Nell’ambito della ormai rovente e attuale polemica tra governo e magistratura, si sta facendo sempre più strada, per bocca di importanti esponenti dei partiti che formano l’odierna maggioranza politica, di ministri e componenti del governo, e della stessa presidente del Consiglio, la richiesta alla magistratura di essere coerente con le scelte e le linee politiche governative e di maggioranza, tacciando di sovversivismo e di opposizione politica le pronunzie (o anche solo le richieste) giudiziarie sgradite a chi oggi, per avere vinto le ultime elezioni nazionali, guida il Paese.
A questa malintesa, e neppure tanto suggestiva, presa di posizione corale, vanno comunque rivolti alcuni rilievi. 1) La Costituzione della Repubblica Italiana, quella che l’intero governo si impegna, giurando, a rispettare, ipotizza uno Stato organizzato su tre poteri fondamentali. Ci si perdoni la pedante e più volte ripetuta esplicazione di come agiscono e si rapportano quei poteri, ma è il caso di ricordare che c’è un Parlamento, in rappresentanza dei cittadini, che fa le leggi sulle quali si regola e organizza la società; c’è un governo, o meglio un Consiglio dei ministri, che guida la politica dello Stato nel senso della corretta applicazione delle leggi varate dal Parlamento; c’è un potere giudiziario, indipendente e autonomo (art. 104 Cost.), incarnato dalla Magistratura, che deve controllare che tutti, nessuno escluso, agiscano nel rispetto delle leggi, governo compreso. 2) Ma tale assetto dei poteri non può prescindere da un altro principio, magari non esplicitamente dichiarato ma che pronuncia da ogni singola parte della legge fondamentale, la Costituzione, che regola la vita dello Stato come comunità democratica (art. 1) e che fonda il principio dello Stato di diritto: cioè, tutti i cittadini sono soggetti alla legge senza distinzione alcuna (art. 3, 1° comma).
Tale principio, riassunto nell’art 3, 1° comma Cost., afferma che non vi sono cittadini, di ogni stato, rango e funzione, che possono sottrarsi alla legge, come fattore di livellamento e uguaglianza di tutti gli esseri umani che compongono la comunità dei cittadini. Diversamente, Vi sarebbero soggetti e persone che potrebbero pretendere di prevalere su altri e sulle situazioni relazionali che intercorrono tra coloro che dello Stato fanno parte e che nello Stato vivono e operano.
3) Facendo sintesi tra i due punti evidenziati in precedenza, se ne trae una rigorosa e limpida conseguenza. Il potere giudiziario, e cioè la magistratura, quale organo di controllo che applica le leggi, svolge la sua funzione nel senso di controllare che il rispetto delle medesime, che chiamiamo legalità, venga osservato sempre e comunque. Cioè che chiunque, qualunque incarico, mandato o funzione rivesta, agisca sempre in conformità delle leggi. E questo compito lo svolge, per l’appunto, la magistratura; piaccia o non piaccia; si concordi o non si concordi sul come e il perché.
È proprio quel meccanismo sopra descritto, del tutto chiaro, logico e lineare, che sembra suscitare i veementi anatemi del governo e di chi lo sostiene. Infatti il governo, e la sua maggioranza, sostengono che il voto popolare, cioè la sovranità che appartiene al popolo, lo ha investito del potere di guidare lo Stato, svolgendo le scelte politiche che esso ritiene; dunque sia il Parlamento, che comprende anche le forze politiche di opposizione, sia la magistratura quali organi degli altri poteri dello Stato, si devono adeguare e accordare alle scelte politiche governative. Ma, proprio in forza di quanto si è detto in precedenza, le cose non dovrebbero funzionare così a termini di Costituzione. I poteri dello Stato sono tra di loro distinti e autonomi; il Parlamento può concedere o revocare la fiducia in ogni momento, mentre la magistratura ha il compito di vigilare su qualsiasi cosa facciano anche i parlamentari e i componenti del governo.
Ma anche se tra maggioranza parlamentare e governo del Paese c’è un innegabile rapporto, quello che andrebbe ribadito è l’autonomia dei poteri rappresentati. Si potrebbe dunque, sebbene con un certo sforzo, comprendere come il Parlamento possa assecondare le scelte politiche del governo, per mantenere salda la propria maggioranza, ma non è affatto scontato, logico e neppure lecito che la magistratura abbia la stessa preoccupazione politica, dovendo applicare le leggi dello Stato di diritto. Dunque, se al Parlamento e ai suoi singoli componenti si chiede semplicemente, autonomia di giudizio, chiarezza e coerenza con le proprie posizioni politiche, alla magistratura si deve esigere il rigore di applicare la legge “uguale per tutti”, come è scritto in tutte le aule giudiziarie.
È per tale motivo che dobbiamo constatare come l’attuale governo, e la sua maggioranza politica, non solo non conosce e tanto meno applichi la Costituzione sulla quale ha giurato, ma si può perfino ipotizzare che l’attuale maggioranza politica dissenta proprio dal rispetto della Costituzione, benché essa sia, almeno ancora fino a oggi, la legge fondamentale di uno Stato di diritto, alla quale tutti – ribadiamo tutti – debbono sottostare, anche obtorto collo. Certamente, le decisioni dei magistrati non sono tutte condivisibili; talvolta perfino stupefacenti per la loro astrattezza e il loro formalismo tecnico, ma il sistema giudiziario dispone anche di numerosi e articolati strumenti di rimedio nei confronti degli errori, inevitabili nelle vicende umane. È legittimo e sostanzialmente giusto che ciascuno, anche nelle posizioni apicali dello Stato, si possa lamentare di ciò che non ritiene di condividere, ma questo deve rientrare nelle regole procedurali e nella dialettica giudiziaria, e non può essere oggetto di commento politico. Così come il giudizio dei magistrati deve essere altrettanto scevro di motivazioni politiche, ma deve fare riferimento solo alle norme del diritto, per garantire il pari trattamento di tutti i soggetti, in omaggio ai principi dello stato di diritto.
Dunque in conclusione, come interpretare il sempre più crescente risentimento, scorrettamente espresso pubblicamente anche attraverso gli organi di informazione di Stato (i magistrati, ovviamente e correttamente, non lo possono e debbono fare) espresso dalla compagine governativa e da chi la sostiene nei confronti di decisioni e provvedimenti giudiziari non graditi? E tutto ciò senza mai entrare sul merito della motivazione tecnica del giudice, ma accampando solo affermazioni gratuite sull’orientamento politico (che non può essere manifestato negli atti giudiziari e tanto meno può influenzarli) del giudice?
Si può perciò concludere che l’attuale guida politica della Repubblica Italiana (democratica e osservante dello Stato di diritto) sta concependo l’assetto istituzionale e giuridico dello Stato nel senso della trasformazione da Stato di diritto in “diritto del governo”, assumendo e propugnando una concezione della entità statale arretrata di almeno tre secoli fa, quando lo Stato c’era già, ma dipendeva in modo assoluto da qualcuno. Guardando il vocabolario, balza all’occhio il vocabolo “eversione”.
Pietro Garbarino, avvocato cassazionista, iscritto Anpi, sezione Caduti di Piazza Rovetta, socio di Libertà e Giustizia, legale di parte civile nei processi celebrati per la strage di Brescia, e autore con Saverio Ferrari del libro “Piazza della Loggia cinquant’anni dopo”
Pubblicato sabato 30 Novembre 2024
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