5 maggio 1945, i carri dell’11ª divisione corazzata Usa entrano nel campo di concentramento di Mauthausen

Il 5 maggio 1945 era una giornata soleggiata a Mauthausen, pochi chilometri da Linz, in Alta Austria. Verso le 12.00 si sentì un forte rumore di motore, poi comparvero, emergendo dalle tracce di nebbia, un automezzo bianco, quello di Haefliger, delegato della Croce rossa, e due autoblindo da ricognizione americane al comando del sergente maggiore Albert J. Koziek.
“Quel giorno – ricordava uno dei testimoni, Heinrich Kodré – la piazza dell’appello pullulava come sempre di detenuti, un’immagine che mi ricordava quella dei prigionieri che cercavano di arrampicarsi sul muro […] poi ci fu un improvviso scoppio di gioia…la guardia del Jourhaus aprì il portone principale, da dove entrò un autoblindo da ricognizione americano”.

I 186 scalini della “Scala della morte”. I deportati dovevano trasportare sulle spalle i massi scavati nella cava sottostante

I liberatori videro cataste di cadaveri e accanto oltre 16.000 deportati, per lo più giovani, ancora vivi, molti in condizioni fisiche disperate perché non c’era preparazione né attrezzature di soccorso per rispondere ai danni di una simile segregazione. Nel KZ di Mauthausen morirono di lavoro e soprusi oltre 100.000 di deportati politici, e moltissimi erano italiani.

Il 16 maggio, in occasione del rimpatrio del primo contingente di deportati, i sopravvissuti di ogni nazionalità presenti nel lager assunsero un impegno con un appello-giuramento che ha trovato poi riscontro in molte dichiarazioni successive, in particolare nella nostra Costituzione.

Appello del Comitato internazionale di Mauthausen

Aldo Carpi, “L’ultimo compagno nel forno crematorio di Gusen”, 1944. Gusen era uno dei sottocampi del KZ austriaco

“Si aprono i portoni di uno dei campi più duri e sanguinari: il campo di Mauthausen. Torneremo in tutte le direzioni nei nostri Paesi liberati dal fascismo. I prigionieri liberati – fino a ieri minacciati di morte dalle mani dei boia della bestia nazista – ringraziano dal profondo del cuore le nazioni alleate vincitrici per la liberazione e salutano tutti i popoli al grido della libertà riacquistata.
La permanenza per tanti anni nei lager ha approfondito in noi la comprensione per i valori della fratellanza tra i popoli.
Fedeli a questi ideali giuriamo, solidali e unanimi, di continuare la lotta contro l’imperialismo e l’incitamento all’odio nazionale. Così, come il mondo è stato liberato dalla minaccia della supremazia hitleriana con uno sforzo comune di tutti i popoli, dobbiamo considerare questa libertà conquistata come un bene comune di tutti i popoli.
La pace e la libertà sono le garanzie della felicità dei popoli e la ricostruzione del mondo su nuove basi di una giustizia sociale e nazionale è l’unica via per una collaborazione pacifica tra gli stati e i popoli. Noi vogliamo, adesso dopo aver riconquistato la nostra libertà e dopo la lotta per la libertà delle nostre nazioni, conservare nella nostra memoria la solidarietà internazionale del lager e trarne i seguenti insegnamenti:
Percorreremo una via comune, la via della libertà indivisibile di tutti i popoli, la via del rispetto reciproco, la via della collaborazione per questa opera che è la ricostruzione di un mondo nuovo, giusto e libero per tutti.
Ci ricorderemo per sempre con quali sacrifici enormi e di sangue di tutte le nazioni questo nuovo mondo è stato conquistato.
In memoria del sangue versato di tutti i popoli, in commemorazione dei milioni di fratelli uccisi dal nazifascismo giuriamo che non lasceremo mai questa via. Sulle fondamenta sicure di una società internazionale vogliamo erigere il più bel monumento per i soldati caduti per la libertà: IL MONDO DELL’UOMO LIBERO.
Ci rivolgiamo a tutto il mondo con il grido: aiutateci in questo lavoro!
Viva la solidarietà internazionale!
Viva la libertà!” .

Aldo Pavia, presidente Aned Roma