Cento anni fa, in un freddo gennaio parigino, a soli trentacinque anni, muore Amedeo Modigliani (1884-1920). Artista dalle grandi doti e dalla forte tenacia, Modigliani è conosciuto in tutto il mondo come una delle personalità più celebri della storia dell’arte italiana. Tuttavia, in vita, Modigliani non è stato preso troppo sul serio, conosciuto più per i suoi eccessi che per il suo lavoro. Al suo funerale, nel cimitero del Père Lachaise, però, vanno in molti: Pablo Picasso, André Derain, Brancousi, André Salomon, solo per citarne alcuni. Quel giovane artista, con la sua prematura scomparsa, accende l’attenzione di pubblico e critica. Un’attenzione che, nel tempo, supera la ragione, trasformando Modì in maudit (maledetto) e fa lievitare di molto il prezzo delle sue opere.
A diffondere nelle persone l’idea di artista maledetto che distrugge tutto quello che tocca contribuisce anche la fine della sua amata compagna, Jeanne Hébuterne, che, all’ottavo mese di gravidanza, si suicida due giorni dopo la morte del compagno, lasciando orfana la loro primogenita di appena due anni.
Ancora oggi, è difficile stabilire il vero dal falso nella storia di Modigliani. Modigliani, dopo Van Gogh, è probabilmente l’artista intorno al quale sono nati più miti e falsificazioni. Miti creati con l’intento di sfruttare le circostanze tragiche della sua vita e della sua morte. L’immagine che ne abbiamo appare spesso contraddittoria. Modigliani era cortese e gentile, intellettuale e sofisticato, ma allo stesso tempo, dopo aver riposto gli abiti borgesi e indossato quelli del bohémien, era dissoluto, impetuoso, sgradevole, inquieto e anche irascibile. Pare che avesse addirittura defenestrato una delle sue amanti. Se Luina Czechowska, sua amica, lo racconta come “un ragazzo bellissimo, con un gran feltro nero, un abito di velluto grigio, una sciarpa rossa”, altri suoi contemporanei lo descrivono come un giovane pallido, un teppista iroso, un aristocratico decaduto. “Gravava una sorta di maledizione su questo nobilissimo giovane. Era bello. L’alcol e la sfortuna gli hanno imposto un tributo altissimo”, scriverà di lui Jean Cocteau. Una cosa, però, è certa: tutto ciò che Modigliani non riesce ad avere in vita, lo ottiene dopo la sua scomparsa: successo, onori e l’apprezzamento dei critici.
La vita dell’artista è caratterizzata da momenti non facili. È il più piccolo di quattro figli di una famiglia ebrea colta, ma impoverita. La sua infanzia è travagliata, sconvolta dalle difficoltà economiche familiari e dalla salute cagionevole. Dedo, così sono soliti chiamare a casa Amedeo, per ben due volte rischia di morire prima dei diciassette anni, colpito prima da una grave pleurite e poi dalla tisi. L’artista soffrirà, come altri componenti della sua famiglia, anche di manie di persecuzione manifestando “un’amarezza aggressiva e violenta che l’abuso di alcol e di stupefacenti non basta a spiegare”. “Il carattere del bambino – scrive preoccupata la mamma Eugenia nei primi anni di vita del figlio – è ancora così poco formato che non so proprio cosa pensarne. Si comporta come un monello, ma non manca d’intelligenza. Dobbiamo aspettare e vedere che cosa si nasconde in questo cucciolo. Un artista, forse?”.
In effetti, il piccolo Modigliani capisce fin da subito di voler essere un artista, A dodici anni comincia a buttare giù i primi disegni, per poi iscriversi all’Accademia d’arte di Livorno. A ventidue anni, dopo l’apprendistato nell’atelier di Guglielmo Micheli, primo allievo di Giovanni Fattori, e dopo aver soggiornato in alcune città d’arte come Firenze e Venezia, Modigliani arriva a Parigi in cerca di fortuna.
È il 1906 e Parigi è la capitale dell’arte: molti artisti si trasferiscono in città nella consapevolezza che solamente lì, fra Montmartre e Montparnasse, si può fare arte. Parigi è un tumulto di novità: conta 2,73 milioni di abitanti e i boulevard di Haussmann sono un’attrazione e un orgoglio per tutti i parigini. Inoltre, prima della Prima guerra mondiale, la città vive un connubio perfetto fra artisti, committenti, critici e pubblico. Il fascino di Ville Lumière è insuperabile, con tanto di metropolitana e locali notturni. Modigliani vive in pieno quel clima culturale, distinguendosi per uno stile personalissimo e una vita priva di regole. È qui che l’artista capisce che l’arte moderna nasce da Paul Cézanne e con l’amico rumeno Constantin Brancusi conosce la scultura. Dedica così gli anni successivi a produrre sculture in stile primitivo, scolpendo per lo più teste nel calcare. Nel 2010, una sua Testa, realizzata fra il 1910 e il 1912 sarà venduta da Christie’s in Francia per quarantuno milioni di euro, infrangendo ogni record di quotazione ad un’asta francese.
Modigliani, però, si rende conto che la sua ricerca non può prescindere dal colore e così, dal 1914, riprende a dipingere a olio. La sua è una pittura di opposizione e sentimento, il cui intento, spesso, è la comunicazione di un’espressione umorale e privata. “Quello che cerco – afferma l’artista – non è né la realtà né l’irrealtà, ma l’inconscio, il mistero dell’istinto nella razza umana”. Nei dipinti, molti dei quali ritratti di amici e qualche nudo di donna, il colore è una massa impregnata di luce, le figure asimmetriche, i volti obliqui. Modigliani con il pennello vuole palesare la psicologia del modello, con un atteggiamento fortemente spirituale. Il suo fare pittorico è estremamente autonomo, con una visione poetica personale, tanto da essere definito un artista isolato e solitario. “La sua linea mossa – scrive il suo amico Cocteau – spesso così tenue e sottile che sembra il fantasma di una linea, procede con la flessuosità e la grazia di un gatto siamese e non corre mai il pericolo di apparire troppo spessa o tozza. Non era Modigliani che distorceva e allungava i gomiti, non era lui che ne mostrava l’asimmetria, che toglieva loro un occhio, che ne allungava il collo. Tutto ciò avveniva nel suo cuore. Così egli ci vedeva, così ci amava, ci sentiva, ci contraddiceva o litigava con noi”. Modigliani sottopone tutti i suoi modelli alla sua scrittura, definendo le figure in contorni somiglianti. I dipinti dell’artista vivono di una perfetta unità spirituale fra il pittore e il suo modello.
Il 3 dicembre 1917, per Modigliani è un anno importante. Inaugura alla galleria di Berthe Weill la sua prima (e unica) personale, resa possibile anche grazie al sostegno del suo mecenate Leopold Zborowski. L’artista, per l’occasione presenta circa trenta opere, fra disegni e dipinti, di cui molti nudi di grande formato. I nudi di Modigliani richiamano l’attenzione del grande pubblico e, in breve, numerose persone accorrono in galleria. Tanti i curiosi che volevano vedere quei nudi, affollando la strada. Per l’epoca è un vero e proprio scandalo, con tanto di polizia che intima la gallerista di “togliere quella robaccia! – perché – Quei nudi hanno i peli pubici!”. I nudi non accademici di Modigliani, tuttavia, si orientano verso i capolavori del Rinascimento italiano: Botticelli, Giorgione, Tiziano. L’artista si rifà a tempi in cui una Venere nuda non è presentata in pose canonizzate. Ma nel 1917, la scelta di Modigliani non è apprezzata dalle autorità, che decidono di censurare e sequestrare le sue opere. Un duro colpo per Modì, lui che con la sua arte aspirava all’idealità e alla purezza, incompreso, viene tacciato di arte provocatoria. A quasi un secolo di distanza (nel 2015), però uno di quei nudi realizzati nel ’17 per Zborowski, il Nudo sdraiato a braccia aperte, sarà battuto all’asta da Christie’s a New York per 170 milioni di dollari, diventando una delle opere più pagate di sempre.
Il 1917 è per Modigliani un anno importante anche per un altro evento: l’incontro con quella che sarà l’amore della sua vita, Jeanne Hébuteme. Anche lei è un’artista, proviene da una famiglia cattolica borghese, che sempre ostacolerà la relazione con il pittore ebreo. I due si incontrano all’Accademia Colarossi, l’unica che permette alle studentesse di dipingere figure maschili nude. Modi e Jeanne si innamorano e lei diventa il suo principale soggetto artistico. Il pittore assoggetta interamente la giovane donna nel proprio stile, quasi fossero una cosa sola, introducendo nuovi e più vibranti colori, usati spesso in contrasto fra loro. L’unione dei due è talmente tanto forte che la donna, due giorni dopo la morte del pittore, mette fine alla sua esistenza buttandosi giù da una finestra del quinto piano della casa paterna. Muore sul colpo.
Con la morte così drammatica dei due giovani amanti, la vita e il lavoro di Modigliani comincia a suscitare sempre più interesse, in un miscuglio di leggende che vedono nell’artista il genio maledetto e sregolato.
A cento anni dalla scomparsa, noi osservatori del XXI secolo, potremmo superare il mito di Modigliani e restituire alla sua figura il giusto merito. Un merito che deve soprattutto riguardare la sua poetica artistica. Più che maledetto, Modigliani è stato un uomo libero, bisognoso di libertà, capace di trovare la sua strada con autonomia e caparbietà, nonostante le condizioni precarie sia di salute sia economiche. “La funzione dell’arte – dirà l’artista – è di combattere contro le imposizioni”. Un’affermazione questa che lo colloca fra i grandi obiettori dell’arte, come ad esempio Duchamp. Il suo stile raffinato ed elegante cova in sé un senso polemico che “nasconde insomma una punta di delusione per quello che doveva parere, in quegli anni, il ripiegamento dei grandi rivoluzionari e la riduzione del Cubismo ad una nuova accademia”. (Giulio Carlo Argan).
Francesca Gentili, critica d’arte
Pubblicato martedì 28 Gennaio 2020
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