Determinato, rigoroso e scrupoloso. Così era Carlo in ogni aspetto delle molteplici attività e dei tanti incarichi pubblici che ha ricoperto durante la sua lunga vita, che è stata il contrappunto virtuoso di un’epoca. Un’epoca particolarissima, in cui Carlo, dalla Resistenza alla Costituzione alla guerra fredda al crollo del muro fino ai giorni nostri, ha accompagnato la storia della democrazia costituzionale nel nostro Paese combattendo a sua difesa e promozione nelle più varie circostanze della lotta sociale, civile e politica.

Per questo ha ragione lo storico Davide Conti quando lo iscrive nel Pantheon dei padri e delle madri della Repubblica, a cominciare dal suo impegno come volontario nel Corpo Italiano di Liberazione: il partigiano Carlo Smuraglia.

Carlo è diventato presidente nazionale dell’Associazione nell’aprile 2011, nel pieno della cosiddetta seconda repubblica, e ha mantenuto l’incarico fino al novembre 2017. La cifra della sua lunga presidenza è stata l’autonomia dell’Anpi, che ha difeso in modo pugnace contro qualsiasi tentativo di interferire, di condizionare, o comunque di ledere tale autonomia.

È stata epica la sua battaglia per il NO al referendum di Renzi del dicembre 2016. Ricordo quando al congresso nazionale di Rimini, che si svolse a maggio, sostenne, a proposito del referendum, che occorreva “scalare una montagna a mani nude”. E così facemmo, e vincemmo quella difficilissima sfida, che aveva come posta uno stravolgimento della Carta fondamentale. Fu una battaglia simbolica della sua passione costituzionale che lo ha accompagnato per tutta la vita. In quella circostanza, all’età di 93 anni, girò per l’Italia intervenendo in centinaia di iniziative.

Carlo guardava sempre al merito delle questioni e mai agli schieramenti; “non ci sono governi amici”, sosteneva. Dunque autonomia da eventuali invadenze partitiche, e la Costituzione nel cuore. Parole che richiamano il titolo di un libro-intervista, che è di fatto la sua biografia politica ed esistenziale. Una biografia da cui emerge il profilo di un uomo di parte: la parte della Costituzione e di conseguenza dei lavoratori.

Lo avevo conosciuto a Milano all’inizio degli anni 70, quando esercitava la professione di avvocato per la Camera del Lavoro, difendendo gratuitamente i lavoratori nelle mille vertenze del tempo. Da ciò l’appellativo di “avvocato dei lavoratori” con cui veniva nominato.

La professione di avvocato è stata il baricentro della sua vita e si è inevitabilmente intrecciata con la sua vastissima attività istituzionale e poi con la sua direzione dell’Anpi. Fu protagonista di processi che hanno scandito la storia civile e sociale del Paese. Fu parte civile per i tragici fatti di Reggio Emilia nel 1960. Difese gli studenti del liceo Parini di Milano quando nel 1966 furono denunciati perché avevano pubblicato sul loro periodico “La Zanzara” un articolo sull’educazione sessuale. Fu parte civile per la morte di Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra della questura di Milano il 15 dicembre 1969. E ancora fu parte civile per la fuga di diossina a Seveso del 10 luglio 1976, e in tanti altri processi di rilevanza nazionale.

E fu anche uomo delle istituzioni: consigliere comunale, poi regionale, poi presidente del consiglio regionale della Lombardia, membro del CSM, senatore, presidente della Commissione lavoro, solo per citare alcune delle sue responsabilità.

Carlo è stato protagonista e testimone del suo tempo mescolando in modo irresolubile impegno civile, sociale e istituzionale, e cioè la sostanza del moderno impegno antifascista. Ed è anche grazie a lui se in particolare nell’ultimo decennio la narrazione della Resistenza, proprio perché profondamente antiretorica, si è straordinariamente ampliata, andando oltre la pur fondamentale lotta armata del Nord e considerando sia la Resistenza nel Mezzogiorno, sia la Resistenza dei meridionali, e assieme l’esperienza particolarissima delle piccole repubbliche partigiane che sbocciarono sotto l’occupazione tedesca, per non parlare del ruolo delle donne, degli scioperi del marzo ’43-’44 e del sacrificio dei militari all’estero come nel drammatico e famoso caso di Cefalonia.

È emersa così una resistenza militare, civile, sociale, un fenomeno composito e complesso che ha coinvolto una vastissima parte del popolo italiano. È merito suo e della sua determinazione, come riconosciuto in una toccante testimonianza di Paolo Pezzino, presidente dell’Istituto Parri, se si è potuto dare vita all’Atlante delle stragi nazifasciste in Italia, grazie ai finanziamenti del governo tedesco e italiano. Dunque la Resistenza non solo come fatto armato, ma come percorso unitario di formazione civile di tanti italiani, quel percorso che portò alla Repubblica e alla Costituzione.

Quando si dimise da presidente nazionale per la sua età avanzatissima, fu eletto presidente emerito, carica non statutaria creata per rappresentare un riconoscimento dovuto. La proposta fu approvata per acclamazione. Così Carlo ha percorso l’ultimo miglio del suo impegno civile, sociale e politico.

In un tempo – diciamolo – di nani, la figura di Carlo Smuraglia è sicuramente quella di un gigante. Ci lascia un vocabolario di parole fra loro inseparabili: Resistenza, lavoratori, democrazia, uguaglianza, Costituzione, antifascismo.

Assieme, ci consegna un metodo, che è anche uno stile: un rigore morale indefettibile e incontaminato, che è, a ben vedere, una lezione civile e politica, perché si muove in direzione ostinata e contraria rispetto al tempo della politica che viviamo. E forse rimane il suo insegnamento più prezioso.

Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi