I numeri dell’Istat disegnano un Paese con ancora meno figli, Pil in calo vertiginoso e milioni di posti di lavoro a rischio: ma soprattutto il pericolo di una rabbia sociale su cui si innestino la criminalità organizzata e le frange neofasciste. Battere le disuguaglianze è anche difendere la libertà costituzionale.
“La precarietà sociale frena fatalmente il desiderio di avvenire”, scrive lo psicoanalista Massimo Recalcati commentando i dati dell’Istat che, a fronte di quanto potranno costare gli effetti del Covid-19 agli italiani, segnala una previsione di 10mila nascite in meno, sconfortante nello scenario di un’Italia già invecchiata e sfiduciata anche prima del lockdown.
Ma se è vero che i crolli annunciati dell’economia, i posti di lavoro che se ne vanno e il futuro che si offusca per almeno due generazioni, sono già una tragedia, c’è un forte allarme sociale: nella rabbia della gente, specialmente dei più deboli, dei meno rappresentati, possono inserirsi sia la criminalità organizzata che l’estremismo neofascista. Non è un caso che Casapound abbia già cercato di sobillare manifestazioni di piazza a Roma, che le truppe sconclusionate dell’ex generale Antonio Pappalardo mirino ad un sovvertimento che non è solo il rifiuto folcloristico (e autolesionistico) dell’indossare le mascherine.
C’è ben di peggio, come ha avvertito la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese: “C’è un rischio concreto che la crisi economica legata al Covid produca tensioni sociali in autunno”, ha detto la titolare del Viminale in una trasmissione televisiva, pochi giorni fa. Il rischio è concreto, ha ribadito, “perché a settembre-ottobre vedremo gli esiti di questo periodo di grave crisi economica. Vedo negozi chiusi, cittadini che non hanno nemmeno la possibilità di provvedere ai propri bisogni. Il governo ha posto in essere tutte le iniziative necessarie per andare incontro a queste esigenze, ma il rischio è concreto”.
Le iniziative avviate, benché politicamente rilevanti, non sono andate tutte a buon fine: ritardi inspiegabili, contrasti tra le burocrazie centrali e quelle regionali e altre ragioni tutte da valutare. Ma la cassa integrazione attesa per oltre tre mesi, troppi contributi di solidarietà rastrellati da chi non ha bisogno lasciando fuori chi invece non ha davvero alcun reddito, non sono accettabili né perdonabili. Ed è qui che le diseguaglianze si fanno sempre più pesanti: anche nella vita e nella morte. Il Rapporto 2020 dell’Istat accerta infatti che la pandemia ha fatto più vittime “nelle fasce di popolazione più svantaggiate, quelle che già sperimentavano anche prima della pandemia i livelli di mortalità più elevati. Uno scarso livello di istruzione, povertà, disoccupazione e lavori precari influiscono negativamente sulla salute e sono correlati al rischio di molte malattie (..) che potrebbero aumentare il rischio di contrarre il Covid-19 e il relativo rischio di morte”. Poveri, facili ad ammalarsi, e anche a morire: una democrazia industrializzata, un Paese del G7, non può permettersi questi scenari. Anzi, non deve.
Perché già la stessa Lamorgese aveva richiamato il rischio che le mafie si possano infiltrare nel tessuto produttivo approfittando dell’emergenza economica, sia acquistando imprese, locali, negozi in difficoltà, sia entrando pesantemente nel sistema dell’usura. Di fronte alle necessità di commercianti e artigiani, troppi finti “caritatevoli” potrebbero farsi avanti. Ma questa è solo una delle gravissime conseguenze della pandemia: l’altra è il rischio delle tensioni sociali, di quell’autunno caldissimo di proteste di piazza che potrebbe deflagrare in maniera inquietante ancora di più se ci si dovesse trovare di fronte alla cosiddetta “seconda ondata” del virus, con il rischio di nuove chiusure e limitazioni alle attività produttive. Non è un mistero che le forze neofasciste abbiano già cercato di inserirsi nel malcontento, alimentandolo; ma timori esistono anche per le possibili iniziative di gruppi populisti, per il rischio di scontri e violenze ad esempio in alcune periferie problematiche. Intanto, i partiti di destra, approfittando della campagna elettorale per le amministrative, le regionali e il referendum sul taglio dei parlamentari, avrebbero facile gioco a spostarsi sulla rabbia sociale e cavalcarla.
I partiti che compongono il governo giallorosso, i sindacati, le forze sociali, si sono resi conto dei rischi che corre il Paese? È chiaro che le disuguaglianze stanno crescendo: che non ci si può limitare a guardare i dati sulla disoccupazione – già 500mila i posti persi da febbraio, mentre nella classe di età 25-34 anni si registrano 1,4 milioni di occupati in meno, anche precari; e un 12% delle imprese sarebbe orientato a ridurre il personale – ma bisogna inventare strumenti adeguati per combatterla. E poi, i bambini e la scuola: se si stimano circa 10mila nascite in meno tra l’ultimo scorcio del 2020 e l’intero 2021, per quelli già nati cosa si sta facendo? Il digital divide ha picchiato forte durante il lockdown, con troppi ragazzi che non hanno avuto, per ragioni economiche, familiari o sociali, la possibilità di accedere all’istruzione a distanza: è inutile parlare di un inserimento in Costituzione del diritto alla connessione internet – si è letto in queste ultime ore – se non si rimuovono le disparità tra le famiglie.
E in questo panorama, va inserito anche l’abbandono del sogno della casa di proprietà, quasi una certezza per oltre il 60% delle famiglie anche di operai ed impiegati fino a una ventina di anni fa. Adesso, secondo i dati provenienti dagli osservatori immobiliari, il 64,7% degli italiani preferisce affittare una casa che non impegnarsi in un acquisto o un mutuo: perché troppe sono le tasse, ma soprattutto troppe le incertezze: erano il 57% solo un anno fa.
Più poveri, più arrabbiati, più esposti a chi vuole manovrarli: gli italiani non lo meritano. Vorremmo però stimolare interventi e dibattito: al di là di individuare i problemi e allertare dei rischi, cosa si vuole fare? La lotta alle diseguaglianze è un dovere costituzionale.
Pubblicato sabato 11 Luglio 2020
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