Aldo Tortorella (foto Imagoeconomica)

«Viene definita antipolitica. Ma credo sia più corretto definirla un cascame di politica reazionaria» ci risponde Aldo Tortorella quando gli chiediamo se il referendum sul taglio dei parlamentari che si terrà a giorni, è figlio diretto di quella concezione politica che passa sotto il nome di antipolitica, quella che, per sintetizzare, nell’Italia repubblicana parte da L’Uomo qualunque di Giannini per approdare a Beppe Grillo e al Movimento Cinque stelle. L’anziano partigiano e dirigente comunista – che ha vissuto da protagonista la fase, «ricca di speranze», del Pci berlingueriano e poi la dissoluzione del partito che ha preso il via con la Bolognina – va dritto al cuore della questione: «Il taglio lineare dei parlamentari si nutre certamente di quell’antipolitica che alligna da sempre nella pancia del Paese, ma è ben altro e ben più pericoloso. È un progetto politico. La mannaia sui seggi parlamentari non c’entra nulla con i risparmi, meno che mai con l’efficienza delle assemblee legislative. Il taglio dei parlamentari, così come concepito dai promotori del Sì, mira a delegittimare la democrazia rappresentativa per avviare di fatto un pericolosissimo neo-autoritarismo. Mi fa pensare alle invettive del fascismo contro i “ludi cartacei”. Ecco perché la posta in gioco il 20 e 21 settembre è grossa. Si deve capire che la difesa della democrazia non deve mai essere abbandonata. Non ci si deve illudere che la democrazia sia per sempre. È una lezione che i vecchi uomini della sinistra, che avevano vissuto la dittatura, conoscevano bene. Oggi invece…».

Partito come sicuro vincente, con oltre l’80 per cento dei consensi, il fronte del Sì, almeno a leggere gli ultimi sondaggi, arriva al voto fortemente ridimensionato. Il No, pur se onestamente è difficile scommettere su una sua vittoria, ha rimontato parecchie posizioni sia nel mondo politico sia nella società. Che spiegazione ti dai?

Questa rimonta è abbastanza logica perché c’è una parte dell’opinione di sinistra moderata che ha inteso la trappola in cui si è cacciato il Pd, che ha votato tre volte contro e una volta a favore di questo taglio lineare per compiacere il proprio nuovo alleato di governo. Un giro di valzer abbastanza preoccupante, nel senso che si è anteposta con leggerezza la sorte di un governo alla sorte della Costituzione. C’è una parte significativa dell’elettorato del Partito democratico che ha manifestato in parecchie zone del Paese un certo fastidio per la indicazione di approvare questo referendum, indorato con vaghe ed evanescenti promesse di correttivi, che peraltro al momento sono in alto mare ed estremamente incerti. Se i No (sciaguratamente) non prevalessero ma riuscissero però ad ottenere un risultato significativo ed importante le promesse oggi vane potrebbero, forse, realizzarsi.

Una copia del 1949 del periodico del partito dell’Uomo Qualunque

Il taglio del numero dei parlamentari in altri tempi era stato avanzato anche da forze di sinistra. Mi riferisco alla proposta datata 1985, di cui si fece promotore, tra gli altri, Rodotà e che mirava non solo a ridurre il numero dei membri della Camera, ma anche a sostituire il bicameralismo paritario con il monocameralismo puro. Questo precedente può aver contribuito all’incertezza di una parte dell’opinione democratica?

Quell’elettorato di cui parli ha capito bene che quelle proposte antiche avevano un taglio e una prospettiva del tutto opposti all’attuale rasoiata. Si poteva essere o meno d’accordo con l’iniziativa di Rodotà ma è innegabile che andava nella direzione di un rafforzamento dei poteri della Camera per tutto ciò che l’accompagnava. Come, ad esempio, il rigetto della decretazione d’urgenza, abusata dai governi di allora (e ancor di più da quelli di oggi). Il significato ultimo di questo taglio, invece, è puramente e semplicemente di dare un duro colpo in direzione di una ideologia antiparlamentare e di una pratica di concentrazione del potere nelle mani dei gruppi dirigenti di quelli che solo con enorme fatica riesco a definire partiti, perché di fatto altro non sono che associazioni che fanno capo a singole persone. Nelle quali i tifosi, anzi i fans, hanno sostituito i militanti».

A pronunciarsi per il No sono anche molti esponenti di spicco del centrodestra.

È vero. Non si deve nascondere che c’è stato un risveglio tra le forze della destra. Che ha però un segno diverso, quello cioè di un tentativo di rovesciamento del governo attuale. D’altronde anche nel caso degli insuccessi dei referendum costituzionali proposti da Berlusconi e Renzi, quei governi, come è ovvio che sia, non sono stati abbattuti dal voto referendario, ma sono poi caduti per le loro contraddizioni. Alcuni esponenti della destra, in primo luogo della Lega, hanno assunto furbescamente la causa del “No” perché non fosse tagliato fuori il loro movimento da un eventuale buon risultato. E tuttavia è un segno importante anche la posizione di questi gruppi della destra, perché in definitiva sono costretti loro stessi a denunciare l’assurdità di questo taglio che ha come unico scopo quello di indebolire il parlamento.

Una vignetta di Maramotti

I Cinque stelle ritengono che il Sì al quesito otterrà comunque una valanga di voti, voti che loro potranno intestarsi.

La cosa grave di questo referendum è che esso è stato preceduto da una campagna antiparlamentare furibonda, che ha fatto presa tra gli strati popolari più disagiati. L’attacco alla cosiddetta “casta” ha sfoggiato un vecchio armamentario che esiste da quando è stata inventata la democrazia rappresentativa –la rabbia e il disprezzo nei confronti dei politici, senza distinzioni – ma si è nutrito nello stesso tempo anche dei madornali ed imperdonabili errori che sono stati compiuti in questi ultimi 30 anni almeno, dalle forze democratiche e di sinistra, che non si sono accorte di quanto si stavano allontanando dal proprio elettorato. E quando se ne sono accorte era troppo tardi: quelle persone, quei ceti sociali che erano stati lasciati soli ad affrontare i colpi della globalizzazione, non hanno più riconosciuto la sinistra come rappresentante e interprete dei loro interessi. Quella connessione sentimentale col proprio popolo, che è stata parte della grandezza della sinistra, si era tramutata in indifferenza e distanza. Non è colpa della gente semplice, se è stata convinta che i parlamentari sono troppi, che sono dei mangiapane a ufo, che “tutti corrotti e tutti ladri”. La politica condotta sia dalle formazioni di centrodestra, sia dalle formazioni di centrosinistra, non è stata capace di intendere le sofferenze e i guai di tanta parte del popolo lavoratore. Nei periodi di grande crisi le forze antidemocratiche avanzano, ce lo insegna la storia. Non dimentichiamo che il consenso iniziale al fascismo è durato fino alla sconfitta militare nella guerra. Questo per dire che questa deriva antiparlamentare e antidemocratica che oggi viviamo si nutre anche di ascendenze lontane, quasi ancestrali.

Tra le tante bugie propalate dai promotori del Sì c’è quella che sostiene che un parlamento ridotto all’osso sarà anche un parlamento più produttivo ed efficiente.

Anche questa è una opinione che si fonda su un semplicismo: meno si è più presto si decide. Il che è una sciocchezza. Meno si è più decidono i capi, questa è la verità. Ricordo Berlusconi quando sosteneva che era inutile che in parlamento ci fossero così tante persone, “basta”, diceva, “che ci riuniamo coi capigruppo e i problemi si risolveranno più facilmente”. Come vedi il suo pensiero non è poi così diverso dagli uomini nuovi che volevano aprire il parlamento come una scatoletta di tonno. Ma il parlamento non è, fino a prova contraria, un consiglio di amministrazione in cui a decidere è l’amministratore delegato. È, quando fa bene il suo lavoro, rappresentanza dei territori, delle classi sociali, della varietà del Paese. È il luogo della sintesi e del confronto. Un lavoro faticoso e lungo. D’altronde la velocità della decisione spesso è negativa rispetto alla validità della decisione medesima. Ed è pericolosa in tempi di turbolenza e di guerre diffuse.

Da “uno vale uno” ad “uno solo è meglio” il passo è stato breve?

Il paradosso è che col taglio dei parlamentari i cosiddetti “populisti” che si presentano come difensori del popolo cercano di tenere i loro rappresentanti (cioè i deputati e i senatori) il più lontano possibile dal popolo. L’Italia, se passasse il Sì, diventerebbe l’ultimo Paese d’Europa nel rapporto tra rappresentati e rappresentanti. Avremmo poco più di mezzo deputato per centomila abitanti, e un senatore ogni 300mila. È chiaro che un parlamentare così lontano e distante dal corpo elettorale ha una maggiore dipendenza dal gruppo dirigente, dal capopartito e, in ultima analisi, dai poteri economici che esistono nella società. C’è indubbiamente una contraddizione nei Cinque stelle. “Uno vale uno” è una parola molto popolare e può sembrare persino democratica e libertaria. Soltanto che questa espressione ha perso peso e valore con l’adesione ad un gruppo politico in cui uno valeva per tutti e cioè il capo fondatore e padrone del marchio depositato che ha nelle sue mani l’ultimo potere di decisione.

Il combinato disposto della riduzione drastica del numero dei parlamentari ed una legge elettorale con sbarramento, porteranno alla cancellazione dei partiti minori dal panorama politico?

Coloro che hanno proposto questo taglio vogliono la eliminazione dei partiti minori che vengono considerati soltanto un fastidio sulla strada della concentrazione del potere, perché, in genere, portatori di un pensiero altro. Il risultato finale di questa riforma è che la rappresentanza si ridurrà, nel senso che eliminando i partiti piccoli e medio-piccoli si finisce per stimolare l’astensione, perché se l’offerta politico-elettorale è limitata è ovvio che tante persone si scoraggiano alla partecipazione, perché non trovano in coloro che si propongono come rappresentanti, la propria idea del mondo, la propria inclinazione.

L’Italia è sull’orlo di una deriva autoritaria? È il ritorno – ma quando mai è andato via? – del fascismo eterno, come lo chiamava Umberto Eco?

Non è il vecchio fascismo che torna, anche se alcuni segnali che arrivano dalle pieghe della società sono parecchio preoccupanti, ma il sistema che si prefigura con questa riforma nella sostanza riproduce le movenze di una politica la quale tende all’autoritarismo. La crisi del parlamentarismo e della democrazia parlamentare è reale, e non serviva Grillo per scoprirlo, ma è una crisi che non dipende, come si vuol dar a credere, dalla difficolta di funzionamento dei parlamenti, bensì dalle scelte sociali ed economiche delle classi dirigenti.

Da una parte si riduce la rappresentanza e dall’altra si allarga il ruolo dello Stato nell’economia? Non ti sembra una contraddizione?

Questo nuovo interventismo dello Stato corrisponde ad una necessità, perché la dottrina sulla quale si è vissuto in questi anni, e alla quale hanno ceduto i partiti della sinistra, era quella di una riduzione assolta dell’intervento pubblico nell’economia. Quella politica è fallita miseramente con la crisi del 2008 e si è tornati sui propri passi. È certo una conferma che avevano ragione coloro che criticavano a fondo il liberismo. Ma anche qui stiamo attenti ai facili entusiasmi. Basti solo pensare che sono stati i liberisti americani a perorare con forza il drenaggio di risorse pubbliche, decine di migliaia di miliardi, per salvare le banche e ricominciare come prima. Lo Stato cioè non come regolatore ma come prestatore di ultima istanza. In Italia assistiamo ad una dilatazione mai vista dell’intervento della Cassa depositi e prestiti. Può essere un bene, ma non è detto e non è scontato sia così. Tanto più il potere è concentrato tanto più lo Stato può essere l’equivalente di una mucca da mungere per il privatismo del profitto. Occorre lottare perché l’intervento pubblico nell’economia non diventi semplicemente la committenza pubblica a favore di questa o di quella impresa, di questo o quel gruppo capitalistico, ma si svolga secondo un piano che corrisponda all’interesse generale e, innanzitutto, dei più disagiati. Una cosa però mi preme sottolineare.

Prego.

Non bisogna cedere allo sconforto. Una nuova generazione va sorgendo e da essa verrà anche una più attenta lettura del passato e già vengono e verranno stimoli nuovi. Per quanto la destra si faccia forte riproponendo le vecchie ricette del bastone e della carota, mai così forti sono state le ragioni per cui la sinistra è nata. Dalla tragedia dell’abisso tra miseria estrema ed estrema ricchezza, alla rovina ambientale di uno sviluppo capitalistico pensato come infinito in un mondo finito.