosità per la storia dell’umanità.

Mariangela Di Marco, giornalista