I sacelli al Sacrario delle Fosse Ardeatine sono 336: uno è dedicato a tutti i Martiri delle stragi nazifasciste in Italia; gli altri sono numerati da 1 a 335: l’ordine con cui vennero ritrovati i corpi. Il prof. Gesmundo è al sacello n.20, don Pappagallo al 116

Un omaggio ai Caduti che si rinnova e si perpetua anche grazie agli antifascisti. La sezione cittadina dell’Anpi Lecco ha ricordato nel 77° delle Fosse Ardeatine i Martiri della furia nazifascista, nel segno della memoria attiva. Dedicando a tutti i Caduti del 24 marzo 1944 nella cava capitolina il ricordo di Gioacchino Gesmundo, Medaglia d’Oro al Valor Militare, e di don Pietro Pappagallo, Medaglia d’Oro al Merito Civile. Entrambi erano nati a Terlizzi, in provincia di Bari, entrambi si erano trasferiti a Roma, entrambi vennero arrestati il 29 gennaio ’44.

Il docente aveva 20 anni meno del sacerdote. Si incontrarono in via Tasso nella famigerata sede del Comando nazista: Gioacchino Gesmundo usciva dalla cella 130 con la camicia insanguinata per le torture, ora tra le reliquie conservate al Museo della Liberazione, l’altro vi entrava.

Ora il professore riposa nel sacello n. 20 e don Pietro Pappagallo nel sacello 116.

“Un fiore e via …”, è il titolo della celebrazione dello scorso 27 gennaio promossa dall’Anpi nel paese pugliese delle loro origini e anche una intensa poesia civile.

A seguire la Sezione Anpi Lecco vi propone le biografie dei due Caduti, perché nella loro sinteticità raccontano di valori universali capaci di unire, come fu nella lotta di Liberazione, tradizioni politiche e credi diversi: libertà, democrazia e solidarietà. Valori riassunti nell’antifascismo, sancito in ogni articolo della Costituzione Italiana, conquistati anche grazie a quei Martiri.

UN FIORE E VIA…

Terlizzi (BA), 27 gennaio 2021 “Un fiore e via…”

Il coprifuoco scattava alle 17, ed era rigoroso. Non c’era il covid ma c’era la guerra. A partire da quell’ora, benché ci fosse ancora un filo di luce, Roma era deserta.
È che volevano pochi testimoni, i nazi-fascisti… Molti delatori assoldati e pochi testimoni. Così procedevano all’arresto dei Giusti.
Toccò anche ai due resistenti di Terlizzi, nella fredda serata romana del 29 gennaio 1944: don Pietro Pappagallo arrestato alle 17.00, il prof. Gioacchino Gesmundo alle 18.30.
Fermati e tradotti entrambi nel famigerato carcere di via Tasso, dove avrebbero trascorso quasi due mesi d’inferno, prima di essere trucidati insieme, alle Fosse Ardeatine.
Alla base del monumento che li rappresenta nella città d’origine, deporremo un fiore, questa sera. Ai fiori più belli della città dei fiori. A ricordo della loro tempra, dei loro valori, del loro calvario.
Un fiore e via… In ordine sparso, distanziati, ma stretti dall’abbraccio corale ai martiri e a ciò che rappresenta la loro esemplarità, dopo 77 anni.
Avverrà a partire dalle 18.30, ad iniziativa dell’Anpi. Fiori fino a notte fonda, per chi vorrà, quando i due arrestati vennero interrogati e torturati.
E s’incontrarono nel corridoio del carcere, l’uno che usciva dalla stanza del supplizio, l’altro che vi entrava: Gioacchino tumefatto e con la camicia insanguinata.
E si sfiorarono, per farsi coraggio. Quando la delicatezza e l’amicizia sono balsamo!
Un fiore per la libertà, questa sera.
Un fiore per la democrazia.
Un fiore per la giustizia sociale e il rispetto della dignità umana.
Valori da non sciupare, da custodire, da coltivare.


Il professor Gioacchino Gesmundo

La camicia insanguinata del professor Gioacchino Gesmundo, torturato per due mesi a via Tasso prima di morire alle Fosse Ardeatine. La camicia è conservata nel Museo di Liberazione di via Tasso a Roma

Nato a Terlizzi (Bari) il 20 novembre 1908, ucciso alle Fosse Ardeatine (Roma) il 24 marzo 1944, insegnante, Medaglia d’Oro VM alla Memoria.

Laureato in storia, filosofia e pedagogia, aveva insegnato a Formia ed era poi diventato docente al liceo scientifico “Cavour” di Roma. Nella capitale si affermò presto come studioso e, soprattutto, per il suo rigore morale e per le doti di educatore, capace, come fu, di trasfondere nei giovani allievi i principi di libertà.

Subito dopo la caduta del fascismo, il professor Gesmundo si era iscritto al Partito comunista e, all’indomani dell’8 settembre 1943 prese parte alla guerra di Liberazione nelle file della Resistenza romana. Attivo promotore del Cln a Roma, sotto l’occupazione tedesca ospitò nella sua casa di via Licia, prima la redazione clandestina dell’Unità e poi l’arsenale dei Gap romani, di cui faceva parte. Il 29 gennaio 1944, poco dopo lo sbarco degli Alleati ad Anzio, nella casa del professore, che era stato nominato vice commissario di Divisione delle formazioni della Resistenza romana, fece irruzione la polizia fascista.
Gesmundo stava preparando un’azione di sabotaggio contro i mezzi di trasporto tedesco e i fascisti trovarono nel suo appartamento due sacchi di chiodi a tre punte.

Arrestato, il professore fu portato nelle carceri di via Tasso (nel Museo storico della Liberazione si conserva ancora, di Gesmundo, una camicia lorda di sangue), per esservi interrogato.
Nella motivazione della ricompensa al valore si ricorda che “venne sottoposto per un mese intero a inenarrabili torture, stoicamente sopportate a tutela del segreto militare e politico che custodiva. Condannato dal Tribunale di guerra tedesco alla pena capitale, con la fermezza degli Eroi affrontò la morte alle Fosse Ardeatine tramandando ai posteri fulgida prova di fede nella dura lotta per la conquista della libertà”.

Roma, via Tasso. Al civico 145 durante l’occupazione della Capitale era la sede Sicherheitspolizei, dalla quale dipendeva la Gestapo

Don Pietro Pappagallo
Nato a Terlizzi (Bari) il 28 giugno 1888, eliminato dai tedeschi alle Fosse Ardeatine (Roma) il 24 marzo 1944, sacerdote, Medaglia d’Oro al Merito Civile

Giunto a Roma nel 1925 era stato vice parroco della basilica di San Giovanni in Laterano, oltre che “padre spirituale” delle Oblate di via Urbana.
Come sottolinea la motivazione della decorazione al merito civile (che, nel 1999, gli ha attribuito il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi), “…durante l’occupazione tedesca collaborò intensamente alla lotta clandestina e si prodigò in soccorso di ebrei, soldati sbandati, antifascisti ed Alleati in fuga, dando loro aiuto per nascondersi e rifocillarsi.
Tradito, fu consegnato ai tedeschi, sacrificando la sua vita …”.

Aldo Fabrizi in “Roma città aperta” interpreta il personaggio di don Pietro Pellegrini, ispirato alla figura di don Pietro Pappagallo

Dalla vicenda del sacerdote pugliese aveva tratto spunto, nell’immediato dopoguerra, Roberto Rossellini che, nel girare Roma, città aperta aveva fatto interpretare ad Aldo Fabrizi il ruolo di don Pappagallo.
A Roma al valoroso sacerdote è intitolata una sezione dell’Anpi; sulla casa di via Urbana, dove aveva abitato, lo ricorda una lapide. Nel 2000, Giovanni Paolo II ha fatto includere il nome di don Pietro tra quelli dei Martiri della Chiesa del XX secolo.