Se si immagina di unire una raccolta di aforismi con il mondo dell’illustrazione, le prime pagine dei giornali con gli episodi più determinanti della storia, si ottiene qualcosa di molto simile a È questo il fiore, raccolta di opere edite e inedite di Mauro Biani pubblicata da People. Un libro che apre molteplici strade, perché permette di essere sfogliato, analizzato, dà la possibilità di ripercorrere le vicende del passato recente e del secolo scorso, in senso logico o cronologico. Un libro in cui si specchia l’umanità più varia e che permette di dare tridimensionalità ai concetti di memoria, unità e collettività, facendo emergere ora la denuncia sociale, ora la speranza, come boccate d’aria pura.

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I cinque capitoli di cui si compone il libro suddividono, ma non separano: anzi, creano continuità narrativa, fanno da ponte tra i periodi storici e le illustrazioni, così come le premesse scritte che precedono ciascuna sezione. Sorregge tutto il tratto di Biani, riconoscibile e asciutto, e la scelta di colori eloquenti. Un rosso violento domina molte vignette, spesso popolate da volti privati dei connotati, ambasciatori di atrocità (sembrerà un paradosso) dettate dall’ignavia, che dimostrano come quel “Credo che vivere voglia dire essere partigiani” gramsciano non sia materia per cerchiobottisti, per il partito del “non si sa mai”. Un monito che, in compenso, viene accolto e rilanciato da Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi e autore della prefazione del volume, nella quale si ribadisce la salvifica presenza di singoli e associazioni impegnati nella tutela dei valori democratici e nell’esercizio quotidiano dell’antifascismo. Esempi virtuosi, necessari, troppo spesso adombrati dall’ignoranza che inciampa nel pregiudizio e nella xenofobia. I mostri generati dal sonno della ragione assumono sembianze umane e ci si trova circondati da luoghi comuni e da slogan urlati per ferire, divenuti spesso la triste profezia che si autoavvera.

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La prima sezione è dedicata a Liliana Segre e al ritorno dell’antisemitismo, in aperto contrasto con il valore imprescindibile della memoria. Una memoria esercitata e condivisa, che trova nell’illustrazione dal titolo “Scorta” il suo manifesto e rimarca il bisogno di scavalcare le differenze per condividere i valori. Una figura emblematica, quella della senatrice, contro cui spesso si sono alzati cori neri di odio e negazionismo: lupi suadenti a cui non interessa più neanche travestirsi da agnelli, figure feroci e indifferenti al passato, alle sue testimonianze e alle sue ferite. E poi le sferzanti parole di Primo Levi, raffigurato al di qua di un filo spinato, così come un bambino con pigiama a righe che sorvola le recinzioni sulle ali di una farfalla. Il 25 aprile, la Resistenza oggi è un capitolo puro, fatto di bellezza e speranza, in cui il futuro si presenta nel profilo di una donna sorridente, nei bambini che indicano un fiore e citano Dio è morto di Guccini, o nel profilo di Simone, il quindicenne di Torre Maura che apostrofò gli esponenti di CasaPound con il memorabile Nun me sta bene che no.
E poi il commovente invito a ereditare, come fece Carla Nespolo, il termine e l’animo di staffetta: un papavero rosso e la benevolenza di vedere nell’altro non un nemico, ma qualcuno verso cui tendere la mano. In Politica e fascismo, la denuncia di Biani è orientata verso i fascisti tradizionali, quelli “del terzo millennio”, verso l’ossessione della sicurezza e del prima gli italiani. Il capitolo Internazionale sovranista è dedicato alle forze politiche di estrema destra che ormai si affastellano nelle istituzioni europee e non solo. Un Hitler “pop” svetta dalla vignetta su cui campeggia il monito “La storia non si ripete mai uguale a se stessa”, sottolineando quanto sia necessario intercettare il fascismo endemico. Nella sezione conclusiva, Il fascismo oggi, Biani racconta trasversalmente e con grande acume quello che serpeggia nei luoghi comuni, nel non sono razzista ma (premessa doverosa per quanti stiano per dire qualcosa di estremamente razzista) e nella difesa a spada tratta della triade dio-patria-famiglia. E poi ancora la minaccia, sempre più concreta e tangibile, delle organizzazioni neofasciste organizzate e diffuse attraverso gli strumenti informatici alla portata di tutti: dai gruppi Telegram agli insulti nei commenti su Facebook.
Forme nuove o più “domestiche” che sbarrano la strada all’evoluzione di un Paese perché – come ricorda Giuseppe Civati nell’introduzione del volume – il fascismo mira sempre a far retrocedere, a ribaltare il ruolo tra vittima e carnefice, blaterando vacuamente di lesa libertà di parola o di espressione. Con incredibile spirito di osservazione e proprietà di sintesi, Biani ci ricorda come l’indulgenza (se non addirittura il sostegno) al fascismo siano una costante del periodo storico in cui viviamo. Perché pericolosamente, più volte e da più parti, parlare di fascismo è stato additato come anacronistico: come se il fascismo, idra dalle innumerevoli teste, non possa davvero tornare. Ma la realtà è che le discriminazioni germinano nel terreno del qualunquismo, di chi si ostina a pensare che sia prerogativa delle camicie nere e i respingimenti in mare siano una soluzione necessaria.
Il filosofo Adorno sentenziò che, dopo Auschwitz, non sarebbe stato più possibile fare poesia, abbracciare l’arte e separarla dall’urgenza di evitare nuovamente gli orrori dello sterminio nazifascista. È questo il fiore aderisce perfettamente alla necessità di poesia civile, sublimando l’impegno quotidiano delle illustrazioni di Mauro Biani e condensando la società in affreschi efficaci e fulminanti. Con i piedi ben saldi a terra e gli occhi puntati sul futuro, sommatoria ineluttabile di ciò che eravamo e ciò che siamo, Biani fa sorridere amaramente, annuire sospirando: È questo il fiore è un invito a riflettere. Non retorico e stantio, ma fresco e spontaneo, come un fiore di campo.

(Tutte le immagini sono tratte dal libro È questo il fiore)