L’assegnazione del Nobel per la Fisica del 2017 a Kip Thorne, Rainer Weiss e Barry Barish non è stata una sorpresa: già nel 2016 si era parlato dell’attribuzione del massimo riconoscimento scientifico agli scienziati, Thorne e Weiss appunto, che insieme a Ronald Drever, con la metodologia da loro proposta, avevano reso possibile la prima rivelazione delle onde gravitazionali avvenuta il 14 settembre 2015 e comunicata ufficialmente l’11 febbraio 2016. Tuttavia, a quella data, la scadenza per le nomination era passata da 11 giorni, sicché per l’assegnazione del premio si è dovuto attendere l’anno successivo. Nel contempo però Drever era deceduto e le regole inderogabili del Nobel ammettono solo scienziati viventi. Così, il suo posto è stato preso da Barish, lo scienziato che più di ogni altro ha contribuito a trasformare l’idea di Thorne, Weiss e Drever in uno strumento effettivamente funzionante.
Chiariamo subito che il Nobel 2017 non premia, come hanno affermato alcuni organi di stampa, né la “scoperta” delle onde gravitazionali che, come abbiamo visto in un precedente articolo, va attribuita ad Albert Einstein, né la “conferma” della loro esistenza, ottenuta già nel 1975 da parte degli statunitensi Russell Hulse e Joseph Taylor, insigniti per questo motivo del Nobel per la fisica nel 1993. Utilizzando il radiotelescopio di Arecibo (allora il più grande del mondo con la sua antenna da 305 m di diametro), Hulse e Taylor rilevarono infatti l’emissione radio di una pulsar, una stella di neutroni di massa simile a quella del nostro Sole, altamente magnetizzata, che ruota sul suo asse molto velocemente (in questo caso 17 volte al secondo). Dopo aver misurato per qualche tempo l’impulso radio emesso dalla sorgente (identificata dalla sigla PSR B1913+16), Hulse e Taylor notarono una variazione sistematica nell’orario di arrivo degli impulsi: a volte gli impulsi venivano ricevuti poco prima, altre più tardi del previsto. Queste variazioni cambiavano in modo regolare e ripetitivo, con un periodo di 7,75 ore: gli astronomi si resero quindi conto che tale comportamento era spiegabile solo se la pulsar fosse in un’orbita binaria con un’altra stella, che successivamente risultò essere un’altra stella di neutroni. Il sistema della PSR B1913+16 risultò essere quindi veramente estremo: due stelle di neutroni ognuna di massa pari a 1,4 volte quella del Sole ma con un diametro di pochi chilometri, in rotazione una rispetto all’altra in un’orbita strettissima, pari ad appena due terzi del diametro del nostro Sole. Ulteriori osservazioni dimostrarono poi che l’orbita si sta gradualmente contraendo, perché il sistema sta perdendo energia, emettendola sotto forma di onde gravitazionali, esattamente secondo la quantità descritta dalla teoria della Relatività generale di Einstein. Dopo la scoperta di Hulse e Taylor, molte altre osservazioni di pulsar binarie hanno confermato la perdita di energia di questi sistemi sotto forma di onde gravitazionali.
Ma se Kip Thorne, Rainer Weiss e Barry Barish non hanno né scoperto né confermato sperimentalmente l’esistenza delle onde gravitazionali perché sono stati premiati? La risposta è semplice: perché per la prima volta le hanno rilevate sperimentalmente sulla Terra. Se vi pare poco, è bene che analizziamo brevemente perché questo è effettivamente un lavoro da premio Nobel.
Ricordiamo innanzi tutto cosa sono le onde gravitazionali. Secondo la teoria della Relatività generale, lo spazio e il tempo non sono grandezze separate, ma costituiscono un unico continuum, appunto lo spazio-tempo. La gravità è dovuta a un effetto geometrico di curvatura dello spazio-tempo generata dalla presenza di una massa. Di conseguenza, quando un corpo si muove genera increspature dello spazio-tempo che si propagano nel continuum spazio-temporale come le onde generate nel mare da un corpo che vi cade. Se cade nel mare un sassolino, le onde sono alte pochi millimetri. Se però vi cade un meteorite di svariati chilometri di diametro, come accadde 56 milioni di anni or sono, si genera un treno di tsunami alti 2.000 metri. Analogamente, quando la mia mano si muove sulla tastiera genera certamente onde gravitazionali, ma talmente deboli che nessuno le potrà mai rilevare. La cosa cambia però se a muoversi sono corpi con una massa superiore a quella del Sole: le increspature nello spazio-tempo provocheranno nella materia contrazioni e dilatazioni, che in linea di principio possono essere rilevate, così come un pezzo di sughero sulla superficie del mare si alza e si abbassa al passaggio delle onde.
Fenomeni in grado di generare onde gravitazionali abbastanza forti possono essere, oltre all’orbitare reciproco delle pulsar binarie, le esplosioni di supernova generate dal collasso di una stella di grande massa quando finisce il suo “carburante”, lo scontro di due stelle di neutroni e, ancora di più, due buchi neri alla fine dell’evoluzione di un sistema binario. Il fatto è che anche eventi così estremi provocano nei corpi effetti di contrazione e dilatazione molto piccoli e tanto più piccoli quanto più sono lontani.
Per questo motivo, a quasi mezzo secolo dalla costruzione delle prime “antenne gravitazionali”, i segnali di questi eventi estremi non si erano ancora potuti rivelare, nascosti dal “rumore” delle piccole oscillazioni indotte dalla micro-sismicità (naturale o artificiale) sempre presente in tutto il mondo: basta il passaggio di un autobus a qualche centinaio di metri dal laboratorio per provocare oscillazioni enormemente più grandi di quelle prodotte dall’esplosione di una supernova in una galassia vicina.
L’idea vincente di Thorne, Weiss e Drever, proposta nei primi anni 70 e cominciata a realizzare nel 1979, in collaborazione dal California Institute of Technology (Caltech) e dal Massachusetts Institute of Technolgy (Mit) con un finanziamento della National Science Foundation statunitense, è stata quella di amplificare queste piccolissime oscillazioni con un leva ottica lunga svariati chilometri: così in 36 anni sono stati ideati e poi realizzati e costantemente migliorati due “interferometri”, enormi strumenti a forma di L, con le due braccia di 4 km ciascuno, posti a più di 3.000 km l’uno dall’altro, a Hanford nello Stato di Washington e a Livingston in Louisiana. In ciascuno di questi interferometri, denominati in sigla LIGO, un fascio laser viene diviso in due da uno specchio semitrasparente e indirizzato verso uno dei due bracci dello strumento. Alla fine di ciascun braccio, uno specchio riflette indietro il fascio laser, che viene fatto incrociare con quello che ha seguito l’altro percorso, esattamente della stessa lunghezza, creando una “figura di interferenza”, cioè un’immagine composta da tipiche strisce chiare e scure, con una forma caratteristica. Se un’onda gravitazionale attraversa lo strumento, i due percorsi non sono più uguali a causa della diversa contrazione e dilatazione dei due bracci e la figura di interferenza cambia. Con questo metodo, e con tutte le complicatissime soluzioni tecnologiche adottate per ogni componente di questi strumenti, si riescono a misurare variazioni della lunghezza relativa dei bracci addirittura di un milionesimo di miliardesimo di metro.
Naturalmente, la micro-sismicità può produrre pure in questo caso effetti spuri, anche se sono stati realizzati tutta una serie di accorgimenti sofisticatissimi per ridurli al minimo: per questo, gli strumenti realizzati sono due, in località isolate e a migliaia di chilometri l’uno dall’altro. Se un segnale appare contemporaneamente nei due strumenti, è molto improbabile che sia dovuto a effetti locali.
Agli interferometri statunitensi LIGO, con i quali è avvenuta la prima rivelazione diretta di onde gravitazionali, si è poi aggiunto un terzo interferometro, VIRGO, frutto di una collaborazione italo-francese e situato a Cascina. In questo modo, non solo si riduce ancora la probabilità di falsi segnali positivi, ma si riesce anche, pur se con una notevole incertezza, a determinare la direzione di arrivo dell’onda gravitazionale e quindi si apre la possibilità di identificarne e studiarne l’origine anche con le onde elettromagnetiche (e quindi con i telescopi radio, ottici, X e Gamma).
Entro qualche anno, dovrebbe diventare operativo anche il sistema LISA, un sistema di interferometri costituito da tre satelliti sviluppati insieme dalla NASA e dall’Agenzia Spaziale Europea, orbitanti a milioni di chilometri l’uno dall’altro ma in grado di misurare spostamenti reciproci cento volte più piccoli di quelli misurati dai LIGO.
In questo modo, oltre alle onde gravitazionali generate dalla fusione di buchi neri, come quelle rivelate da LIGO e VIRGO, si potranno misurare anche quelle, molto più deboli, provocate da altri eventi meno energetici, come le supernove.
In conclusione, Kip Thorne, Rainer Weiss e Barry Barish sono stati premiati con il Nobel per avere aperto lo studio dei fenomeni astronomici a un campo completamente nuovo: per la prima volta nella storia, l’universo comincia a essere studiato non con le onde elettromagnetiche, ma con segnali di natura completamente diversa, le onde gravitazionali, che certamente porteranno a scoperte per ora neppure immaginabili.
Vito Francesco Polcaro, scienziato dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia spaziale (Istituto Nazionale di Astrofisica), e membro del Centro per l’astronomia e l’eredità culturale dell’Università di Ferrara
Per saperne di più:
- Caltech, 2016, LIGO: Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory, https://www.ligo.caltech.edu
- NASA/ESA, 2017, LISA: Laser Interferometer Space Antenna, https://lisa.nasa.gov/index.html
- Joel M. Weisberg e Joseph H. Taylor, 2005, The Relativistic Binary Pulsar B1913+16: Thirty Years of Observations and Analysis, ASP Conference Series, Vol. 328, pp. 25-31
- Sul sito della rivista Le Scienze, all’indirizzo http://www.lescienze.it/topics/news/onde_gravitazionali-2056122/ è possibile leggere i numerosi ottimi articoli sull’argomento pubblicati nell’ultimo anno.
Pubblicato giovedì 26 Ottobre 2017
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