Lo striscione della manifestazione del 19 luglio. Foto Pietro Calligaris

Anche quest’anno, come da 31 anni, il 19 luglio a Palermo non è stata una giornata come le altre. Il 19 luglio è il giorno di via D’Amelio, della strage di mafia che uccise il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta. Quest’anno un corteo di migliaia di persone ha attraversato la città con parole d’ordine molto chiare: Basta Stato-mafia. Ne abbiamo parlato con Jamil El Sadi, attivista di Our Voice e tra gli organizzatori della manifestazione.

Jamil El Sadi. Foto di Pietro Calligaris

In poche battute ci vuoi dire cos’è Our Voice e qual è il suo legame con la lotta antimafia?
Our Voice è un movimento culturale che promuove una lotta antimafia diversa e per certi versi innovativa. Più semplicemente, intersezionale. Dico per certi versi perché in realtà l’antimafia intersezionale affonda le sue radici nel passato. Tra i primi a comprendere che il contrasto alle organizzazioni mafiose non dovesse essere solo una mera questione di giustizia sono stati Peppino Impastato, Danilo Dolci, Mauro Rostagno ed altri. Ed è proprio sulle orme di Peppino che nasce Our Voice. Nel tempo abbiamo abbracciato tante lotte sociali dentro al movimento come quella antifascista, ambientale, transfemminista, antimilitarista e altre. E nel tempo abbiamo compreso che tutte queste lotte, direttamente o indirettamente, si legano all’antimafia.

Foto Pietro Calligaris

Parlando della manifestazione, cosa rappresenta per voi il 19 luglio e perché era importante essere in piazza?
Per noi il 19 luglio non è solo la giornata commemorativa della strage di Via D’Amelio, in cui nel 1992 vennero uccisi il magistrato Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta: Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Rappresenta molto di più. Via D’Amelio è il luogo in cui avvenne uno dei più grandi depistaggi della storia della Repubblica, che partì subito, con la sparizione dell’agenda rossa di Borsellino (in cui annotava informazioni riservate del suo lavoro) per mano di un funzionario di Stato. Ripeto, non della mafia – che fu il braccio armato della strage – ma dello Stato. Tante, troppe sono le anomalie dietro questo eccidio. A 31 anni di distanza abbiamo ancora una verità parziale dei fatti. Troppi sono state le ipocrisie e i silenzi istituzionali. Quindi per noi era importante essere in piazza – come ogni anno – per pretendere ancora una volta dal governo il massimo impegno e la massima attenzione nel contrasto alle mafie e alla corruzione. Per chiedere l’apertura completa degli archivi dei servizi segreti degli anni delle stragi, affinché sia possibile fare chiarezza sul comportamento, in primo luogo, degli agenti dello Stato. Vogliamo conoscere i nomi dei mandanti esterni delle stragi, perché oggi – avendo seguito processi ed essendoci state sentenze passate in giudicato – non si può più raccontare la favola secondo cui “fu solo mafia”. No, la strage di Via D’Amelio (come altri delitti eccellenti) fu una strage di Stato-mafia. Ma era importante manifestare anche per un altro motivo.

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Quale?
La politica deve avere le carte in regola per combattere la mafia: questo significa essere credibili nei propri comportamenti. Significa valorizzare la “questione morale” e non legittimare figure politiche della nostra attuale classe dirigente (come Dell’Utri, Cuffaro e molti altri) che hanno avuto collegamenti accertati con la stessa. La lotta alla mafia non può essere oggetto di occasionali celebrazioni sterili. Va vissuta e praticata ogni giorno. Senza mai dimenticare la questione morale. E quindi quando si è difronte a politici caldeggiati da condannati per mafia, per esempio, la questione morale e la responsabilità politica sono anticorpi fondamentali. Una delle rivendicazioni gridate con più forza dai e dalle giovani in piazza era la necessità di praticare antimafia popolare.

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Cosa intendete?
Significa che la lotta alla mafia, innanzitutto, deve tenere conto della questione sociale. Deve essere lotta per i diritti. Non possiamo arrenderci all’idea che la lotta alla mafia si fa a colpi di blitz dei Carabinieri. Le operazioni antimafia, che sono uno strumento fondamentale, se non vengono accompagnate da un lavoro in altri ambiti restano solo un ottimo sistema di repressione dello Stato. Io non applaudo alle forze di polizia quando entrano a Borgo Vecchio o a Ballarò e arrestano 20 ragazzi per spaccio di droga. Quell’operazione fotografa uno spaccato reale, ma è compito mio – in quanto società civile – comprendere perché quei coetanei spacciavano. E quindi: che disagi vivono? Che opportunità hanno? Quali alternative vengono offerte loro dallo Stato affinché non siano costretti a spacciare per vivere? Conosco storie di ragazze giovanissime che pur di sopravvivere fanno figli così da poter accedere ai bonus sociali; o ragazzi disposti a fare favori alla mafia per avere soldi liquidi su commissione; o addirittura persone disposte a farsi spaccare le ossa da soggetti vicini ai clan così da truffare le assicurazioni e intascare denaro. Ecco, mi domando se possa essere esaustivo un blitz o un’operazione antimafia, e il discorso non riguarda solo Palermo, ma si può allargare ad altre città del Sud, come anche del Nord.

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Ok, quindi nella piazza del 19 luglio non c’era solo il ricordo, ma una piattaforma di rivendicazioni più ampia?

Il 19 luglio una grossa fetta di società civile di Palermo ha dimostrato ancora una volta che sa scegliere da che parte stare. Tra la memoria statica e l’antimafia quotidiana, di quartiere, che parte dal basso, che si preoccupa dei problemi delle persone come il diritto al lavoro (non precario), alla salute come bene universale, allo studio, i diritti sociali e di genere, ha scelto quest’ultima. La città è stanca delle parate istituzionali in cui i politicanti di turno vengono a Palermo una volta l’anno per commemorare i morti, mentre per il resto dell’anno a Roma si impegnano a smantellare la legislazione antimafia pezzo dopo pezzo e a riformare leggi fondamentali per la tutela dei diritti basilari delle persone.

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Si potrebbe anche dire che la composizione della piazza fosse eterogenea e varia, a dimostrazione che il percorso che state portando avanti è radicato e coinvolge diverse anime della società democratica e antifascista palermitana. È questo un aspetto di quella che prima definivi intersezionalità nella lotta antimafia?
La rete che abbiamo creato con altre realtà si è allargata notevolmente rispetto a quella che lo scorso 23 maggio ha realizzato un altro corteo, stoppato poi a colpi di manganellate. Oltre ai sindacati studenteschi, all’Anpi, Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato, alla Cgil e ad alcuni centri sociali di Palermo, già presenti, abbiamo allargato gli orizzonti abbracciando anche l’Arci, le Agende Rosse, Libera, il Centro Studi Paolo e Rita Borsellino, ma anche ad Arcigay e Coordinamento Pride Palermo, Sinistra Italiana, Rifondazione Comunista, USB, Sunia e tante altre sigle della società civile. L’intersezionalità della lotta antimafia è fondamentale per contrastare un fenomeno complesso come le mafie. Alle persone che mi chiedono, pongo sempre delle domande utili a comprendere lo stato attuale dell’arte delle organizzazioni mafiose. La mafia influenza la politica? Droga il mercato con i proventi illeciti? Si interessa di geopolitica con i suoi traffici internazionali di armi, droga e prostituzione? Fa affari? Tesse patti e connivenze segrete con mondi massonici ed ecclesiastici? Infine, influenza il tessuto sociale? Io credo che la risposta a queste domane sia la stessa: “Sì”. E ciò dimostra che, se la mafia è intersezionale, dunque l’attività di contrasto deve essere adeguata al fenomeno criminale che è presente nel territorio.

23 maggio 1992. Strage di Capaci. Oltre al giudice Giovanni Falcone, morirono la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Vi furono inoltre 23 feriti

Hai menzionato un altro corteo, quello del 23 maggio in memoria della strage di Capaci, finito agli onori della cronaca per essere stato caricato violentemente dalle forze dell’ordine. Voi avete anche deciso di indossare delle fascette al braccio per ricordare quell’episodio, che senza dubbio ha rappresentato un campanello d’allarme riguardo la repressione in Italia.  Puoi dirci qualcosa a riguardo?
Sì, abbiamo scritto in alcune fascette “frange antagoniste chi manganella”. Io personalmente l’ho scritto pure nella mia maglia. È il termine con cui la Questura ha bollato e giustificato le manganellate che ci hanno colpiti lo scorso 23 maggio. Era un corteo autorizzato. All’ultimo momento, il giorno prima del corteo, mi è stato detto da un funzionario che era giunta improvvisamente una comunicazione della Prefettura che modificava il percorso del corteo. In sintesi, non ci era permesso di entrare in via Notarbartolo, dove si trova l’Albero Falcone (un ficus che è diventato, dopo la strage di Capaci, un luogo simbolo della lotta antimafia. Si trova di fronte a quella che fu l’abitazione del giudice Falcone, ndr). L’indomani mattina mi incontrai assieme ad una compagna di Our Voice con un dirigente e parlammo a lungo per trovare un accordo. E l’accordo era che il Coordinamento di realtà che promuovevano il corteo avrebbero infranto l’ordinanza (pensata male e scritta peggio) perché al posto di contenere l’ordine pubblico avrebbe prodotto l’effetto opposto. E così è stato. Noi alla fine abbiamo chiuso il corteo come da ordinanza, nel luogo indicato dal Comitato di sicurezza. Si è creata, però, una situazione di tappo: da un lato oltre 2.500 manifestanti pacifici (molti bambini, anziani e anche persone sulla sedia a rotelle) e dall’altro un cordone di poliziotti, carabinieri e finanzieri che impedivano l’accesso alla strada. Era solo il primo cordone. Una volta che i manifestanti sono entrati, si sono schierati altri due cordoni, in tenuta antisommossa, bloccando la via. E lì sono iniziate le manganellate. Abbiamo temuto il peggio. Solo dopo molto tempo (e lunghi dialoghi tra me – e altri assieme a me – e i funzionari della Digos) siamo riusciti a calmare la situazione e ci hanno fatti entrare. Ma sono certo che si è trattato solo di un calcolo politico.

La famosa foto dei giudici Falcone e Borsellino

In che senso?
Mentre venivamo manganellati, mancavano pochi minuti al minuto di silenzio della strage di Capaci. Chi si sarebbe assunto la responsabilità di aver interrotto per la prima volta nella storia il minuto di silenzio in onore a Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro? Addirittura, a colpi di manganelli. La gente gridava “fascisti” e “vergogna”. E una volta entrati nella via, le migliaia di manifestanti hanno urlato “fuori la mafia dallo Stato”. Un coro rivolto a coloro che si trovavano sopra il palco nonostante la vicinanza e l’endorsement politico ricevuto da condannati per mafia. Mi riferisco al sindaco Lagalla e al presidente della Regione Schifani, entrambi caldeggiati da Dell’Utri e Cuffaro, rispettivamente condannati per concorso esterno in associazione mafiosa e favoreggiamento (pene scontate).

L’albero in memoria di Giovanni Falcone

Nei giorni che hanno preceduto la manifestazione della scorsa settimana i vostri materiali sembra siano stati coperti o strappati da militanti di organizzazioni di estrema destra. Qual è la situazione a Palermo?
In alcune delle vie centrali della città alcuni soggetti hanno strappato numerosi manifesti del corteo “Basta Stato Mafia”. Abbiamo anche un video che immortala un ragazzo mentre ne strappa alcuni. Chi sia stato ad aver strappato i poster non si sa, incuriosisce però il fatto che – come si vede dal video che abbiamo pubblicato su Instagram – sopra alcuni dei manifesti rotti sono stati attaccati nell’arco di un’ora volantini della fiaccolata promossa dal Forum XIX luglio e dalla Comunità ’92, due realtà che storicamente organizzano il corteo commemorativo la sera del 19 luglio e che, politicamente parlando, guardano all’estrema destra (tra loro c’è CasaPound e Gioventù Nazionale). Una firma? Una rivendicazione? Una provocazione? Non si sa. Certo è che la censura è fascismo. E a noi il fascismo fa schifo. Oggi e sempre.

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Al di là di queste piccole provocazioni, però possiamo dire che con quella giornata di piazza avete raggiunto un grande obiettivo. Ora avete altro in mente?
Sicuramente è stata una grande giornata. Il Coordinamento è riuscito a portare oltre mille persone in corteo nonostante i 38 gradi delle 15 e nonostante, al netto delle opinioni, il tema della lotta alla mafia – e in particolare la commemorazione di Paolo Borsellino (a causa della sua militanza giovanile in movimenti di destra) – sia un argomento molto divisivo a Palermo. Si tratta però di una tappa, non di un punto di arrivo. Ora, parlo di Our Voice – ma sicuramente anche altre realtà del Coordinamento – ci proietteremo verso altre tappe. Altre vertenze che orbitano attorno all’antimafia intersezionale. Ci sono date importanti verso la fine dell’anno: sanità pubblica, immigrazione, ambiente, diritti di genere e tanto altro. Insomma, stiamo vivendo una calda estate, ma l’autunno e l’inverno che ci si proietta davanti non saranno da meno.

Iacopo Smeriglio