Roma, via Tasso. Al civico 145 durante l’occupazione della Capitale era la sede Sicherheitspolizei, dalla quale dipendeva la Gestapo

Sono stato a Via Tasso, con i miei compagni di classe. Camminavamo tutti insieme, passando in silenzio tra le sale del Museo storico della Liberazione di Roma. Durante l’occupazione nazifascista erano degli appartamenti, li avevano trasformati in prigione. Certe cose è diverso leggerle sui libri o vederle dal vivo. Eravamo lì, quando una compagna mi ha tirato forte per la giacca.

La camicia insanguinata del professor Gioacchino Gesmundo, torturato in via Tasso prima di morire alle Fosse Ardeatine

Mi ha portato di fronte a una teca dove era appesa una camicia: il sangue macchiava ancora le maniche, segno indelebile, nel tempo, delle torture e delle violenze che chi la portava deve aver subito.

La mia amica ha indicato la targa che spiegava con poche parole qualcosa che ancora non sapevo: quella era la camicia di un professore partigiano, che aveva camminato e tenuto lezione a studenti come me, in una scuola come quella in cui oggi cammino io.

Quella era la sua camicia, Professor Gesmundo.

Il professor Gioacchino Gesmundo era nato a Terlizzi (BA) il 20 novembre 1908, aveva compiuto da poco 35 anni quando venne arrestato dalla polizia fascista

Così le indirizzo queste parole, nella speranza che possano essere ascoltate da chi ha orecchie per sentirle. Perché davanti a me la vedo insegnare la storia dei popoli, negli anni del fascismo. La sento infervorarsi nel parlare dei grandi filosofi classici e inseguire, con lo studio, la verità. Tra le parole dei pensatori e il racconto dei grandi testimoni del passato, sono sicuro che accendeva la curiosità delle studentesse e degli studenti solo guardandoli negli occhi. Provava a trasmettere alle nuove generazioni il potere della libertà e della giustizia, l’importanza della formazione e del sapere. Per crescere, cambiare, rompere le catene della tirannia che stringeva il nostro Paese.

La vedo scegliere di parteggiare. Prendere la strada della Resistenza al nazifascismo con lo stesso coraggio e determinazione che aveva davanti alla lavagna.

Perché sono convinto che la scuola, come la intendeva una persona come lei, sia un’idea, un ideale. Un po’ come la libertà. Un’idea per cui vale la pena battersi e se serve finanche dare la propria stessa vita.

La pietra d’inciampo dedicata a Gesmundo posta a Roma davanti alla casa dove abitava e venne arrestato

La arrestarono in un freddo giorno di fine gennaio, la tennero quasi due mesi in quella cella. Ucciso dai soldati nazisti insieme ad altri 334 uomini nelle cave di tufo delle Fosse Ardeatine, il suo sacrificio ha dato i semi migliori. La Repubblica ha radici forti, la nostra libertà ha un prezzo che tutte e tutti noi dobbiamo sempre ricordare: ci sono donne e uomini che, come lei, hanno scelto di parteggiare, di combattere contro l’oppressore.

Nelle aule delle scuole si formano le cittadine e i cittadini di domani, ce lo sentiamo sempre ripetere. Per questo la scuola deve essere un’idea da perseguire nel solco tracciato da persone come lei: sinonimo di crescita e di impegno, di libertà e di giustizia sociale.

Il Mausoleo delle Fosse Ardeatine 

Vorrei ci vedesse. Vorrei che vedesse la scuola pubblica nell’Italia nata dalla Resistenza: l’istruzione che prova a essere per tutte e tutti, in una società democratica e repubblicana libera dal fascismo. Mi immagino un sorriso accennato sotto i baffi folti nell’osservare questi nuovi studenti affrontare le giornate di scuola tra i banchi.

(Imagoeconomica)

Eppure è in momenti come questi che avremmo davvero bisogno dello sguardo appassionato di un professore combattente. Perché è il 2022 e sono quasi ottanta anni dalla fine della guerra. È mai possibile che in Italia un ragazzo, studente, possa perdere la vita a 18 anni in fabbrica durante l’orario scolastico? La scuola e lo Stato per cui lei si è battuto sono certo fossero altro. Vorrei poterla sentir parlare, indignarsi, difendere l’istruzione pubblica per quello che dovrebbe essere: emancipazione e luogo di crescita per ognuno.

Non so nemmeno perché uno studente come Lorenzo, invece che in un’aula, si debba trovare in fabbrica in orario scolastico.

La voce di un professore combattente, partigiano e comunista è ciò che vorrei sentire oggi per poter ancora credere nella Repubblica e nella scuola. Perché la nostra libertà è nel sacrificio di uomini come lei, ed è quello l’esempio che sempre dovrebbe guidare lo Stato. Una voce muta da ascoltare, storie da conoscere per capire da dove veniamo e soprattutto dove dobbiamo andare.

Iacopo Smeriglio