La Banda è un’unità, un’idea prima ancora che un gruppo musicale. Noi abbiamo costruito la nostra forma di comunicazione col pubblico, autentica e assolutamente unica, nostra, bella o cattiva che sia. Erriquez
“Bandabardò significa crescere in pubblico, come diceva Lou Reed – scrive Massimo Cotto in Vento in faccia. L’autobiografia –, ma anche crescere con il pubblico (…). Bandabardò vuol dire moltiplicazione del pensiero e condivisione di intenti”.
Bandabardò è un abbraccio fraterno, una famiglia in cui trovano posto tutti, anche gli emarginati, i vagabondi, gli ultimi; è un fiume che raccoglie acqua da migliaia di rivoli: il luogo in cui la musica diviene mezzo per osservare e comprendere il mondo, un viaggio da percorrere insieme agli altri. Bandabardò è soprattutto Erriquez, pseudonimo di Enrico Greppi, l’anima, la mente, la voce. È mancato lo scorso 14 febbraio, lasciandoci in eredità un’avventura musicale autentica e colma dello spirito di fratellanza.
Erriquez, cosmopolita, da sempre in connessione con le culture multietniche e le comunità multirazziali, nasce in Toscana da madre valdese e padre viaggiatore. Infatti, trascorre otto anni a Bruxelles e poi l’adolescenza in Lussemburgo e cresce parlando quattro o cinque lingue. In mezzo ai colori del mondo. E proprio il mondo è l’ingrediente base della sua musica, della sua vocazione all’arte dei suoni.
“La musica è sempre stata parte integrante della nostra famiglia – raccontava a Massimo Cotto –. Mia madre, che aveva il diploma in pianoforte, proveniva da una famiglia di musicisti dove mio nonno era direttore d’orchestra […] e mia nonna era una concertista che girava il mondo per suonare”.
Da parte di padre ci sono poi tanti musicisti dilettanti: pianisti e cantanti appassionati. La musica è di casa. Così è normale per Erriquez frequentare il conservatorio, sei anni di violino. Ma quella del concertista classico non è la sua strada ed è l’impatto con la musica rock a tracciare il cammino. Così, invece del violino, è il basso lo strumento più adatto per riprodurre i pezzi degli Who, dei Pink Floyd, dei gruppi rock anni Settanta. E dopo il basso, la chitarra, imparata da autodidatta, nella sua prima formazione, i Ggr.
E anche il Lussemburgo, a un certo punto, diventa un posto troppo perfetto in cui vivere davvero, un’isola fintamente felice. Il risveglio alla realtà è un viaggio in Italia a diciotto anni, nella Firenze delle origini familiari, ma anche delle diversità sociali e politiche. La Firenze in cui costruire una vita il più possibile autentica. Ne racconterà in Melò, canzone sul ritorno alle radici, rito di passaggio alla vita adulta.
In quel contesto, Greppi abbandona gli studi e si affaccia al mondo del lavoro: fa il grafico, l’insegnante di francese e, di sera, il musicista con i Vidia, il suo nuovo gruppo.
La Firenze degli anni Ottanta è in grande fermento musicale: i Litfiba di Piero Pelù hanno aperto la strada del rock italiano di qualità. È proprio Gianni Maroccolo, membro e fondatore dei Litfiba, a intravvedere qualcosa di bello in un gruppo nato da poco con l’idea di fare musica originale con le canzoni di Erriquez. Arriva così un contratto per i Vidia con la casa discografica Cgd e un album che vende 5.000 copie. L’etichetta chiede ora un secondo disco, ma più commerciale. Non sia mai. “Noi, integralisti, giovani e romantici, ci indigniamo” (M. Cotto). Fine della storia.
Così Erriquez percorre altre strade. Una collaborazione con Andrea Chimenti, che sarà occasione d’incontro con il geniale chitarrista Alessandro Finazzo, detto “il Finzi” o “il Finaz”, e i concerti unplugged: “Volevo una musica che facesse ridere, sorridere, cantare, ballare, pensare” (M. Cotto) e il concerto a Firenze del gruppo francese Vrp è la miccia che accende il fuoco di Bandabardò.
La Banda nasce ufficialmente l’8 marzo 1993. A farne parte sono Erriquez, Finzi, l’estroso percussionista “Paolino”, Paolo Baglioni. Alle tastiere, Antonio Aiazzi dei Litfiba. Due canzoni in italiano e due in francese, arrangiate frettolosamente, vengono registrate su nastro a Parigi, da Olivier Bellerie, fonico degli F.F.F., “Fédération française de fonck”, gruppo dallo stile musicale eterogeneo che mescola differenti stili, tra funk e rock. Una di queste è Café D’Hiver. Canzone ambientata in un fumoso cafè di Parigi, protagonista una donna abbandonata dal suo amato che si ribella a questo epilogo. Nasce una notte, giocando con parole francesi disposte a caso e con le percussioni suonate su un quadro peruviano come cassa e altri oggetti a dare un suono diverso. “Applicavamo il rumorismo alla musica – racconta Erriquez –. Volevo ripartire da un senso stradaiolo del suono, con quella tensione e quell’urgenza di comunicare che sono tipiche della musica da strada […]. Volevo una cosa strana, nuova, fresca che inchiodasse la gente facendola muovere, che spingesse a ballare o comunque ad agitarsi togliendole la voglia di andare via” (M. Cotto).
Piano piano si aggiungono elementi per ricreare quel suono tipico ricercato da Erriquez: una seconda chitarra, quella di “Orla”, Andrea Orlandini, anche alle tastiere, la batteria di Alessandro Nutini, “il Nuto”, il basso e il contrabbasso di “Donbachi”, Marco Bachi. Successivamente le tastiere di “Pacio”, Federico Pacini. Il tutto tenuto in equilibrio da “Cantax”, il fonico Carlo Cantini.
La banda c’è e qualche amico organizza i primi concerti. Il 16 agosto 1993 si celebra il live del battesimo all’Arca di Follonica. Nessuno poteva immaginare quello che sarebbe successo, la reazione della gente, che ballava e cantava di gioia: era la strada giusta. Prato, Auditorium Pecci, Museo di arte contemporanea: lo scenario per il secondo live. In questo momento nasce anche il nome, Bandabardò: Banda, per le marcette e il genere stradaiolo; Bardò in omaggio a Brigitte Bardot, alla Francia e alla sua cultura, alla lingua di tante canzoni scritte da Erriquez. I riferimenti musicali, poi, sono proprio francesi: Négresses Vertes e Mano Negra.
Segni di riconoscimento: abiti comodi, il cosiddetto “look pigiama” un po’ fricchettone, nessuna pretesa di immagine, vita in libertà, senza condizionamenti di nessun tipo, neppure nell’abbigliamento. Tornare in Maremma per un nuovo concerto è la conferma di aver lasciato il segno in tanti giovani che diventano presto un fan club, sempre presente e sempre più allargato. E da quel momento si inizia a suonare un po’ ovunque, perfino al Rock Planet di Milano: “Si partiva tutti pigiati in un furgone, stracolmo di strumenti e di noi” (M. Cotto).
Il primo disco promozionale di Bandabardò esce nel 1995. Contiene Hamelin Song, Ho la testa, Stai calmo Rocco, Melò. Così ora occorre tornare alle case discografiche, tentare il salto a Milano, dove la musica si produce. “Il Circo Mangione” esce nel 1996, prodotto da Fabrizio Federighi (Cockney Music/Crime Squad). Vende 18mila copie, molte delle quali dopo i concerti. “Il Circo Mangione è il circo che mangia e divora, che fagocita il quotidiano (…) – racconta la Banda –. È il nemico da combattere, il mondo perverso abitato dagli uomini falsi” (M. Cotto). A ispirare il lavoro è l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, costruita sul racconto biografico di una schiera di personaggi. “I nostri personaggi sono periferici, abbandonati, emarginati, ma non lottano contro il sistema. Si ritagliano, al contrario, una porzione di vita ai bordi, lontano dalla folla e dalla follia”, dicono in Vento in faccia. L’autobiografia di Massimo Cotto.
Full album
Infatti il disco, che vince anche il premio Ciampi come opera prima, è una rassegna di figure, o meglio di Uomini celesti, titolo di un brano di Lucio Battisti che la Banda rilegge riattualizzandone il senso: storia di un padre che si rivolge al figlio incoraggiandolo a vivere una vita in pienezza, invece di soccombere alle volontà altrui.
Tra gli altri brani risalta W Fernandez, tra i più amati dal pubblico, vero manifesto della Banda:
Versa da bere a un albero sradicato/spostato dai venti e dalla curiosità/un nomade in amore e in felicità./Così parlava il vecchio fricchettone/il re dei maghi e delle magone:/è una preghiera, io non voglio denari/solo vino, allegria, il calore delle mani.
Ho la testa è una ninna nanna al contrario, un invito a non addormentarsi perché il sogno è qualcosa che avviene a occhi aperti.
Anche L’inquilina del quarto piano è un pezzo che ben rispecchia l’anima del gruppo: E feste su feste/dal tramonto all’alba/danze e carezze.
Canzone antifascista è certamente Succederà in cui si descrive l’utopia di un mondo più democratico e senza violenze: Facciamo uscire/dalla nostra vita fascio e avidità/sarà come mettere dei fiori/ nelle teste rasate/come incontrare un uomo/un elfo, delle fate.
Gréta–Scandalo parla di chi non accetta il peso degli anni, di una donna che non vuole rinunciare a niente.
Poi è la volta della casa discografica Ricordi, che pubblica il secondo disco “Iniziali Bì-Bì” (1998), prodotto da Erriquez. Il titolo è un omaggio a Serge Gainsbourg e a Brigitte Bardot. Molto legato al precedente: le canzoni contenute nascono negli stessi anni – 1993-1995 – e risentono della stessa atmosfera. Non cambia nemmeno il metodo di lavoro: “Erriquez porta in studio una cover o un brano di sua composizione e la band attacca subito a suonare, senza studiare o alterare. Ogni musicista interpreta a modo suo, ma non altera la struttura o lo stile, come fossero tessere diverse di uno stesso puzzle” (M. Cotto). Il contributo di ognuno nel dare al pezzo il suono e alla banda il suo spirito inconfondibile è fondamentale. Un contributo che è la sintesi dei tanti stili e delle tante anime musicali che si ritrovano in una stessa melodia. “Suonare nella Banda vuol dire imparare continuamente – dice Orla –. Suonare con musicisti così preparati su tanti generi musicali vuol dire evolversi”. Con “Iniziali Bì-Bì”, per la prima volta la Banda entra in classifica. Merito del disco e del brano Beppeanna, altra canzone manifesto con un videoclip girato dal regista Alex Infascelli.
Hameling Song è la storia di una pifferaia magica, Milagros, che risveglia la passione in uomini annoiati e costretti alla castità dal conformismo.
Anche L’estate paziente è una canzone al femminile: sul desiderio frustrato per una donna che non ricambia un amore passionale.
La rilettura del Battisti di Una giornata uggiosa è la conferma che i due album hanno una loro uniformità.
Qui si tratta anche il tema ecologico e politico: Lo sciopero del sole racconta di un sole stanco di essere bombardato e annerito da scarichi delle auto e gas industriali. E se il sole sciopera, il mondo si ribella. Allora arriva il solito venditore capace di spacciare per sole un cartellone colorato. Il riferimento qui è a Silvio Berlusconi da poco entrato in politica.
Il tema politico ritorna anche nella canzone Il Circo Mangione, dove il bersaglio è Bettino Craxi, definito come il grande illusionista/ sultano dei ladri/gran capo degli arrivisti.
Diretto il riferimento alla cronaca con Sans Papiers, scritta sugli accadimenti francesi del 1996, ovvero le rivendicazioni dei “senza documenti”, immigrati africani diventati clandestini, in seguito alla legge Pasqua, dopo anni di soggiorno legale in Francia. La società si era spaccata tra chi era a difesa dei diritti di cittadinanza di tutti e chi intendeva chiudere le frontiere e mettere a tacere la propria coscienza.
Quello che parlava alla luna è un omaggio al fumettista Andrea Pazienza, uno degli ultimi uomini rimasti a parlare della luna.
Il successivo disco live si intitola “Barbaro Tour” (1999), dedicato al produttore Francesco Barbaro dal quale per qualche tempo la Banda si separa, richiamata dalle sirene delle case discografiche indipendenti. È la volta dell’etichetta Mescal, che non porta ai risultati sperati. Così si riparte con Gianni Maroccolo, e con il terzo disco “Mojito Football Club” (BMG/Ricordi 2000), quello forse più riuscito. Ci sono Vento in faccia, Povera Consuelo, 20 bottiglie di vino, colonna sonora del Social Forum di Firenze, per Controradio.
“Concept album. Menta e calcio […]. Disco scritto in piena guerra del Kosovo” (M. Cotto). Un dramma che appare lontano, ma non così tanto.
Con Povera Consuelo si gioca a prendere in giro i tormentoni estivi ai ritmi latinoamericani,
e 20 bottiglie di vino bastano per un poco di pace? E per ricordare che la storia va difesa da qualsiasi tentativo di revisionismo: La vista serve alla concentrazione / di chi non si perde perché fa attenzione / serve alla memoria per non confondere la storia.
Torna il tema di una disumana umanità, incapace di una serena convivenza. Come in Pianeta Terra
o in Il muro del canto, il rifugio in cui si spera che nessuno entri a rubare ciò che di prezioso ognuno conserva.
I concerti sono più di settecento, tante le collaborazioni artistiche. Nel 1995 la Banda si esibisce all’Ippodromo di Trieste, nel 1999 Daniele Silvestri li chiama per “Taratatà”, dove suonano Cohiba, replicando a Festambiente 2013.
E poi Radicondoli, 1995. “Suonavamo in una pista da pattinaggio. Dal pubblico spuntò Luciano Berio, che risiedeva lì – racconta Finaz a Massimo Cotto –. A Potenza arrivammo dopo aver suonato la sera prima a Help, da Red Ronnie, il 6 dicembre 1996”. Al Teatro comunale di Firenze, novembre 1996, davanti a un pubblico di signore ingioiellate, Erriquez intona W Fernandez, improvvisando parole nuove e sfidando occhi interrogativi. Sempre quell’anno, Festa dell’Unità di Bologna. Nel 1997 è la volta di Izola, in Slovenia, Festival del Mediterraneo.
Nel 2001 esce “Se mi rilasso… collasso”, registrato dal vivo in tre date, al Brancaleone di Roma, al Mamamia di Ancona e al Leoncavallo di Milano.
In questo album è contenuta Manifesto, scritta con la collaborazione di Riccardo Sinigallia. “È la storia di un momento difficile, contrassegnato dall’apatia e dalla rassegnazione che aveva seguito la vittoria di Berlusconi – spiegano i Bandabardò nel volume già citato –. L’Ulivo sembrava in stato confusionale (…). Inaccettabile. Nemmeno noi, però eravamo esenti da colpe. Nessuno era sceso in piazza per chiedere una sinistra più attenta e giusta (…). Manifesto è questo: dimostrare a te stesso tutti i giorni che sei una persona viva e che devi lottare per cambiare la tua posizione nel mondo”.
Il disco successivo “Bondo! Bondo!” (2002), viene masterizzato a New York e poi va in tournée, insieme alla new entry della banda, le percussioni e soprattutto la tromba di Jose Ramon Caraballo Armas, conosciuto semplicemente come Ramon.
“Bondo! Bondo! è il megafono degli emarginati, di una minoranza che borbotta o urla di dolore per attestare la propria esistenza, che chiama a raccolta gli eguali”, come dichiara la Banda: è il disco che ci ricorda la fine di un’utopia, quella hippie, della musica e del rock’n’roll come antidoti ai mali del mondo. Invece Riassunto si apre con la voce di Mick Jagger che tenta di ristabilire la calma di fronte all’evento straziante della morte di una giovane fan da parte del servizio d’ordine durante un concerto. Gli anni Sessanta, con i sogni di un mondo nuovo, di pace e di solidarietà, di conquista dei diritti civili e dell’uguaglianza sociale si chiudono con questa morte assurda. Ma anche gli anni di “Bondo! Bondo!”, confusi e distratti, cercano spiegazioni e chiavi di lettura, politiche e sociali. Why are we fighting? è l’interrogativo che ancora cerca una risposta.
Così in Sette sono i re si attribuiscono responsabilità, mettendo in scena personaggi megalomani e antidemocratici, che distruggono se stessi e l’umanità. In questa galleria degli orrori ci sono, tra gli altri, George Bush, Silvio Berlusconi e Bettino Craxi.
Anche Non sarai mai si rivolge a Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio
1, 2, 3, Stella è invece dedicata a Dave McTaggart, fondatore di Greenpeace, prima associazione internazionale di sensibilizzazione sui problemi dell’ambiente, che organizza boicottaggi contro le imprese che vogliono sperimentare esplosioni nucleari, che distruggono flora e fauna marina, per biechi vantaggi economici.
Fine delle danze è un ricordo di Genova e del G8, il racconto di una città divisa tra due narrazioni, come spiega la Banda a Massimo Cotto: “La prima è la città che mobilita milioni di ragazzi non mandati da un partito, ma spinti da una coscienza che è per la pace (…); la seconda è la città della violenza”.
Passerà la notte ha per tema un’altra fragilità: quella dei bambini malati, sostenuti dai tanti volontari che alleviano le loro sofferenze negli ospedali.
Tra gli emarginati ci sono anche le prostitute come Lili, in realtà maestra di vita in Les plus belles filles.
Nel luglio 2001 la Banda continua i tour, affiancando a piazze e palazzetti altri palchi meno comuni. “Abbiamo suonato anche in carcere. Molte volte – racconta Erriquez –. Carcere di massima sicurezza di Opera. Caldo torrido, aria ferma. Ergastolani e detenuti comuni. Donne da una parte. Abbiamo un ricordo struggente dell’unico detenuto a cui era stato concesso di rimanere in mezzo alle donne, abbracciato a sua moglie, assistere al concerto e stare bene”. E poi la Casa Circondariale di Pisa, il “Solliccianino”, il carcere minorile di Firenze.
Una settimana prima del G8 suonano in una Genova già in stato d’assedio. In conseguenza degli eventi drammatici di quei giorni la Banda partecipa, con il brano La fine di Pierrot, a “GE-2001” (2005), compilation pubblicata in allegato al quotidiano “Il manifesto” per raccogliere fondi per i processi seguiti a quei fatti.
Nel 2003 parte alla conquista della Spagna. Destinazione Barcellona, Saragozza, Madrid.
Gli anni successivi sono contrassegnati da diversi album, alcuni particolarmente fortunati. “Tre passi avanti”, esce nel 2004,
mentre del 2005 è la collaborazione con i Modena City Ramblers per “Appunti partigiani”, in cui incidono il brano i Ribelli della Montagna.
Il 2006 è l’anno della raccolta “Fuori Orario”: prima nelle classifiche dei punti vendita indipendenti. “Ottavio” esce nel 2008.
Successivamente “Allegro ma non troppo” (2010), “Sette x uno”, nello stesso anno, “Scaccianuvole” nel 2011.
Nel 2014 esce “L’improbabile”, il primo album realizzato per una major, la Warner Music Group. Il primo singolo è E allora il cuore.
Il 7 dicembre 2018 al Nelson Mandela Forum la banda festeggia i suoi venticinque anni con un concerto che coinvolge artisti come Max Gazzè, Carmen Consoli, Tonino Carotone, Modena City Ramblers con Cisco e Piero Pelù.
“La Banda è sempre stata formata da fratelli, non da amici” si legge nell’autobiografia. La fratellanza, come luogo di inclusione, che trasforma un concerto in una festa partecipata. E questa è una delle tante interpretazioni che si possono dare a un’esperienza musicale che ha raccontato la cronaca, le illusioni e le speranze degli anni Novanta. Che ha lanciato, attraverso le canzoni e le musiche, il messaggio di un mondo libero e democratico, tollerante e pacifico. Vivace, festoso e pieno di vita. Che si ritroverà per sempre unito al grido di: “Attenzione concentrazione ritmo e vitalità”.
Qui Erriquez racconta l’epopea della Banda (luglio 2015)
Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli
Pubblicato sabato 20 Marzo 2021
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