In occasione del 51° anniversario del duplice omicidio del procuratore capo della Repubblica di Palermo Pietro Scaglione e del suo autista-collaboratore, Antonio Lorusso, avvenuto nel capoluogo siciliano il 5 maggio 1971, si è tenuto a Palermo un convegno organizzato dalla Società siciliana di storia patria e dall’Anpi di Palermo dal titolo: Mafia ed antimafia nel dopoguerra e negli anni Cinquanta – In memoria del Procuratore Capo della Repubblica di Palermo, Pietro Scaglione e dell’Agente Antonio Lorusso.
I lavori sono stati introdotti dai professori Giovanni Puglisi e Antonio Scaglione che hanno poi la lasciato la parola al presidente del Tribunale di Palermo, Antonio Balsamo, la provveditora regionale dell’Amministrazione penitenziaria, Cinzia Calandrinio, la presidente dell’Anm (associazione nazionale magistrati) di Palermo, Clelia Maltese.
È stato poi il momento delle relazioni del giornalista Franco Nicastro, già presidente dell’Ordine regionale, dell’avvocato Armando Sorrentino, presidente dei Giuristi democratici di Palermo e di Francesco Callari, docente di ordinamento penitenziario nelle università. Ha concluso, dinanzi a un folto e attento pubblico e alla presenza delle più alte autorità militari del distretto, Ottavio Terranova, presidente dell’Anpi provinciale di Palermo e coordinatore regionale Sicilia.
In considerazione della vastità dei temi, delle connessioni tra quel periodo storico-politico e il momento presente, delle questioni ancora oggi non sufficientemente chiarite o, addirittura, irrisolte, a ogni relatore è stato chiesto un approfondimento scritto destinato alla pubblicazione.
Nel corso del dibattito – e ciò senza cedere ad alcuna retorica celebrativa – è stata inquadrata, nel contesto storico del dopoguerra e degli anni Cinquanta, la figura del magistrato Pietro Scaglione, la cui lunga carriera spesso si è intrecciata con drammatici eventi che hanno segnato la storia della Sicilia e non solo.
A proposito della strage di Portella della Ginestra – che ha occupato molto dell’incontro – è stato ricordato che nel 1953 il magistrato ebbe a definire l’uccisione dei contadini che festeggiavano pacifici il Primo maggio del 1947 “un delitto infame” a difesa del latifondo e dei latifondisti: una forma di lotta “a oltranza” contro il comunismo che Salvatore Giuliano “mostrò sempre di odiare e di osteggiare” per accreditarsi come il “debellatore del comunismo”, così da richiedere in premio la (promessa) amnistia.
L’omicidio Scaglione, è stato sottolineato, ha aperto la terribile stagione dei delitti eccellenti commessi in Sicilia, ma con l’obiettivo di incidere in quelle dinamiche politiche dell’intero Paese che hanno decapitato una classe dirigente nei vari settori delle istituzioni, della politica e della società civile, determinata a interpretare in senso progressista la struttura e il funzionamento della democrazia.
E fu Paolo Borsellino a delineare il quadro realistico in cui maturò la distruzione della speranza di rinnovamento, affermando in una intervista al quotidiano della sera L’Ora concessa poco prima del suo assassinio, che “(…) a partire dagli anni Settanta, la mafia condusse una campagna di eliminazione degli investigatori che intuirono qualcosa. Le cosche sapevano che erano isolati, che dietro di loro non c’era lo Stato e che la loro morte avrebbe ritardato le scoperte. Isolati, uccisi, quegli uomini furono persino calunniati. Accadde così per Scaglione”.
La mafia nel dopoguerra si rinnova: le famiglie siciliane, tra vantaggi e riconoscimenti ricevuti dagli Alleati, prima e dopo lo sbarco del 1943, riannodano e rinsaldano i rapporti con le famiglie americane: entra in scena il grande traffico della droga, ma il ruolo predominante lo assume la politica legata agli interessi del latifondo e dei privilegi inerti, obbligata a prendere atto dell’esistenza di un’antimafia che si manifesta attraversa una nuova coscienza sociale espressa con forza nella lotta per la terra.
Dal 1944 inizia il “raccolto rosso” dei sindacalisti soppressi dalla mafia del feudo: si contano decine di vittime e per loro, tranne casi eccezionali, non ci sarà mai giustizia. E questa è una pagina dolorosa che ancora deve indignare.
Nel dopoguerra, tra separatismo, latifondismo, banditismo, presenze e influenze straniere, si formano alleanze politiche di contrasto a quello che le forze conservatrici e reazionarie avevano avvertito come il cosiddetto “pericolo rosso” di derivazione social-comunista (anche se il colore non sempre era rosso quello: basti pensare al folto gruppo di intellettuali promotori della rivista Cronache sociali, ispirata dal futuro padre Giuseppe Dossetti, che condusse una significativa battaglia antimafia alla mafia).
E, come sopra accennato, il dibattito ha prestato molta attenzione alla strage di Portella, intesa anche come la radice del segreto italiano, con il patto tra banditi, mafia, separatisti, fascisti e servizi segreti vari e da cui, nel tempo e con tecniche e modalità multiformi, ha preso le mosse la strategia della tensione apparentemente destabilizzante ma, sostanzialmente, stabilizzante rispetto agli interessi in gioco.
Il terribile 1947 ha suscitato l’interesse dell’uditorio per la rapida successione di eventi: dal Trattato di Pace di Parigi che rideterminò i nostri confini e assegnò l’Italia a una sovranità limitata, alla cacciata dei socialisti e comunisti dal governo De Gasperi, dalle elezioni regionali in Sicilia che registrarono un notevole successo del “Blocco del Popolo”, ai lavori dell’Assemblea Costituente che a fine anno avrebbe dato al Paese una Carta di fondamentale importanza per la costruzione di uno Stato democratico di diritto. In quel periodo si stabilisce e si crea in Sicilia una fucina politica per gli anni a venire: non solo come metafora, ma come laboratorio di geopolitica ben oltre i confini isolani.
La conclusione del dibattito, affidata al coordinatore Anpi Sicilia, Ottavio Terranova, ha ripercorso l’epopea della lotta di un popolo che aveva fame di terra e sete di libertà e i profondi nessi tra una certa politica al comando e la mafia, con la copertura e la compresenza di apparati occulti nazionali e internazionali che impedirono allora, e ancora oggi condizionano, il libero dispiegarsi delle energie democratiche e di vero progresso socio-economico e civile del Paese, non tralasciando, tuttavia, di riconoscere gli eccezionali meriti conseguiti negli anni Cinquanta da un’antimafia sociale che, nel corso degli anni, col suo patrimonio di lotte, ha consentito all’antimafia istituzionale di porsi come resistenza al sistema di potere politico-mafioso.
Armando Sorrentino, vice presidente dell’Anpi Palermo, presidente dei Giuristi democratici di Palermo, è l’avvocato che nel processo sull’uccisione di Pio La Torre ha rappresentato la famiglia e il partito comunista. È autore con Paolo Mondani del libro “Chi ha ucciso Pio La Torre? Omicidio di mafia o politico? La verità sulla morte del più importante dirigente comunista assassinato in Italia”, Castelvecchi editore, 1982
Pubblicato lunedì 23 Maggio 2022
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