“Come posso, io che sono prigioniero, imprigionare qualcun altro? Tu sei mio ospite. Ancora non hai capito che sto cercando un amico? Che ho voglia di parlare?”. Mehmed Uzun è l’autore di Tu e si rivolge a uno scarabeo. Decide di raccontare per sopravvivere, di immaginare per resistere mentre è rinchiuso in una prigione turca.

Tu è il primo romanzo tradotto direttamente dal kurmanji (uno dei dialetti principali del curdo, diffuso in particolare in Turchia e Siria) all’italiano, pubblicato di recente da Scienze e lettere con la collaborazione dell’Ismeo, Associazione internazionale di studi sul Mediterraneo e l’Oriente, e dell’Istituto internazionale di cultura kurda di Roma, con un contributo del Miur.

Mehmed Uzun è la figura letteraria curda di Turchia più importante dell’ultimo mezzo secolo e il romanzo Tu, tradotto e curato per i lettori italiani da Francesco Marilungo, è davvero un gioiello. Uzun ha immaginato una letteratura, ha descritto un mondo in condizioni proibitive e tanti scrittori curdi possono oggi dirsi tali grazie al suo impegno e al suo lavoro.

Mehmed Uzun nasce nel 1953 nel Kurdistan turco, la sua lingua madre è il dialetto curdo kurmanji che però è proibito in Turchia dallo Stato. Uzun imparerà a leggere e scrivere in curdo soltanto nel 1971, quando viene incarcerato per la prima volta. In prigione infatti impara la lingua dell’affetto a della casa, la lingua madre, grazie ad altri intellettuali curdi anch’essi in carcere per motivi politici.

“Il carcere diventa una sorta di università curda, un luogo in cui lo Stato involontariamente riunisce varie generazioni di intellettuali e attivisti curdi, favorendo relazioni e scambi di conoscenza”, scrive Marilungo nell’introduzione.

Uzun è tra i fondatori della rivista Rizgarî (Liberazione) e per questo viene nuovamente incarcerato nel 1976 per nove mesi. A causa delle persecuzioni di cui è vittima da parte dello Stato turco sceglie l’esilio in Svezia, una delle mete principali della diaspora intellettuale curda. Tornerà in patria solo nel 2007, a Diyarbakır, città considerata la capitale dei curdi di Turchia, dove trascorrerà i suoi ultimi mesi di vita.

Tu, il suo primo romanzo, fu pubblicato nel 1984. Uzun finì in carcere poco tempo dopo il colpo di Stato militare del 1971. Il romanzo è scritto pochi anni dopo il famigerato colpo di Stato del 1980 e proprio mentre Uzun scrive cominciano ad emergere i racconti raccapriccianti delle torture e della repressione nel tristemente noto carcere N.5 di Diyarbakır.

Questo esordio letterario è davvero unico: è stato descritto come un atto di resistenza immaginativa, linguistica e poetica. Cosa possono fare il cuore, lo stomaco, la mente di un uomo quando è in catene? Uzun dimostra che tutto il buio e le privazioni del suo popolo, le violenze e la repressione non possono sconfiggere l’amore per quello che si è, per la propria identità anche se questa è un fardello. La letteratura salva la vita e la testimonianza di Uzun ha dato linfa e forma ad una lingua vietata, perseguitata rendendola scritta e letteraria.

Mehmed Uzun (da https://tr.wikipedia.org/wiki/Mehmed_Uzun#/media/Dosya:Mehmed_uzun.jpg)

“I generali erano saliti al potere – si legge –. Non c’era niente che il popolo non subisse in nome del bene e della difesa del popolo stesso. Per il suo bene uccidevano, gettavano la vostra gente nelle carceri di estrema sicurezza, di estrema durezza; picchiavano, torturavano e scatenavano sul popolo vaste crudeltà mai viste prima. E sempre per il bene delle persone stesse le privavano di ogni diritto. Ormai era tradizione: a ogni colpo di Stato, voi, colpevoli e peccatori, venivate incriminati”. Eppure dalla cella d’isolamento il protagonista di Tu sceglie un piccolo insetto per evadere, per raccontarsi e per trovare la connessione con la sua ricca cultura. La presenza del minuscolo ignaro scarabeo scatena la forza vitale del protagonista che vaga nel meraviglioso Eden curdo, tra la neve, il cotone e i fiori di mandorla, nelle pianure fertili e in alta montagna. Ogni dialogo con lo scarabeo è un pretesto per sfuggire al dolore fisico delle torture e per ricordare e memorizzare meglio storie e leggende della terra curda.

Il giovane protagonista del romanzo, grazie al piccolo insetto, decide di ricordare o inventare poesie, di esercitare la mente, di trovare una fuga da tutto quell’orrore. Un altro aspetto da sottolineare è che nel romanzo si consuma un vero e proprio atto d’amore per Diyarbakır, che viene descritta come una città coloniale, occupata e vilipesa dallo Stato turco. “Le antiche mura millenarie e le moderne caserme militari turche nel cuore di Diyarbakır si guardano come nemici nel giorno della resa dei conti”, scrive Uzun; e poi ancora: “È la nostra città più grande, insetto. La più importante, la capitale di un Paese occupato e di un popolo sottomesso”.

Uzun chiama in causa il lettore: Tu è il curdo che deve conoscere e capire perché si trova in uno stato di miseria e privazione. La lingua curda diventa, oltre che la lingua degli affetti e del cuore, un bene prezioso per forgiare l’identità di un popolo, per immaginare un domani di libertà e di giustizia. Quel Tu rivolto al lettore gramscianamente è un “odio gli indifferenti”. Anche in prigione, nonostante le condizioni inumane, è vitale studiare, conoscere, prepararsi, essere mentalmente lucidi, mostrare la propria dignità soprattutto ai carnefici. Questo primo romanzo di Mehmet Uzun racconta di tanti uomini e tante donne che hanno fatto la resistenza in carcere in nome di ideali di giustizia e umanità. È un romanzo contemporaneo che aiuta a comprendere le vicende dei curdi ma allo stesso tempo un racconto collettivo sul potere degli esseri umani. Buona lettura.

Antonella De Biasi. Giornalista e saggista. È stata redattrice del settimanale La Rinascita della sinistra. È coautrice e curatrice di Curdi (Rosenberg & Sellier 2018)