(Imagoeconomica, Leonardo Puccini)

ANPI ha partecipato alla delegazione internazionale invitata a Istanbul dal Partito DEM (secondo partito di opposizione nel parlamento turco) al fine di spiegare e approfondire i contenuti della decisione presa dal leader curdo Abdullah Öcalan il 27 febbraio scorso relativamente all’abbandono della lotta armata, lo scioglimento del Partito dei Lavoratori Curdi, il PKK, e della conseguente proposta avanzata al governo turco per la risoluzione della “questione curda” attraverso un processo pacifico e negoziale.

La delegazione ha visto la partecipazione di associazioni, partiti, sindacalisti, giuristi europei ed extra europei impegnati in un intenso e interessante programma di due giorni sviluppato attraverso incontri con dirigenti del Partito DEM, avvocati del collegio di difesa di Ocalan e responsabili di movimenti sociali.

Il cuore delle incontri e degli approfondimenti, favoriti anche dai numerosi interventi di membri della delegazione, hanno riguardato i contenuti della proposta di Ocalan, lo stato di avanzamento del processo e, naturalmente, la reazione del governo di Erdogan e del mondo politico turco.

Veduta aerea su Imrali, l’isola carcere di Ocalan

Nel primo giorno di incontri, gli avvocati del collegio di difesa di Abdullah Öcalan e insieme a membri della delegazione agli incontri il leader nell’isola di Imrali hanno percorso il lungo cammino del difficile processo che ha portato alla decisiva dichiarazione del 27 febbraio di quest’anno con l’annuncio dell’abbandono definitivo della lotta armata e lo scioglimento del Partito dei Lavoratori Curdi (PKK) per l’avvio di un nuovo processo di pace con il governo turco [1].

(Imagoeconomica, Giulia Palmigiani)

Una decisione, come ricordato dagli avvocati, maturata nel corso degli ultimi decenni con alti e bassi e che ha dovuto confrontarsi con la difficile situazione interna turca governata da un esecutivo decisamente antidemocratico e sempre incline alla pratica repressiva nei confronti delle opposizioni, e in maniera particolare verso le organizzazioni curde, gli attivisti e contro i numerosi sindaci eletti democraticamente nelle varie municipalità, come testimoniato anche dal celebre arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu. Una scelta, quella proposta dal leader curdo, che ha dovuto confrontarsi anche con il complesso teatro mediorientale e la generale degenerazione bellica a livello globale.

Il sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu

Nonostante le difficoltà, il processo di pace ha proseguito nella sua strada, con fasi alterne ma sempre teso a costruire il clima politico per l’allargamento del consenso, all’interno delle organizzazioni curde e all’esterno, cercando di sviluppare interlocuzioni con gli altri partiti per sollecitare una discussione ancora più larga all’interno del parlamento turco nella prospettiva della realizzazione di strutture formali dedicate alla discussione e alla gestione del processo stesso.

A oggi esistono e si susseguono colloqui tra le parti, naturalmente riservati, in attesa della agognata commissione parlamentare ad hoc ma naturalmente pesa la condizione di non libertà e di totale isolamento a cui è ancora sottoposto il “capo delegazione” Abdullah Öcalan. Gli avvocati sottolineano l’importanza strategica della modifica radicale della condizione del leader curdo che
rappresenterebbe un segnale tangibile e forte verso la concretizzazione, lo sviluppo positivo e l’accelerazione sostanziale del processo di pace.

(Imagoeconomica, Marco Cremonesi)

Per questo la solidarietà e la pressione internazionale nei confronti del governo turco, specie dell’Unione Europea diventano importanti e potrebbero allargare ulteriormente gli spazi per lo sviluppo del processo. Per nostra parte, la delegazione tutta, presente a Istanbul, ha sottoscritto una formale richiesta di visita a Ocalan indirizzata al ministro di Giustizia del governo turco
che ha avuto un riscontro immediato e carico di affetto da parte di Öcalan stesso.

Gli incontri successivi con il co-presidente del Partito DEM e con esponenti politici del partito, del dipartimento femminile e del sindacato, hanno ancor più approfondito le ragioni e i contenuti
profondi del processo di pace, evidenziandone principalmente la radicalità e l’importanza strategica insieme al carattere globale della proposta. Innanzitutto hanno tenuto a evidenziare che la scelta del terreno democratico e del negoziato, accompagnata dall’abbandono della lotta armata, non è una scelta tattica, del momento, ma una scelta strategica di lungo periodo. Una  decisione che si confronta con la situazione generale della Turchia e con il complicato teatro medio orientale, se non altro per il fatto che milioni di curdi sono disseminati in ben tre Paesi della regione oltre alla Turchia: Iraq, Siria e Iran. Una scelta che obbligatoriamente si è confrontata sul terreno con i continui attacchi al Rojawa e alle aree curde della regione, al cambio di regime in Siria con l’avvento di un governo jihadista, con il genocidio in corso in Palestina e con la guerra permanente in tutta la regione.

(Imagoeconomica, Palmigiani, dettaglio)

Un punto fondamentale più volte sottolineato è che la prospettiva di pace non può essere disgiunta dalla prospettiva democratica. Non ci può essere soluzione al problema curdo senza la democratizzazione dell’intera società turca in tutti i suoi aspetti, che vanno dalla parità dei cittadini e delle diverse popolazioni, alla giustizia sociale ed economica, alle questioni di genere. È una battaglia difficile perchè la Turchia è uno stato oppressivo con migliaia di detenuti politici, uno Stato nazionalista e omofobo che continua a bombardare i villaggi curdi, ma per gli esponenti DEM il terreno democratico è oggi l’unico percorribile e in prospettiva sarà vincente anche nei confronti del governo Erdogan se la proposta di pace-democrazia diventerà oggetto di dibattito
pubblico, non solo in parlamento ma soprattutto tra le persone e i cittadini in tutta la Turchia.

In questa battaglia il rapporto con l’Europa diventa importante per il ruolo stesso giocato dalla Turchia e la sua collocazione nel quadro geopolitico più vicino a noi. La proposta di “confederalismo democratico” è una proposta che travalica la Turchia, che parla a un Medio Oriente travolto dalle guerre e dai nazionalismi identitari, che non hanno portato pace e benessere alle popolazioni ma allo scontro sempre più violento tra Stati e regimi sempre meno democratici. Al contrario l’esperienza del Rojawa ha dimostrato la possibilità di uno sviluppo diverso basato sul rapporto democratico tra le popolazioni.

(Imagoeconomica, Andrea Panegrossi)

Infine, in un periodo storico che vede la guerra, i nazionalismi e gli imperialismi vari contendersi il mondo per per fare fronte alla crisi di un capitalismo che non è stato in grado di risolvere i problemi di fondo della ridistribuzione equa della ricchezza globale e della salvaguardia delle risorse del pianeta, la proposta del disarmo e della democrazia come fonte di pace è di per sé una risposta rivoluzionaria alla crisi del capitalismo contemporaneo.

È forse questo il valore più profondo della proposta che la resistenza curda e in particolare Abdullah Öcalan avanzano da anni e che la decisione del 27 febbraio scorso coadiuvata dalla conferma del Congresso del PKK per il disarmo consegnano alla storia. Un passaggio indubbiamente coraggioso e carico di responsabilità, di difficoltà e anche di incognite che solo lo svolgimento degli avvenimenti potrà giudicare. La scelta operata pochi giorni fa di distruggere essi stessi le loro armi invece che consegnarle al governo turco è carica di significato e ribadisce l’assoluta autonomia di una scelta e la totale assunzione di responsabilità nei confronti delle popolazioni curde e della loro storia.

Certamente è una scelta che modifica radicalmente il paradigma della resistenza curda ma che cerca nel contempo di sfuggire anche a quello imposto globalmente dall’impero finanziario, economico e militare che ha fatto della guerra lo strumento principe della dominazione del più forte, alimentata da un riarmo generalizzato e dallo sviluppo di nazionalismi sempre più razzisti e radicali.

Quella di Ocalan e della resistenza curda è una scelta difficile ma con uno sguardo risoluto e fiducioso verso un futuro di alternativa. A oggi registriamo una risposta interlocutoria di Erdogan che non chiude la prospettiva ma che, anch’essa, attende fatti concreti sul terreno per un giudizio razionale e oggettivo. Sta anche a noi in Italia e in Europa raccogliere in qualche modo questa sfida e dare seguito alle richieste di solidarietà e di vicinanza avanzata dalle compagne e dai compagni del Partito DEM, agendo insieme ai movimenti e alle forze democratiche, per fare conoscere i contenuti e le prospettive del “processo di pace e democrazia”, per farne oggetto di dibattito pubblico e agire per un riconoscimento politico nei confronti delle nostre istituzioni anche periferiche, del governo e anche verso le Istituzioni europee, a cominciare dalla richiesta per la liberazione di Abdullah Öcalan.

Roberto Giudici

[1] Per la prima volta dal 1999, Abdullah Öcalan è tornato a parlare in video: “La lotta armata ha raggiunto il suo scopo: con il riconoscimento dell’identità curda, è finita. Ora dobbiamo iniziare un nuovo capitolo e adottare un linguaggio basato sulla ragione e sulla buona volontà… Questo rappresenta una transizione volontaria da una fase di conflitto armato a una di politica democratica e di diritto”, La Jornada