Giacomo Fossati “Romolo” e Angelo Gonella “Remo”

Due camion si fermano al bivio.

Quattro giovani legati vengono fatti scendere a forza, strattonati da alcuni militi in camicia nera; con loro scende anche un prete, il canonico Raspino.

Terrei, pietrificati, vengono allineati sul ciglio.

Sull’altro camion si alza il telone: una insistita raffica di mitraglietta li falcia.

I due camion ripartono, don Raspino rimane lì accanto, inginocchiato a pregare e benedire.

Sono le quattro del pomeriggio del 15 febbraio del 1945.

Il bivio è quello per Cervignasco sulla statale Saluzzo–Pinerolo.

Così vengono trucidati quattro giovani della 105° Brigata Garibaldi “Carlo Pisacane”. I loro nomi sono: Raffaele Sansone, Giuseppe Beltramone, Giacomo Fossati, Angelo Gonella.

Sansone, 24 anni, è di Messina; Beltramone, 23 anni, di Barge: Fossati, non ancora diciassettenne, e Gonella, diciannove anni appena compiuti, sono racconigesi. La tragica morte li accomunerà per sempre, così come li aveva accomunati in vita la militanza partigiana.

Da quando avevano raggiunto i garibaldini della Brigata Pisacane stavano quasi sempre insieme. Vuoi perché erano dello stesso paese, vuoi soprattutto perché avevano scoperto di essere, come si diceva un tempo, “fratelli di latte”, di essere stati cioè allattati dalla stessa balia. Anche i nomi di battaglia li avevano scelti per ricordare questa specie di gemellaggio: Romolo (o Romoletto) Fossati, Remo Gonella.

Lavoravano per l’Intendenza della Brigata, anzi, della Divisione. Il loro comandante, un siciliano burbero ma paterno, Etna era il suo nome di battaglia, li aveva destinati insieme alla ricerca di vettovaglie, indumenti, calzature in una zona di pianura però abbastanza sicura, che gravitava attorno a Villafranca Piemonte, dove avevano la loro base in una piccola stanzetta.

Per diversi mesi tutto fila abbastanza liscio per i nostri due giovani “gemelli di latte”, fino a quando, il 5 febbraio ’45, si trovano al centro di una spietata vicenda molto più grande di loro.

Una molto ben pagata delazione avverte il comando delle brigate nere di Pinerolo che a Villafranca quel giorno si sarebbero trovate tre figure di assoluto rilievo della Resistenza piemontese. Erano Leo Lanfranco, leader operaio torinese, organizzatore degli scioperi del marzo ’43, al momento commissario politico della Divisione Garibaldi; i fratelli Ettore ed Enrico Carando, rispettivamente Capo di stato maggiore ed Ispettore generale della stessa formazione.

La cittadina lungo il Po viene messa a ferro e fuoco: non solo vengono catturati i tre esponenti di spicco, ma anche quasi tutti coloro che avevano a che fare con la Resistenza, compresi i due giovani partigiani racconigesi.

Leo Lanfranco, Ettore ed Enrico Carando vengono torturati, massacrati e poi impiccati sulla piazza principale. Fossati e Gonella, assieme ad altri partigiani, sono trasportati al comando di Pinerolo, dove sono interrogati e torturati per diversi giorni. Infine, caricati su un camion con Sansone e Beltramone, sono avviati, non si sa bene perché, verso Saluzzo. Al bivio di Cervignasco il tragico e sanguinoso epilogo.

Quel giorno di metà febbraio ’45 era una giornata limpida e tersa, spirava un vento che pareva annunciare la primavera, che sarebbe arrivata da lì a poco. Romolo e Remo non la vedranno mai.

Stroncati sul fiorire della loro giovinezza dalla ferocia nazifascista, Giacomo Fossati e Angelo Gonella sono le vittime; i fascisti i carnefici.

Non vi potrà mai essere equiparazione.

Giacomo Fossati è stato insignito della Medaglia d’Argento al Valor Militare. Racconigi gli ha dedicato una via. Angelo Gonella è stato forse dimenticato: sarebbe ora di ricordare anche lui.

Pierfranco Occelli, presidente sezione Anpi di Racconigi