C’è un sentiero nella lunga vita della senatrice a vita Liliana Segre. È un sentiero che lei sta percorrendo da ottant’anni. Da principio, si è trattato di un sentiero di montagna di media difficoltà, lungo quattro chilometri, tra Viggiù e Saltrio, in provincia di Varese, diretto verso il valico di frontiera di Arzo.
Lo percorre una ragazzina di tredici anni, insieme al suo papà e a due anziani cugini. Siamo nel dicembre 1943. Quella bambina sta cercando di abbandonare il suo Paese: uno Stato programmaticamente antisemita alleato alla barbarie nazista; una Nazione nel migliore dei casi indifferente (ci torneremo su questo concetto), nel peggiore complice consapevole.
Quella ragazzina e il suo papà, su quel sentiero si sono incamminati già cinque anni prima, quando improvvisamente gli ebrei italiani sono diventati “gli altri”, i perseguitati: la loro sola colpa, “essere ebrei”. E lei, lo ricorda, è diventata una dei tanti “bambini invisibili”.
Ma il 1943 non è il 1938. Ora inizia la persecuzione della loro vita. E quel sentiero immaginario è diventato reale, un percorso montano verso la Svizzera, terra di libertà, approdo di salvezza.
Non è così. Li fermano dei soldati del Canton Friburgo, di stanza sul confine italiano: capiscono poco la lingua, ancora meno la situazione. L’ufficiale in comando, con disprezzo e indifferenza, li respinge (“Io so cosa vuole dire essere respinti” ha ricordato anche di recente la senatrice, a buon intenditore).
Ora il sentiero si trasforma di nuovo. Porterà Liliana e suo padre nelle carceri di Varese, Como e infine Milano. San Vittore, il lager di transito milanese. E da lì, il sentiero diventa una strada cittadina, percorsa nel buio dell’alba (perché gli assassini per agire prediligono sempre il buio) da autocarri tedeschi, in una Milano deserta e – di nuovo! – indifferente.
E poi, complici zelanti italiani, i nazisti trasformano il sentiero in una strada ferrata che porterà quella ragazzina, suo padre e gli altri disperati – ancora ignari – nell’inferno indicibile di Auschwitz-Birkenau, il “vuoto dell’umanità”.
Il sentiero diventerà per Liliana, non per suo padre, non per i suoi nonni e i suoi cugini, non per tantissimi altri, sentiero di sopravvivenza: “La vita! La vita! La vita!”, ricorda Liliana. E la vita, riemerge da quel pozzo di mostri (mostruosi gli assassini, trasformate in creature inumane anche le vittime).
Ed ecco un nuovo sentiero. Quella ragazzina è diventata donna, in pochi mesi. E ora riprende a camminare immersa nel silenzio. La nuova Italia non ne vuole sentire parlare di quell’orrore. I sopravvissuti non trovano la forza di ricordare.
Sì, perché se il primo nemico che Liliana ha incontrato su quel sentiero è l’Odio criminale e razzista dei carnefici – un odio che sopravvive anch’esso, come un fiume carsico, e che emergerà di tanto in tanto, (“i magazzini dell’odio non sono mai svuotati dalla loro merce tossica” ha ricordato la senatrice, come dimostra la lapide sfregiata che era stata apposta in ricordo di quel tragico cammino della speranza), un altro nemico si è presentato per quasi quarant’anni.
Il Silenzio, di chi non sapeva, di chi sapeva e taceva, di chi non voleva saperne, di chi non ci credeva. “Esperienza interessante” fu il commento di una docente liceale quando la studentessa Segre era tornata sui banchi di scuola e aveva cercato di raccontare l’indicibile (e ancora: “Ma tu Segre, dove sei andata a finire, che non ti abbiamo più visto?”, le chiedeva una compagna che non vedeva dal 1938).
Alla fine, quel silenzio è stato interrotto da Liliana, che dal 1990 ha proseguito il percorso – uscendo da quella “sommersione” di cui parlava Primo Levi – con la sua voce, con il suo ricordo. Con una testimonianza che, come ha ricordato Ferruccio De Bortoli, è “un vaccino prezioso, un atto di giustizia postumo ma soprattutto un’orazione civile senza la quale si perde la direzione della Storia”.
Da allora, il suo sentiero si è trasformato in un impegno che, partendo dalla mera testimonianza, è ora un difficile, faticoso, pericoloso (e i militari della sua scorta lo testimoniano…) lavoro didattico rivolto principalmente alle nuove generazioni.
Al contempo, lungo il cammino ha incontrato un altro avversario, forse la cifra di riferimento principale di tutto il suo percorso: la lotta all’Indifferenza. La stessa indifferenza che aveva visto nelle sue compagne di classe nel 1938; l’indifferenza che albergava nei vacui occhi del militare svizzero che la respinse, l’indifferenza dei milanesi che mantenevano ben chiuse le finestre di casa, mentre passava la lunga teoria di autocarri destinati al binario 21; quella dei carnefici e dei loro volonterosi collaboratori fascisti, mentre compivano il genocidio. L’indifferenza delle popolazioni che voltavano la testa al passaggio di esseri umani che umani non erano più. Quella di chi definiva interessante quel viaggio all’inferno e quella di chi non ne voleva sentire parlare. L’indifferenza: la più efficace alleata dello sterminio, senza la quale lo sterminio non avrebbe potuto essere. Indifferenza: la parola scolpita all’ingresso del Memoriale della Shoah, il Binario 21 di Milano, per volontà di Liliana.
Ma c’è di più. La senatrice Segre si è battuta contro tutte le indifferenze che ci dominano, e rischiano di dominare in particolar modo i più giovani: indifferenza verso un antisemitismo che sta crescendo tanto nel nostro Paese quanto in tutta Europa, come dimostrano i più recenti sondaggi (anche nelle nostre Università); indifferenza dinanzi agli orrori dell’età presente, indifferenza verso la violenza di ogni genere e verso ogni genere, indifferenza verso una democrazia traballante e in pericolo, come ha ricordato dal più alto scranno del Senato della Repubblica nel discorso inaugurale del 13 ottobre 2022.
L’orazione civile è questa, e su quel sentiero questa straordinaria donna di un’altra epoca si è mossa con l’energia di una ragazza di tredici anni.
Persecuzione, silenzio, indifferenza. Manca il quarto cavaliere che Liliana Segre teme di incontrare su quel sentiero. È lontano, ma lei dice che si stia avvicinando, silenzioso e inesorabile, avvolto da una coltre di nebbia: l’Oblio. Dimenticare tutto.
L’Oblio: la riduzione del Magnum Crimen a poche righe sulle pagine dei futuri libri di scuola, e poi più nulla. L’Oblio, la doppia morte. L’Oblio, quel sonno della ragione che potrebbe far risorgere i mostri del passato. “Quando saremo morti tutti” ha detto di recente la nostra laureanda “ci sarà solo una riga di un libro di storia. E poi, neanche quella”.
No, cara Senatrice Segre. Non è così. Immanuel Kant diceva: “Agisci in modo che ogni tuo atto sia degno di diventare un ricordo”. E così sarà. Anche perché la memoria è legata in modo imprescindibile alla ricerca. Ce lo spiega Ezio Mottinelli in un saggio: la ricerca storica deve andare in supporto del ricordo, della testimonianza: gli storici, i giovani storici soprattutto, sapranno strappare la testimonianza tanto alla cristallizzazione meramente celebrativa quanto all’oblio. Magari utilizzando anche l’occhio critico, laddove la memoria si dimostri labile o incerta, come suggeriva già Primo Levi.
Non è un caso se la stessa senatrice Segre nel suo lungo peregrinare sul sentiero della didattica, della docetica, dell’educazione civica ed emozionale, mi viene da dire della maieutica, ha riscontrato una differenza tra quei giovani ascoltatori preparati dallo studio storico e quelli ignari di tutto. Stia tranquilla, senatrice Segre: gli storici sono da sempre i nemici più efficaci dell’Oblio, contro di noi quel nebbioso cavaliere si troverà con la lancia spezzata. Noi storici, e quindi da oggi anche lei cara senatrice, non temiamo l’oblio: è l’Oblio che dovrà temere noi.
E allora, se come narravano gli antichi greci, Clio, la nona musa, quella più importante, quella della Storia, era figlia di Mnemosine, la dea della memoria, ecco che il cammino di quella ragazza di tredici anni non si interromperà mai.
Perché, come ci ricordava il grande direttore d’orchestra Ezio Bosso “Non esiste mai l’ultima nota, non esiste mai l’ultimo movimento”. Le note, il movimento saranno prodotti dall’incrocio tra testimonianze e ricerca, in una sinergia perfetta, continua e imbattibile. Dal legame tra Mnemosine e Clio.
Contro ogni odio, antico o recente. Contro ogni silenzio, ogni indifferenza, ogni oblio.
L’Università degli Studi di Milano e il Magnifico Rettore Elio Franzini, il suo Dipartimento di Studi Storici – impegnato per questo obiettivo attraverso il lavoro del nostri ultimi direttori, Antonio De Francesco e Andrea Gamberini –, sono qui quest’oggi per consegnare alla senatrice Segre il giusto riconoscimento a questo immane sforzo per aiutare gli storici di oggi e di domani a proseguire in quel cammino. A proseguire tutti insieme, viventi e non, il percorso su quel sentiero.
Dunque, visto che siamo nell’Accademia del Sapere, concludiamo celebrando la dottoressa magistrale Liliana Segre. E ci aggiungiamo, dedicato a lei, dedicato a tutti quelli che oggi soffrono ogni forma di ingiustizia, lo stesso grido che quella ragazza lanciava dall’inferno sulla terra: “La vita! La vita! La vita! in ebraico, L’CHAIM! Alla Vita!”.
Prof. Marco Cuzzi, Dipartimento di Studi Storici dell’Università degli Studi di Milano
Pubblicato martedì 10 Settembre 2024
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