Giovedì 12 giugno nella sala consiliare del Comune di Ventotene l’Anpi nazionale ha dato il via alla “Staffetta partigiana per un’altra Europa”: 16 giorni e 11 iniziative in tutta Italia per riflettere sull’Europa di oggi e rivendicare quell’idea di Europa unita, antifascista, popolare e sociale immaginata a Ventotene dai confinati politici antifascisti.

La delegazione Anpi a Ventotene

Da Ragusa a Milano, da Acerra a Predappio e fino a Marzabotto per la marcia “Save Gaza”; la Staffetta si è infine conclusa, dopo queste e tante altre tappe, sabato 28 giugno al “Narodni Dom” di Trieste, la Casa degli Sloveni incendiata nel 1920 dai fascisti. Un viaggio nei luoghi simbolo dell’antifascismo, della Resistenza e della barbarie fascista per ribadire che i valori posti alla base dell’Europa da Spinelli, Rossi e Colorni – pace, libertà, democrazia, lavoro, diritti, dignità e eguaglianza sociale – non solo sono ancora attuali ma più che mai necessari.

Così come l’impegno per un’Europa sociale dei popoli, luogo di inclusione, dialogo e rispetto reciproco in cui le decisioni spettano ai cittadini tramite la Politica, e non alle logiche e alle potenze del mercato. La necessità e l’urgenza dell’azione è espressa dall’Anpi nazionale con l’esortativo “Muoviamoci!”.

In tema di Europa l’isola di Ventotene è luogo simbolo per eccellenza. E la sua scelta come prima tappa della Staffetta per un’altra Europa dell’Anpi è stata significativa e naturale: l’Isola lega concretamente e indissolubilmente l’antifascismo e i suoi valori con l’idea dell’Europa “diversa” che vogliamo. Per questo si sono riuniti lì oltre cinquanta partecipanti provenienti da tutti e cinque i Comitati provinciali dell’Anpi del Lazio: Roma, Latina, Viterbo, Frosinone e Rieti.

Mario Leone, direttore Istituto Altiero Spinelli

La prima giornata, mercoledì 11 giugno, è stata dedicata alla formazione e allo studio. I partecipanti sono stati accompagnati e guidati da Mario Leone, direttore dell’Istituto Spinelli, sui luoghi frequentati dai confinati politici, scoprendo una Ventotene diversa da quella turistica e residenziale di oggi. Significativa è stata anche, il giorno seguente, la visita al cimitero di Ventotene e l’omaggio reso dalla delegazione Anpi alla tomba di Altiero Spinelli.

La delegazione dell’Anpi che ha reso omaggio alla tomba di Altiero Spinelli

Nello stesso cimitero riposa anche, a pochi loculi di distanza, Luciano Bolis, federalista europeo, amico di Rossi e Spinelli e partigiano a Genova.

Il 6 febbraio 1945 Luciano Bolis cade nelle mani dei fascisti genovesi: brutalmente torturato, tenta il suicidio tagliandosi i polsi e la gola nel timore di non riuscire a resistere alle torture, rivelando così i nomi dei compagni. Portato d’urgenza in ospedale dai fascisti, che, ritenendolo ancora utile, intendevano farlo curare per poi riprendere le torture, riesce a evadere grazie a una azione partigiana e all’aiuto di un’infermiera, che diventerà sua moglie. Durante la convalescenza scrive un racconto autobiografico sulla sua esperienza nella resistenza, Il mio granello di sabbia, uscito nel 1946.

Il sindaco di Ventotene, Carmine Caputo, interviene al convegno Anpi

Nella mattina di giovedì 12 giugno si è invece tenuta nella sala consiliare del Comune di Ventotene l’iniziativa di lancio della Staffetta. Introdotta da Marina Pierlorenzi, presidente Anpi provinciale di Roma e coordinatrice delle Anpi del Lazio, e coordinata da Teresa Pampena, presidente Anpi provinciale di Latina. Ha portato il saluto proprio e del Comune il Sindaco di Ventotene Carmine Caputo.

Intervento di Giulio Saputo, segretario generale aggiunto del Movimento Europeo

È poi intervenuto Mario Leone con una relazione dal titolo “Con Altiero Spinelli verso il futuro dell’Unione Europea” e Giulio Saputo, segretario generale aggiunto del Movimento Europeo, sul tema “L’Europa federale contro i nuovi sovranismi”. È stato quindi il turno di quattro under35 in rappresentanza dei Comitati provinciali coinvolti, che sono intervenuti sui temi: pace, diritti, lavoro e democrazia: Luciano Zerega, Laura Berti, Francesco Pizzutelli e Alessio Valletta (i loro interventi integrali sia di seguito sia in allegato cliccando sui nomi).

I quattro ragazzi intervenuti: Luciano Zerega, Laura Berti, Francesco Pizzutelli e Alessio Valletta

Ha dunque concluso il convegno il presidente nazionale dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo: “Abbiamo dato vita a questo ciclo di iniziative perché pensiamo che stiamo attraversando un punto altissimo di crisi (…) della stabilità mondiale e dell’idea di Europa immaginata su quest’isola.

Per questo abbiamo promosso un documento-appello articolato in cui proponiamo un’idea di Europa diversa, all’altezza della crisi che stiamo attraversando. Siamo stati espliciti. Abbiamo scritto: Questa UE non è l’Europa disegnata a Ventotene. Occorre un profondo cambiamento”.


Il testo integrale delle conclusioni del presidente Gianfranco Pagliarulo  (per scaricare in pdf cliccare qui.

Ieri sera c’era un’incredibile luna rossa. Mi era parso un gradevole presagio. Questo presagio si è avverato perché abbiamo, avete dato vita, a una interessantissima discussione. Per questo ringrazio con tutto il cuore la gentile artista per la sua bella opera, il sindaco Carmine Caputo per la sua presenza e il patrocinio a questa prima tappa della staffetta, e con lui il direttore dell’Istituto “Spinelli” di Ventotene, Mario Leone, che ci ha sostenuto e concretamente aiutato per risolvere i tanti problemi pratici legati all’organizzazione di questa iniziativa. Grazie davvero anche al segretario aggiunto del Movimento Europeo, Giulio Saputo, alla presidente Anpi di Roma, Marina Pierlorenzi, coordinatrice regionale, a Teresa Pampena, presidente Anpi di Latina. Rivolgo un ringraziamento speciale ai giovani compagni Laura, Francesco, Luciano, Alessio, che con i loro interventi tematici hanno dato ulteriore luce ai temi in oggetto; e grazie naturalmente a tutte e tutti voi presenti.

La Staffetta partigiana ad Acerra con la componente della segreteria nazionale Anpi Michela Cella, che ha tenuto le conclusioni

Io vorrei dire subito per quale ragione abbiamo inteso dar vita a questo ciclo di iniziative che è del tutto inusuale per l’Anpi, ma anche – direi – per le forze sociali e politiche del nostro Paese. Detto in altre parole siamo gli unici in Italia che attraverso queste iniziative intendiamo lanciare un messaggio al Paese su un tema di cruciale importanza, che abbiamo chiamato “Staffetta partigiana” per indicare in modo incontrovertibile le radici storiche antifasciste dell’idea di Europa libera, unita, democratica, pacifica e solidale, e dunque federale, che perseguiamo.

Abbiamo dato vita a questo ciclo di iniziative perché pensiamo che stiamo attraversando un punto altissimo di crisi – lo diceva Saputo – della stabilità mondiale e dell’idea di Europa immaginata su quest’isola.

Alla tappa di Fermo ha tenuto le conclusioni la componente della segreteria nazionale Anpi Susanna Florio

Per questo abbiamo promosso un documento-appello articolato in cui proponiamo un’idea di Europa diversa, all’altezza della crisi che stiamo attraversando. Siamo stati espliciti. Abbiamo scritto: “Questa Ue non è l’Europa disegnata a Ventotene. Occorre un profondo cambiamento”.

Abbiamo evocato il rischio del ritorno ai nazionalismi, nella consapevolezza che la narrazione dei nazionalismi porta a quel fenomeno che fra le due guerre condusse alla nazionalizzazione delle masse; abbiamo declinato le parole chiave dell’Europa che vogliamo: libertà, unità, democrazia, pace, lavoro, eguaglianza sociale; a ben vedere sono le parole di Ventotene e i valori della Resistenza. Ci assumiamo una responsabilità e chiediamo alle forze sociali e politiche di assumersi la stessa responsabilità.

A Fondotoce (VCO) le conclusioni della Staffetta partigiana sono state tenute dal componene della segreteria nazionale Anpi Vincenzo Calò

Ha ragione Saputo: fra il vecchio che tarda a morire e il nuovo che tarda a sorgere, in questo chiaroscuro nascono i mostri. E i mostri sono l’autoritarismo e la guerra che spesso, se ci si fa caso, sono in realtà due facce della stessa medaglia. Ho molto apprezzato le parole di Saputo che ha tratteggiato un’analisi della crisi mondiale in corso attraverso un metodo interdisciplinare. Io mi limiterò a metterne a fuoco alcuni aspetti.

Questa crisi mondiale non ha una direzione univoca. La storia non è mai banale o semplice perché, attorno a grandi eventi, si determina una miriade di concause e di circostanze spesso imponderabili. Non ci sono forze del bene e forze del male. La riprova? Tutti dicono di se stessi di essere forza del bene e additano l’avversario come forza del male. Questo schema binario serve semplicemente a costruire una figura tipica: la figura del nemico. Cioè serve alla guerra, l’esatto contrario della costruzione e dell’educazione alla pace. E con la guerra, come ha detto Luciano, si inverte il ciclo della vita quando non sono i figli a piangere i padri ma i padri a piangere i figli.

Mestre. A tenere le conclusioni della Staffetta il componente della segreteria nazionale Anpi Fabrizio De Sanctis

L’evento su cui ruota la vicenda mondiale e anche europea è il passaggio di fase da mondo unipolare a mondo multipolare. I macro segnali di questo passaggio sono tanti: la crescita di Paesi come la Cina e l’India da tutti i punti di vista; i loro abitanti, circa 2 miliardi e 800 milioni, rappresentano oggi più di un terzo del genere umano; lo sviluppo tecnologico, che vede la Cina di gran lunga al primo posto con quasi il 50% dei brevetti di intelligenza artificiale legati alla pianificazione economica; l’aumento progressivo dei Paesi così detti Brics – all’origine Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa – che pongono l’urgenza di nuove ragioni di scambio internazionali finalmente eque e non più predatorie, e assieme e intendono contrastare il dominio del dollaro; la rivolta anticoloniale di una serie di Paesi dell’area subsahariana; il declino demografico dell’Europa che, con un’età media di circa 45 anni è il continente più vecchio a fronte dell’Africa ove l’età media è di 19/20 anni. Si potrebbe continuare.

Il problema di fondo è questo: la trasformazione in corso verso un mondo multipolare avverrà (e avviene) pacificamente o no? Qui spuntano i mostri dell’autoritarismo e della guerra.

A Marzabotto la marcia “SAVE GAZA”. In migliaia con Anpi nonostante il caldo

Vediamo la situazione concreta: si è messo in moto un domino micidiale. Più di 50 conflitti armati nel mondo. Una guerra di invasione in Ucraina che si sta incattivendo sempre più. Un massacro di quantità e qualità inedita a Gaza da parte di Israele nella sostanziale inerzia (con le dovute eccezioni) della Ue, con un ruolo particolarmente negativo del governo italiano. Una metamorfosi del governo Usa di Trump che sta trasformando la protesta di decine di migliaia di migranti in una specie di guerra civile, con un corollario impressionante: la deportazione di 9mila persone (per ora) a Guantanamo, il luogo della sospensione del diritto. L’involuzione del nostro Paese sulla strada ormai evidente di un regime autoritario, come evidente dall’approvazione del decreto sicurezza. La detenzione illegale da parte di Israele dell’equipaggio di Freedom Flottilla compresa un’europarlamentare. Come ha reagito la portavoce della Commissione europea? “Non è un caso di nostra competenza”.

Dov’è Ursula von Der Lyen? Dov’è Kaja Kallas?

Pontremili (MS). Le conclusioni della Staffetta partigiana sono state tenute dalla componente della segreteria nazionale tamara Ferretti

E ancora sulla situazione concreta: ne ha parlato Laura; mi riferisco alle dichiarazioni del Segretario Generale Nato, l’olandese Mark Rutte, a sostegno del 5% del Pil per la Difesa, “altrimenti – ha detto – è meglio imparare il russo”, ed ha aggiunto: “magari avremo ancora un sistema sanitario nazionale o un sistema pensionistico”, ma saremo sudditi di Mosca.

Perché la politica italiana ed europea è rimasta silenziosa, se non accondiscendente, davanti a queste parole gravissime che sono una pietra tombale sul welfare?

L’ultima tappa, Trieste, ha visto le conclusioni (come per la prima) del presidente nazionale Anpi, Gianfranco Pagliarulo

Potrei aggiungere i contenuti deliranti della risoluzione di aprile dell’Europarlamento, in cui si accetta e si invoca la militarizzazione di tutti i Paesi dell’Unione, a cominciare dagli studenti delle superiori e delle Università. Si tratta dell’esatto contrario della visione del Manifesto di Ventotene: “la Federazione europea è l’unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli asiatici e americani si possano svolgere su di una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo”. Queste parole disvelano che l’obiettivo di Ventotene non è soltanto l’Europa federale come anticorpo a conflitti interni, in particolare fra Francia e Germania, ma guarda più lontano, a una pace con l’Est e con l’Ovest del mondo, con la parola forte della rivoluzione democratica citata da Marina Pierlorenzi. E mi sovvengono a questo proposito le parole di Enrico Berlinguer, quando in passato evocò la visione di un governo mondiale.

Mark Rutte, segretario generale della Nato (Imagoeconomica)

Ma l’attacco di Rutte allo Stato sociale – sanità e pensioni – disegna anche il contrario di quell’Europa, come scritto sul Manifesto, che dovrà proporsi “l’emancipazione delle classi lavoratrici” per cui “le forze economiche non devono dominare gli uomini, ma essere da loro sottomesse”. E qui va studiato l’intreccio di tante politiche europee e di tante biografie, a cominciare da quella di Mark Rutte, che rivelano i nessi col capitale finanziario e i fondi d’investimento che hanno tutto l’interesse al mostruoso riarmo che si intende operare, i famosi 800 miliardi destinati – notate bene – non all’Unione europea ma agli Stati nazionali. Rutte è stato manager di Unilevel, di cui sono azionisti Black Rock, Vanguard e State Street, cioè i più grandi fondi d’investimento.

Cosa colpisce in tutti questi eventi? Colpisce la dismissione dell’arma della politica a favore della politica delle armi, cioè del riarmo generalizzato e della guerra che viene oramai richiamata come una dura necessità. E la politica? Scompare nelle nebbie di una post politica in cui si dissolve la realtà in un frastuono di propaganda, di esagerazioni, di falsi. Della politica rimane solo l’uso della forza.

Possiamo vedere questo fenomeno da un altro osservatorio: l’intervento frequente della Magistratura su temi della politica. In Italia come negli Usa. Ma ciò segnala da un lato la fragilità della politica attuale; dall’altro appare che il potere legislativo, di fatto in gran parte esautorato dal potere esecutivo, viene compensato dal potere giurisdizionale che scende in campo più che con funzioni di supplenza, con funzioni di garanzia.

Non è solo la rottura dell’equilibrio dei poteri, ma anche la resa della politica il cui lungo declino è iniziato circa 40 anni fa. La politica estera protende per la guerra e il riarmo, quella interna va verso l’attacco allo Stato sociale e verso l’autoritarismo, in qualche caso verso una vera svolta autoritaria, come da tempo avviene in Ungheria, sta avvenendo in Italia, sta traumatizzando gli Usa.

Guerra e autoritarismo sono segnali di promozione della violenza come strumento prioritario della politica. Vedete, non parlo del monopolio legittimo della forza da parte dello Stato, che è giusto, ma parlo della forza, della violenza, come strumento di regolazione dei rapporti sociali – cito ancora il decreto sicurezza in Italia e assieme gli arresti indiscriminati e la detenzione a Guantanamo negli Usa – e delle relazioni internazionali, al punto di arrivare da parte della Russia, della Francia e della Gran Bretagna al macabro balletto sull’eventuale uso dell’atomica. Ricordo che la legittimazione della violenza come principale strumento della politica, in tutt’altro contesto, è una delle chiavi di lettura dell’intera esperienza fascista e nazista. In sostanza, forse è il caso di parlare di stato di eccezione come potere del sovrano di muoversi legittimamente, senza violare la legge, anzi, approvando nuove leggi, in contrasto col suo stesso sistema giudiziario.

Hitler utilizzò l’art. 48 della costituzione della Repubblica di Weimar che consentiva lo stato d’eccezione permettendo al presidente del Reich di prendere misure per l’ordine e la sicurezza pubblica in caso di emergenza.

Oggi, davanti all’apparente probabile disimpegno degli Usa dall’Europa, si alzano alti lai e grida manzoniane. Un grande problema. Mi chiedo se invece non si tratti di una grande occasione per la piena conquista di autonomia dell’Europa a 80 anni dalla fine della guerra.

Se è così, si capovolge l’intero paradigma dominante, si scoprono possibilità inesplorate a condizione, naturalmente, che ci sia un ritorno alla politica. Questo riguarda la guerra in Ucraina, col rilancio della proposta di Helsinky 2, cioè di una conferenza di pace che garantisca la sicurezza della Russia e dei Paesi confinanti. Ma bisogna invertire il passo bellicista attuale, far sì che l’Ue avanzi proposte di negoziato per la guerra in Ucraina, cioè riscatti tre anni di aggressività e di costruzione del nemico.

È vero che l’Ue deve dotarsi di una forza armata, ma, come dice il Manifesto, “una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali” e – aggiunge – contrastando il militarismo. Tutto il contrario di ciò che sta avvenendo. E tale forza armata deve avere un governo politico che non può che essere democratico. altrimenti, a chi risponderebbe la catena di comando? Alla von Der Leyen? Alla Kallas? Ma con quale legittimazione?

L’Ue ha davanti i mercati, relazioni politiche, culture tutte ancora da scoprire. Penso alla Cina, 4.000 anni di civiltà, all’India, all’Africa, all’America Latina. Ma questo richiede un gigantesco passo di cambio mentale prima di tutto. E assieme un cambio di gruppi dirigenti, palesemente non all’altezza e spesso condizionati – per usare un eufemismo – dalle multinazionali. Via i mercanti dal tempio europeo!

La storia dell’Europa è la storia del colonialismo, dagli spagnoli ai portoghesi del XV secolo fino alla conferenza di Berlino – 1884-1885 – quando ci si spartì l’Africa, fino alle avventure post coloniali – diciamolo – in Afghanistan, Iraq, India, spesso guidati dalla Nato. L’Europa non è più il centro del mondo e i suoi doppi standard sono un ostacolo pesantissimo per la sua stessa credibilità.

La copertina del libro di Fanon, che fece scuola nella cultura internazionale del post colonialismo

L’Europa non è un giardino fiorito circondato da barbari, come affermò Josef Borrel, già alto rappresentante della Ue e neppure un grande hotel sull’abisso, come – ho letto – si diceva negli anni 30, fra le due guerre. L’Europa ha una grande storia, una grande cultura, una grande economia, ma anche una grande presunzione: quella di guardare dall’alto in basso il resto del mondo. L’Europa deve salvaguardare le sue conquiste democratiche e sociali ed essere rispettata. Ma per questo deve rispettare tutti gli altri Paesi. In caso contrario continuerà a confondere i diritti dell’uomo con i diritti dell’uomo bianco, come scriveva Franz Fanon alla fine degli anni 50.

Ma, proprio per questo insieme di ragioni, non ha una grande politica, il solito gigante economico ma nano politico. E non ha una grande politica perché è fallito il progetto di una Costituzione europea con il referendum del 2005, ed è fallito perché è stato un progetto costituito e costruito dall’alto, né poteva essere sufficiente la pur necessaria Carta dei Diritti che nel suo preambolo sostiene giustamente la centralità della persona umana. Rodotà scriveva che “l’età dei diritti non è mai un tempo pacificato” e aggiungeva che dobbiamo parlare di “eclissi dello spirito pubblico”. In sostanza nella lotta tra diritti da un lato e mercato e concorrenza dall’altro, i diritti soccombevano. E perché è fallito il progetto costituente? Perché assieme al soggetto costituente istituzionale non si è incarnato il soggetto costituente popolare, cioè la radice e la ragione stessa storicamente determinata di quel processo. Come si può pensare una Costituzione per di più sovranazionale che non sia espressione specchio delle culture di quel popolo o di quei popoli?

Occorre perciò dar vita a uno spazio di dibattito pubblico continentale, che non sia riservato a una nicchia, a una élite, a un’avanguardia, ma attraversi la coscienza dei popoli europei promuovendone la partecipazione democratica. È questo che, nel nostro piccolo, proviamo a sollecitare oggi capovolgendo i paradigmi vigenti per cui, per esempio, tutte le politiche relative alla guerra – sanzioni alla Russia, armi all’Ucraina, riarmo gigantesco e accelerato – si sono svolte al di fuori di qualsiasi partecipazione popolare, dando vita a una campagna di propaganda e di torsione dell’opinione pubblica, senza mai una verifica dell’efficacia di queste direzioni, anzi con sconcertanti punte di irrazionalità e di fanatismo.

La sede della banca d’affari Jp Morgan a Manhattan

D’altra parte, come è stata gestita la crisi economica del 2007/2011 che ha portato la catastrofe in Grecia e enormi difficoltà in Italia e in altri Paesi? Nello stesso modo. Ricorderete il famoso Ukaze della troika, ricorderete la forzosa introduzione del pareggio in bilancio in Costituzione. Così, di fatto, come auspicava nel 2013 JP Morgan, si è teso a svuotare di senso le costituzioni più avanzate, a cominciare dalla nostra. Certo, la risposta europea alla pandemia – penso al Pnrr – è stata virtuosa, ma si è dimostrata un unicum, fra l’altro con molta nebbia in merito ai contratti per i vaccini.

Lo stesso Trattato di Lisbona, pure positivo, ha operato come riduzione del danno, e così si è passati, come è stato scritto, dal trattato che istituisce la costituzione alla costituzione che si riduce a un Trattato.

E siamo all’oggi, quando la situazione è molto peggiore di quella del 2005 e del Trattato di Lisbona. Che facciamo? Diamo vita a una costituente dove è presente una forza straordinaria dell’estrema destra? Per di più oggi non c’è ancora un popolo europeo. Non c’è una lingua comune. Non c’è un comune sentire. Tutte le formazioni sociali, a cominciare dai partiti e dai sindacati, sono ancora fondamentalmente nazionali. Certo, c’è un’area di consapevolezza europeista, ma è molto ridotta, è una nicchia. Se non ci sono le condizioni bisogna lavorare per crearle mangiando pane e cicoria.

Oggi c’è in Europa e in America una estrema destra sempre più forte, aggressiva e per molti aspetti brutale, che sta operando con determinazione per smantellare lo stato di diritto, attaccare i diritti civili, debellare quel che rimane dei diritti sociali, impedire lo svolgersi pacifico del conflitto sociale, sostituire allo stato sociale lo stato penale. A ciò si aggiunge il caos determinato dalla politica dei dazi di Trump e il suo attacco agli organismi di cooperazione internazionale.

In sostanza è sotto attacco non solo la democrazia liberale ma anche la democrazia sociale. Dobbiamo difendere la democrazia e lo stato di diritto contro l’assalto delle destre. Ma le destre si sono rafforzate proprio nella crisi della democrazia liberale, meglio, nella crisi nella democrazia liberale, per la caduta del welfare, per i bassi salari, per la propensione al riarmo a alla guerra, per l’immagine di una UE governata da una oligarchia.

Di conseguenza per vincere dobbiamo incidere proprio su questi temi: miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei popoli, contrasto al riarmo e alla guerra, rilancio della partecipazione popolare e della rappresentanza politica degli interessi sociali, cioè di un europarlamento riformato, come diceva il direttore Mario Leone.

Ma tutto ciò non può avvenire nella zona comfort della società italiana ed europea. Occorre andare nelle periferie sociali e culturali, ricostruire la fiducia nei ceti medi declassati, nei lavoratori, nei tanti precari, nei giovani. Dobbiamo abbattere le mura dell’astensione che ha superato il 50% alle europee, e questo si può fare solo se si sposta fisicamente il luogo della politica dalle sue stanze abituali e si va nelle periferie cittadine, nei piccoli comuni; non è il popolo che deve andare dai suoi rappresentanti, ma esattamente il contrario.

Un manifesto d’epoca per il reclutamento delle Waffen SS a Monaco

E dobbiamo disegnare un’altra idea di Europa, come peraltro di Italia. Per l’Europa nell’appello avanziamo una serie di proposte realistiche che riguardano ovviamente il lavoro e il welfare; ho ascoltato a questo proposito le interessanti considerazioni di Francesco e di Alessio, e ricordo che in Costituzione la centralità del lavoro è evidente, come si evince dall’art. 1, 4, anche dall’art. 3, dall’intero Titolo III. Avanziamo proposte per ricerca e sviluppo, intelligenza artificiale, industria, commercio, riforma delle istituzioni, rafforzando il potere della rappresentanza europea rispetto al Consiglio, cioè i governi nazionali, e alla Commissione. Solo così possiamo smontare la narrazione tossica dell’estrema destra, le cui origini – notate bene – affondano nel nazifascismo, che immaginava un’Europa federale sì, ma fortezza, chiusa – come dicevano – ai cinesi e agli africani, pronta a depredare le materie prime altrui, assolutamente bianca, un’Europa le cui forze armate fossero le Waffen SS, cioè i collaborazionisti.

Questo richiede un contrasto radicale al revisionismo storico, che però dilaga in particolare in Italia e nei Paesi dell’Est. Si sta riscrivendo la storia del nazifascismo e della Seconda guerra mondiale per estirpare le radici antifasciste della Ue. Oggi come ieri? Forse è eccessivo. Ma sul Manifesto di Ventotene leggo: “la storia viene falsificata nei suoi dati essenziali, nell’interesse della classe governante. Le tenebre dell’oscurantismo di nuovo minacciano di soffocare lo spirito umano”. Questo è stato scritto nel 1941 quando da tempo imperversava la guerra. L’Italia era entrata nel conflitto a giugno dell’anno precedente, e gli autori del Manifesto erano già da tempo in carcere o al confino.

Qua mi fermo, ma solo in apparenza. Sui nostri manifesti, prima di “Staffetta partigiana per un’altra Europa”, abbiamo scritto un’altra parola, Moviamoci! È quello che stiamo facendo, perché stiamo in una drammatica fase di passaggio, in cui il domani può essere molto migliore o infinitamente peggiore. Non possiamo stare alla finestra e dobbiamo coniugare una grande idea, una visione di trasformazione, Ventotene, col principio di realtà, cioè l’Unione Europea di oggi. Ma unire visione e principio di realtà vuol dire semplicemente fare politica nel senso più nobile del termine, è questo oggi un dovere civile, è antifascismo del nuovo secolo, è resistenza.

Muoviamoci, allora, a cominciare dal valore simbolico di quest’isola, per più Europa, un’altra Europa.


Intervento di Alessio Valletta, Anpi provinciale Viterbo

Carissime e Carissimi,
viviamo in un periodo storico segnato da importanti mutamenti e dilanianti contraddizioni: il riassestamento radicale degli equilibri geopolitici globali scompone e manda in pezzi le coordinate essenziali della nostra prospettiva sul presente, le misure stesse della nostra percezione politica. Forse ne abbiamo preso coscienza troppo tardi. Insieme allo stato sociale, sono state le nostre più solide convinzioni a sgretolarsi. È, ora, la totalità del nostro orizzonte di senso a collassare sotto i nostri occhi.

Il presidente Usa Donald Trump (Imagoeconomica)

L’orrendo genocidio della popolazione palestinese, l’aggressione ai danni dell’Ucraina, la guerra dei dazi di Donald Trump, la suddivisione del mondo in molteplici zone di influenza. Tutti sintomi di una nuova forma di capitalismo, più spietato e autoritario che mai.

Ma Trump, come sostiene il filosofo sloveno Slavoj Žižek, non è soltanto autoritario, il suo sogno è anche quello di consentire al mercato di funzionare liberamente nella sua forma più distruttiva, dal più brutale perseguimento del profitto al discredito per ogni moderazione etica.

Sentiamo il dovere dunque, come Anpi, di ribadire un principio semplice e fondamentale: il lavoro è un diritto, non una merce. Lo dice la nostra Costituzione, nata dalla Resistenza e scritta col sangue e con il coraggio di chi ha lottato contro il nazifascismo: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Eppure, oggi, questo principio viene quotidianamente tradito da politiche che antepongono il profitto alla persona, la concorrenza alla dignità, la competitività alla giustizia sociale. L’Europa ha oggi una responsabilità storica: rafforzare il suo modello sociale fondato su solidarietà, diritti e partecipazione.

Siamo a fianco di chi chiede salari giusti e sicuri, di chi dice basta alla precarietà, di chi si batte per un lavoro che sia davvero libero e dignitoso, come ci ricorda l’articolo 36 della nostra Costituzione. Siamo a fianco di chi ogni mattina si alza per costruire con fatica la ricchezza di questo Paese e vuole avere la certezza di tornare a casa vivo e sano. Il lavoro non può essere insicuro. Il lavoro non può essere povero. Il lavoro non può essere precario a vita.

Per questo l’Anpi, oggi come ieri, è e sarà sempre al fianco del mondo del lavoro, contro ogni ingiustizia, contro ogni sfruttamento, contro ogni tentativo di indebolire le conquiste sociali ottenute con le lotte e i sacrifici delle generazioni passate. Difendere il lavoro significa difendere la Costituzione.

E difendere la Costituzione significa, per noi, continuare ogni giorno la Resistenza.


Intervento di Francesco Pizzutelli, Anpi provinciale Frosinone

Salve a tutti.
Volevo iniziare dicendo che questo incontro è un’occasione davvero importante per parlare dei diritti, e di come dobbiamo ancora difenderli e affermarli. È anche significativo e simbolico questo incontro si svolga qui, nell’isola di Ventotene, dove gli antifascisti Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi furono confinati e scrissero un manifesto, quali contenuti vengono posti alla base della nostra costituzione. Come ad esempio il diritto alla democrazia, e la più grande forma di democrazia in nostro possesso al giorno d’oggi è il diritto al voto. Diritto fondamentale che però viene assunto con indifferenza e superficialità.

Protesta contro il Ddl sicurezza. Roma 4 aprile 2025 (Imagoeconomica, Andrea Di Biagio)

Ed è davvero indegno come le stesse persone che rappresentano le istituzioni democratiche all’interno del nostro paese promuovano l’astensionismo. Purtroppo però i dati relativi al referendum parlano chiaro, quesiti letteralmente snobbati che potevano essere utili non solo ai lavoratori e le lavoratrici, ma anche al futuro di noi ragazzi. Per non parlare delle persone che lavorano, mettono su’ famiglia e pagano le tasse a cui non è stata ancora riconosciuta la cittadinanza. Vorrei aggiungere giusto due parole sull’approvazione da parte del Senato di pochi giorni fa, perché è davvero assurdo che vengano limitate libertà importanti come quella del manifestare.
Traggo a conclusione che forse l’opinione pubblica potrà cambiare, accorgendosi del pericolo solamente quando i propri diritti verranno sottratti e calpestati, perché come diceva il grande Piero Calamandrei: “La libertà è come l’aria, gli si da valore solo quando inizia a mancare”.


Intervento di Laura Berti, Anpi provinciale Latina

La bandiera della Ceca, Comunità europea del carbone e dell’acciaio

L’immagine con cui visualizzo la parola Europa, quando la pronuncio o la ascolto, è la rudimentale schermata di un ipertesto sviluppato su un Windows ‘95 alle medie. Ed è lì, contro ogni razionale volontà, che fluttua da più di vent’anni. Passavamo i pomeriggi nell’aula multimediale della scuola per seguire corsi di informatica e iniziare a mettere mattoncini di un possibile futuro lavorativo nel settore. Erano i programmi scolastici, finanziati e promossi dall’Unione stessa. Contemporaneamente studiavamo la sua storia, disponendola sullo schermo con gli strumenti in fase di apprendimento.
Ed eccola qui quell’immagine di Europa, la schermata grigia di un ipertesto sviluppato su un Windows ‘95 in cui campeggia, in un menù a tendina, l’acronimo Ceca, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio.
Noi che viviamo per la prima volta la cosiddetta età adulta abbiamo proiettato nel nostro futuro, ora presente e vivo, i frutti del lavoro corale delle istituzioni europee. Inevitabilmente sono mattoncini di esperienze, studi e promesse accolte negli anni, sempre con maggior consapevolezza e spirito critico.
C’era un prima, che non conoscevamo o non abbiamo vissuto, di frontiere chiuse e quando ci siamo affacciati oltre i confini del nostro paese nessuno ci ha chiesto i documenti.
C’era un prima, che non conoscevamo o non abbiamo vissuto, in cui vigevano i dazi che nessuno ci ha mai chiesto di pagare.

(Imagoeconomica, Andrea Giannetti)

E oggi c’è anche una lingua, che con determinazione è diventata per tutte e tutti seconda e nostra, che utilizziamo appena scesi dall’aereo per entrare in comunione con la nostra destinazione o per parlare con il collega di lavoro a 8.000 km di distanza oltre il display.
Siamo stati entusiasti dei figli dell’Erasmus, delle iniziative di memoria collettiva condivisa, alimentate dai valori del dopo guerra e dell’antifascismo, per promettere che ciò a cui il mondo aveva assistito non sarebbe accaduto mai più, per tutti.
Abbiamo assistito all’aumento dei diritti sociali affinché tutte, tutti e tutti potessero sentirsi finalmente cittadini accolti e partecipi al disegno unitario, al di là delle differenze e peculiarità personali. Abbiamo collettivamente giovato delle politiche macro e micro economiche attivate per sopportare lo sviluppo professionale e imprenditoriale, ottenuto garanzie di qualità su alimenti, presidi medici e metodologie di intervento in ogni ambito, in quello che ad oggi mi sento di poter descrivere come il periodo rinascimentale della nostra Europa.
Ma ora siamo attoniti.
Di quella schermata prevale il grigio dello sfondo, i colori aggiunti dalla narrazione di quell’Europa acerbamente appresa alla scuola dell’obbligo sono svaniti.

Centro accoglienza per il rimpatrio degli immigrati. Imagoeconomica. Foto Carlo Carino

E sono svaniti sotto lo sferzare di venti inaspettati. Evito di approfondire quelle politiche prettamente di carattere economico e finanziario che carsicamente ci allontanavano dal sogno di un’Europa libera e uguale, per tenere l’attenzione su ciò che credo aver soffiato con più forza. Le crisi migratorie a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, inevitabilmente figlie dei moti coloniali prima e del neocolonialismo economico poi, hanno bussato incessantemente ai confini dell’Europa, nel Mediterraneo e attraverso la trotta Balcanica.
Che cosa abbiamo visto in questi anni? Come abbiamo reagito come Comunità Europea, prospera e figlia del benessere acquisito alle loro spalle? Respingimenti, indifferenza e sterminati campi profughi, oggi resi invisibili ai confini dell’Europa, dalla Grecia fino alle nostre campagne, accordi con forze estere e poco limpide.
Abbiamo commemorato, con formale commozione, enormi stragi di migranti. E poi? Nulla.
Durante i controversi primi tempi del Covid abbiamo inoltre vissuto il cortocircuito della macchina europea che da fuori sembrava ben oliata e pronta ad entrare in azione.
Abbiamo assistito sin dalle prime settimane infatti ad una miope contrazione del mutuo soccorso, tanto decantato, a discapito dei primi stati pesantemente vittime della crisi.

Cutro, stele dedicata al naufragio del 26 febbraio 2023

Le nazioni hanno agito in protezione dei propri confini ed interessi. Politiche successivamente mitigate per fortuna da più mirati interventi da parte dell’Unione Europea, ma complessivamente ha generato, per la prima volta, nella nostra generazione, la sensazione di vuoto sotto i piedi, il tutto sommato alla chiusura delle frontiere di tutti gli stati membri, contingentazione necessaria ma storicamente e psicologicamente rilevante.

Raphael Lemkin, giurista ebreo polacco, elaborò il crimine di genocidio

Ha fatto seguito l’aggressione russa ai confini ucraini, evento che ha smosso tutte le istituzioni europee, e gli Stati membri, a dare nuova lettura ai trattati internazionali in materia di pace, disarmo e distensione.
Abbiamo visto, e vediamo tutt’oggi, i nostri leader europei accogliere coloro che si sono macchiati degli stessi crimini di cui sono stati vittime, e che per 80 anni abbiamo promesso di arginare con tutte le forze. Crimini che abbiamo il dovere morale di chiamare con il nome che complessivamente gli compete: genocidio.
E con un volo che tende ad unire macro tematiche inerenti il quotidiano che viviamo da cittadini europei, mi preme soffermarmi sul conseguente piano di riarmo europeo, a discapito, secondo le premesse dichiarate, del welfare di cui godiamo dal secondo dopo guerra: servizio sanitario nazionale, pensioni e istruzione.
Con la risoluzione di recente approvazione da parte del Parlamento europeo è stato inoltre richiesto di inserire nei programmi scolastici, cito, “progetti educativi e di sensibilizzazione, in particolare per i giovani, volte a migliorare le conoscenze e facilitare i dibattiti sulla sicurezza, la difesa e l’importanza delle forze armate”.
E qui arrivo a chiudere, la domanda che ci dobbiamo porre ha ovviamente lo sguardo rivolto alle generazioni future. Quali saranno le immagini con cui descriveranno il loro ricordo di Europa? La mia parte da una schermata che mi ha permesso di iniziare una formazione professionale. La loro inizierà dalla contrazione dei valori dell’antifascismo e della solidarietà internazionale.

Quali pacchetti di valori gli avremo trasmesso? Quali saranno le immagini con cui ci descriveranno l’idea dell’Unione Europea che li avrà accompagnati nella crescita? Con quali strumenti e mattoncini proseguiranno l’opera di costruzione di questa importante utopia? Perché non dimentichiamoci che il sogno di Arturo Spinelli, Rossi e Colorni da questo deriva da una visione, da un’utopia


Intervento di Luciano Zerega, Anpi provinciale di Roma

1. Pace e violenza: l’interruzione del ciclo della vita

Masaccio. La cacciata dal Paradiso di Adamo ed Eva

Pace. Non una tregua tra due guerre, non un silenzio tra due spari. Ma il contrario radicale della logica militaresca. La pace, nel senso kantiano, è un ordine di giustizia, una scelta razionale, un progetto collettivo.
Oggi invece è ancora dominio. Ancora gerarchia. Ancora potere nelle mani di pochi, che decidono per tutti.
Perché la guerra non nasce da un istinto umano. No. Quello è comprensibile, quello è umano. La violenza che si scatena nei conflitti tra i primi uomini, da Adamo ed Eva, quella appartiene alla natura. Ma non è umano l’interruzione del ciclo della vita. Non è umano vedere i propri figli morti. I fratelli scomparsi. Non è umano costruire un sistema che si regge sulla rendita finanziaria, sull’industria delle armi, sulle bombe che uccidono in nome della “sicurezza”.
Un sistema che non genera benessere per i più, ma solo profitto per pochi.
Un sistema che si dice libero, ma ci tiene in sudditanza sociale, economica, politica. E lo fa nel silenzio.

2. Ventotene: un sogno scritto sotto le bombe

Ed è nel pieno di quel silenzio assordante delle bombe che nasce il Manifesto di Ventotene.
Non in un convegno universitario. Non tra i palazzi del potere. Ma al confino, sotto un regime, sotto le bombe. Spinelli, Rossi, Colorni. Scrivono, immaginano, sognano.
Sognano un mondo che ancora non esiste, ma che deve esistere. Un mondo che oggi, a rileggerlo, sembra scritto ieri. Diritti. Giustizia sociale. Uguaglianza. Pace.
Parole che oggi ci sembrano normali, ma che allora significavano morte se solo le pronunciavi ad alta voce.
Il Manifesto parte da un’analisi lucidissima: gli Stati nazionali frutto dell’Ottocento borghese non hanno retto l’urto delle masse proletarie. Non hanno saputo – e forse non hanno voluto – accogliere le richieste di giustizia sociale, economica, politica.
Perché? Perché le élite, ancora una volta, si sono chiuse a riccio. Hanno protetto i propri interessi. Hanno usato il nazionalismo come scudo, per soffocare ogni aspirazione popolare.
Hanno bandito le parole libertà, giustizia, pace dal vocabolario. Non perché fossero astratte. Ma perché facevano paura.
Così, il fascismo – e il nazismo – sono diventati la versione estrema di una società che protegge l’élite e sacrifica il popolo.
Una “rivoluzione passiva”, direbbe Gramsci. Cambiamento imposto dall’alto. E masse rese passive. Silenziose. Sottomesse. Ma da quel silenzio, da quelle celle, da quelle isole come Ventotene, qualcuno ha osato alzare la voce. Non per difendere la patria. Ma per costruire un’Europa senza nazionalismi, senza confini, senza guerre.
Un’Europa dei diritti. Un’Europa dei popoli. Un’Europa di pace.

3. La pace oggi: sangue e dividendi

E oggi?
Oggi ancora una volta poche mani tessono il destino di milioni.
Ancora una volta, ogni bambino morto a Gaza – o in Siria, in Ucraina – ha un prezzo. Un prezzo che finisce nei bilanci delle multinazionali, che fa salire il valore delle azioni in Borsa, che viene comprato in un secondo da una banca d’affari.
Dietro ogni morte c’è un utile. Dietro ogni bomba c’è un dividendo azionario. Dietro ogni guerra c’è un consiglio di amministrazione che sorride.
E noi?

Urna cineraria di un liberto e della sua famiglia. Museo nazionale romano a Roma

Noi siamo ancora sudditi. Liberti sulla carta, sfruttati nella realtà. Viviamo in un’economia di guerra senza chiamarla guerra.
In un mondo dove la gerarchia si traveste da meritocrazia. Dove il dominio si traveste da progresso. Dove la guerra si traveste da “interesse nazionale”.
E intanto la pace?
La pace viene umiliata, dimenticata, marginalizzata. Ma la pace – lo grido qui, da quest’isola – è l’unico bene comune che vale più dell’oro, del gas, del PIL. La pace è la misura dell’umanità di un popolo. E noi, oggi, siamo chiamati a difenderla. A pretendere che esista.
Non con le bandiere, ma con le scelte. Con la lotta. Con la verità.

4. Tocca a noi

E allora sì, oggi tocca a noi. Tocca a me, a chi come me ha trent’anni e non vuole più sentire “non si può fare”. Tocca a noi giovani, che non vogliamo più credere alla favola della speranza. Perché la speranza da sola non basta più.
Noi vogliamo costruire. Un mondo di pace. Di giustizia. Di dignità.
Un mondo dove un genocidio non può passare sotto silenzio. Un mondo dove il Mediterraneo non sia un cimitero. Un mondo dove se apriamo i confini tra popoli europei, non possiamo chiuderli davanti al resto del mondo.
Un mondo dove non possiamo suonare l’Inno alla gioia, se nelle stesse ore esplodono le bombe. Non possiamo sentirci europei solo perché lo dice Bruxelles.

(Imagoeconomica, Giulia Palmigiani)

Siamo europei perché crediamo nell’Europa di Spinelli, di Rossi, di Colorni. Un’Europa di pace.
E allora lo diciamo forte, da qui: La pace non è un sogno. La pace è un dovere.
La pace è il nostro destino. La pace è la nostra lotta. Allora proprio per questo: muoviamoci!