
È il caso di figure leggendarie come Ignazio Vian, comandante della banda di Boves e poi suo vice al 1° Gruppo, impiccato dai tedeschi e Medaglia d’Oro al Valor Militare: “alla testa del gruppo c’è un giovanotto alto, con l’impermeabile chiaro e due occhi accesi (…) che nella discussione ha fatto non meno di tre citazioni letterarie”, i suoi uomini partiti in azione “li aspetta fino al mattino, li sgrida perché non dormono, lui che alle cinque è già sempre in piedi” e “al tramonto, sulla valle coperta dal fumo degli incendi, si spande il suono delle campane … è Vian che le fa suonare a distesa: inno di vittoria e di fede, richiamo ai dubbiosi”. Oppure del phisique du rôle corpulento e inconfondibile di Folco Lulli, “grosso e giocondo con due poderosi baffi alla tricheco… improvvisa infocati discorsi a un popolo abbastanza esiguo, ma prodigo di applausi”, alle improvvisate lezioni di sci “riempie il campo di buche gigantesche e la sua risata arriva fino al comando”: non pensa ancora a far l’attore, ma lo ameremo poi ritratto così nei film del dopoguerra, Caccia Tragica, Fuga in Francia, I compagni.

La seconda parte di Partigiani penne nere affronta il periodo successivo ai rastrellamenti del marzo ’44 che costringono i resistenti ad abbandonare le valli, disperdersi e riorganizzarsi sulle colline delle Langhe, nell’intero arco del fiume Tanaro, da Ceva ad Asti, dando vita al 1° Gruppo Divisioni Alpine, appartenente alle Formazioni Autonome Militari. Denominati “apolitici” o “badogliani”, in realtà i combattenti “azzurri” erano per lo più liberali, monarchici e cattolici moderati. Nera, invece, era la penna che “Mauri” portava sempre sul suo berretto di alpino: “Stiamo bene tutti insieme, con le nostre opinioni, perché la mèta è la stessa e sogniamo un Paese che somigli un poco a questa nostra idea. Stiamo bene tutti insieme perché siamo tutti partigiani, tutti volontari della libertà”.
Daniele De Paolis, giornalista
Pubblicato venerdì 17 Febbraio 2017
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