L’Assemblea Costituente, eletta a suffragio universale maschile e, per la prima volta, femminile il 2 giugno 1946, fu convocata in base all’accordo stipulato tra la monarchia e i partiti del CLN alla Liberazione di Roma: il maresciallo Badoglio era stato sostituito a capo del governo da Ivanoe Bonomi; mentre Vittorio Emanuele III, responsabile della lunga collaborazione con il fascismo e della vergognosa conduzione dell’armistizio, si ritirò dalla scena nominando il proprio figlio Umberto Luogotenente del Regno. Costui emanò il decreto legislativo luogotenenziale n. 151/1944 che conferiva all’Assemblea Costituente il compito di disegnare l’intero assetto costituzionale; un successivo decreto (d. lgs. lgt. n. 98/1946) stabilì invece che la scelta istituzionale tra monarchia e repubblica fosse effettuata con un referendum popolare e che la Costituente dovesse attenersi a quel responso. Con quel decreto all’Assemblea costituente del 1946-1947 fu assegnato anche un limitato potere legislativo, per il resto provvisoriamente delegato al Governo, su alcune materie cruciali tra cui la legge elettorale, gli Statuti speciali, la legge sulla stampa, l’approvazione del Trattato di pace (che fu poi firmato a Parigi nel 1947).
La monarchia, sotto lo schermo di accordi con i partiti antifascisti, cercava di ritrovare un ruolo e la forza per salvarsi: Vittorio Emanuele III aveva rifiutato di abdicare, conferendo a Umberto la Luogotenenza; i cambiamenti introdotti rispetto al primo decreto (n. 151/1944) nel 1946 avevano trasferito la scelta istituzionale dalla Costituente al referendum popolare, nella speranza che l’appello al popolo evitasse la scelta repubblicana, verso la quale chiaramente inclinava la maggioranza dei partiti antifascisti. Infine, il 9 maggio 1946, alla viglia del referendum, il vecchio re si risolse ad abdicare nell’illusione che, presentando con Umberto un volto nuovo, l’istituto monarchico potesse salvarsi.
Il 2 giugno invece la repubblica trionfò con uno scarto di circa due milioni di voti: è stato detto – probabilmente non senza ragione – che la vittoria repubblicana fu dovuta alle donne del Sud che non votarono in massa per la monarchia, come temevano i partiti della sinistra, ma si pronunciarono per la repubblica. Indagini del dopoguerra appurarono inoltre che l’alto numero di consensi monarchici, fu dovuto, più che a devozione verso il discreditato re e il suo lignaggio, al timore dei ceti conservatori per un cambiamento che potesse preludere all’avvento del comunismo.
La nascita della Costituzione era stata preceduta dall’attività preliminare svolta dalla Consulta nazionale – istituita su iniziativa del governo Bonomi nell’aprile del 1945 per affiancare il governo nella fase transitoria, e in particolare per elaborare la legge elettorale per la Costituente. Il governo Parri istituì il Ministero per la Costituente (d. lgt. 31 luglio 1945, n. 435) – che fu presieduto dal socialista Pietro Nenni – con il compito di preparare la convocazione dell’Assemblea costituente. Fu istituita una Commissione per l’elaborazione della legge elettorale politica che presentò un progetto di legge che anticipava i contenuti poi recepiti nella Costituzione in merito ai diritti politici e divenne il d. lgt. 10 marzo 1946 n. 74. Furono altresì istituite tre commissioni di studio: 1) la Commissione per gli studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato sotto la guida di un giurista, Ugo Forti, professore di diritto amministrativo nell’Università di Napoli. La Commissione operò attraverso cinque sottocommissioni (problemi costituzionali, organizzazione dello Stato, autonomie locali, enti pubblici non territoriali e sanità); 2) la Commissione economica presieduta da Giovanni de Maria, professore di economia all’Università Bocconi di Milano e suddivisa, anch’essa, in cinque sottocommissioni (agricoltura; industria; problemi monetari e commercio con l’estero; credito e assicurazione; finanza); 3) la Commissione per lo studio dei problemi del lavoro (gennaio 1946) che risentì della prossimità dell’evento elettorale: a differenza delle altre due commissioni non poté presentare una relazione unitaria, ma fornì comunque all’Assemblea una mole non indifferente di documentazione. Va segnalato, per qualificare il clima in cui si svolsero i lavori della Costituente, che attorno a essi fu svolta un’ampia opera di informazione e divulgazione.
Il risultato delle elezioni
I 556 deputati costituenti, per la maggior parte appartenenti ai partiti di massa (Dc 35,21% dei suffragi, Pci 20,68 % e Psiup 18,93%), si riunirono per la prima volta il 25 giugno 1946. Presidente fu eletto Giuseppe Saragat, prestigioso esponente socialista prefascista, esule in Austria e in Francia, ambasciatore a Parigi nel 1945-’46 ed eletto infine alla Costituente nelle liste del Psiup; tre giorni dopo fu eletto Capo provvisorio dello Stato il liberale Enrico De Nicola, che, malgrado alcuni cedimenti nel periodo delle origini del fascismo, aveva mantenuto un dignitoso distacco rispetto al regime.
La redazione della Carta fu affidata a una Commissione di 75 membri alla cui presidenza fu preposto Meuccio Ruini, antifascista, esponente del partito della Democrazia del Lavoro, di cui era stato fondatore nel 1942.
Sua fu l’indicazione preliminare dei temi di cui la commissione avrebbe dovuto, fin dal suo avvio, occuparsi (rigidità o elasticità della Costituzione; opportunità o meno di un preambolo; monocameralismo o bicameralismo; forma di governo) al fine di giungere alla formulazione di una costituzione che doveva essere «piana, semplice, comprensibile anche alla gente del popolo».
La Commissione dei 75
I lavori della Commissione dei 75 iniziarono nell’estate del 1946 e terminarono nel febbraio 1947; l’organismo era diviso in tre sottocommissioni: la prima, presieduta da Umberto Tupini, deputato del Partito Popolare nel primo dopoguerra ed esponente democristiano, elaborò il testo concernente diritti e doveri dei cittadini; la seconda, presieduta da Umberto Terracini, comunista perseguitato dal fascismo e dirigente della Resistenza nella Valdossola, si occupò dell’organizzazione costituzionale dello Stato; la terza Commissione, presieduta dal socialista Gustavo Ghidini, si occupò dei rapporti economico-sociali. Un comitato di redazione (Comitato dei 18), costituito dall’Ufficio di presidenza della Commissione dei 75, allargato ai rappresentanti di tutti i partiti, svolse il delicato compito di coordinare il lavoro prodotto dalle tre sottocommissioni.
La fine dei lavori della Commissione dei 75 coincise con le dimissioni di Giuseppe Saragat dalla presidenza dell’Assemblea costituente (12 gennaio 1947), dimissioni conseguenti alla scissione del Partito Socialista (nota come scissione di Palazzo Barberini). Al suo posto, alla presidenza dell’Assemblea costituente fu eletto l’8 febbraio 1947 Umberto Terracini. La discussione generale in aula sul progetto di Costituzione iniziò il 4 marzo 1947, dopo la fine del lavoro di coordinamento del testo da parte del Comitato dei 18, e proseguì durante tutto il 1947. Il dibattito generale in Assemblea fu intenso e ancor oggi giudicato di altissimo livello. Ne furono protagonisti i difensori di un modello di Stato di diritto ancorato alle forme classiche del governo parlamentare (Vittorio Emanuele Orlando, Benedetto Croce, Francesco Saverio Nitti); a loro si contrapposero i deputati più giovani che percepivano una realtà nuova da affrontare attraverso pluralismo istituzionale, diritti sociali connessi al mondo del lavoro, ruolo dei partiti, superamento dell’accentramento statale, limiti alla volontà della maggioranza. Rispetto al progetto varato dalla Commissione dei 75 furono introdotti alcuni importanti mutamenti, tra i quali di particolare rilievo quelli relativi alle funzioni e ai criteri di elezione del Senato.
L’approvazione della Costituzione
L’Assemblea Costituente votò a scrutinio segreto il testo della Costituzione il 22 dicembre 1947, che venne approvato con 453 voti a favore e 62 contrari e fu promulgato dal Capo provvisorio dello Stato il 27 dicembre. Entrò in vigore il 1° gennaio 1948. L’Assemblea costituente avrebbe dovuto sciogliersi il giorno di entrata in vigore della Costituzione. In realtà essa lavorò fino al 31 gennaio 1948 in virtù di una prorogatio contenuta nella XVII disposizione transitoria della Costituzione e le sue commissioni funzionarono anche dopo tale data, fino al mese di aprile del 1948. Durante tutto l’arco di tempo dei suoi lavori si tennero 375 sedute pubbliche, delle quali 170 dedicate alla Costituzione.
Luigi Ganapini, docente all’Università di Bologna, storico
Da Patria Indipendente cartacea, novembre 2017, numero speciale
Pubblicato venerdì 1 Giugno 2018
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