Panorama con i resti della città antica di Wan o Van, per i curdi nel primo caso, per i turchi nell’altro

Wan, come lo scrivono i curdi, o Van, come lo scrivono i turchi, è una città importante nella parte sud-orientale della Turchia. Un crocevia di differenti popolazioni la cui prevalenza è curda. Situata in una zona circondata da catene montuose imbiancate da un lato e brulle dall’altro, si distende lungo l’omonimo grande lago, che in curdo corrisponde alle parole Behra Wanê.

Colpita dal terribile terremoto del 2011, che ha ucciso più di seicento persone, ne ha ferite più di quattromila e ha distrutto buona parte delle abitazioni, oggi si presenta nella sua parte centrale come una città moderna, pullulante di grandi magazzini dove la gente entra ed esce con frenesia, carica di borse degli acquisti. Stride questa immagine con la reale situazione della Turchia, un Paese aggredito da un’inflazione galoppante che ha impoverito le famiglie e soprattutto le periferie, dove la gente spara e accoltella per poco, basta uno sguardo. Così viene descritta la situazione attuale del Paese da un giovane curdo che non si vuole invischiare con la politica e sogna solo che il popolo turco e quello curdo possano trovare il punto d’incontro e condividere le ricchezze e le bellezze del Paese, senza farsi la guerra, senza che un curdo qualsiasi venga sempre considerato un terrorista e l’intera popolazione curda sia messa sotto pressione, minacciata con dure condanne, anni di carcere e torture, per aver espresso semplicemente il proprio pensiero politico.

Cizre insegna, tristemente. Situata, come Wan, nella parte sud-orientale della Turchia, tra il 2016 e il 2017 ha subito settantanove giorni di assedio da parte dell’esercito turco, per essere semplicemente una spina nel fianco del governo di Erdogan, perché cittadina dalla maggioranza schiacciante di origine curda. Quei lunghi giorni sono stati raccontati dallo straordinario documentario “Kurdbûn – Essere curdo” del regista, sceneggiatore e scrittore curdo-iraniano Fariborz Kamkari, grazie alle immagini e alle testimonianze  ricevute dalla giornalista Berfin Kar e dal suo cameraman, che durante l’assedio si trovavano nella cittadina. Quel filmato traccia con realismo, banalmente perché i fatti registrati si svolgevano sotto gli occhi dei due reporters, il trattamento che Erdogan riserva ai curdi.

La bandiera del Pkk

Non c’è pace per i curdi in Turchia, ma la repressione è garantita. Così il 31 marzo scorso, quando a Wan ha vinto le elezioni amministrative Abdullah Zeydan, un uomo di cinquantadue anni, di cui sei passati in carcere (2016/2022) con l’accusa di essere simpatizzante del Pkk, ossia il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, il cui leader è Abdullah Ocalan, il governo del “Sultano” Erdogan ha reagito e, attraverso il ministro degli Interni, ha annullato l’elezione, dichiarando l’esistenza di elementi di ineleggibilità.

La Wan del 55% che ha votato per il Dem, Partito della Democrazia e dell’Uguaglianza del Popolo, e per Zeydan, si è mobilitata riempiendo le strade e le piazze e costringendo il governo turco a fare marcia indietro il giorno 3 aprile. Una doppia vittoria, dunque, per quel partito nato dall’impossibilità per l’Hdp, Partito Democratico dei Popoli, di svolgere regolarmente la propria azione politica perché, oltre a essere stato decimato per l’alto numero di incarcerazioni che ha colpito i suoi dirigenti, rischia di essere messo fuorilegge da una decisione della Corte costituzionale che si sta attendendo.

Zeydan ora è il nuovo sindaco di Wan e noi dell’Associazione Verso il Kurdistan siamo stati forse i primi “internazionali” a incontrarlo, a meno di una settimana dalla conferma della sua vittoria. L’associazione, oltre ad avere progetti in Iraq, nel campo curdo di Makhmur e nella zona della popolazione ezida di Shengal, lavora in Turchia da più di vent’anni con progetti di sostegno alle famiglie dei detenuti politici, a quelle a cui è stato ucciso un familiare dalla polizia turca o dall’esercito turco e alle ragazze provenienti da famiglie povere che non hanno i mezzi per consentire che possano studiare.

L’incontro nella sede del Dem, Partito della Democrazia e dell’Uguaglianza del Popolo. Foto di Giorgio Barberini (Anpi Voghera e componente direttivo dell’Associazione Verso il Kurdistan)

L’incontro con il neo-eletto sindaco di Wan si è svolto presso la sede del Dem. Nutrita era la delegazione dei rappresentanti del partito e “a capotavola” sedevano coloro che avranno il compito di guidare la città lungo tutto il mandato. Il plurale è d’obbligo perché dove governano i curdi si dà sostanzialmente corso al paradigma del confederalismo democratico, il cui ideatore è Ocalan. Nella visione di società delineata dal confederalismo democratico, uomini e donne condividono tutte le cariche istituzionali perché la donna è considerata una ricchezza nell’elaborazione del pensiero politico e nella sua realizzazione.

I nuovi giovani co-sindaci di Wan: Abdullah Zeydan e Neslikan Sedal. Foto di Giorgio Barberini

Così il co-sindaco Zeydan ha introdotto la co-sindaca Neslihan Şedal. I loro volti, unitamente a quelli della popolazione che li ha sostenuti, sono stampati su grandi manifesti per il centro della città e corrono sui pannelli digitali collocati in alcuni punti del corso principale. Sono sorridenti, consapevoli del significato straordinario di questa doppia vittoria, quella nelle urne del 31 marzo e quella contro l’arroganza del potere, al governo del Paese, del 3 aprile.

Foto di Giorgio Barberini

Adesso però inizia l’altra sfida, il governo di una grande e importante città e la permanenza nell’incarico. Non sarà semplice perché la storia del Paese ha già offerto troppe lezioni da cui i curdi hanno però appreso molte cose. Tra queste, la necessità di mantenere quel fronte unito di forze democratiche che hanno permesso la vittoria del Dem a Wan. Il co-sindaco Zeydan è chiaro sotto questo profilo e alla domanda se pensa di poter concludere il mandato risponde: “Solo a patto che ci sia il sostegno degli altri partiti politici democratici e delle organizzazioni che rappresentano le forze democratiche. Se ci sarà l’unità di queste forze e il fronte sarà compatto, Erdogan e la sua politica potranno essere battute e la Turchia potrà finalmente diventare un Paese democratico”. Prosegue accusando l’inerzia europea e la paura della Germania a condannare le oppressioni del governo turco e sceglie, pertanto, di non disturbarlo. Aggiunge che “nel 2014 e 2015, quando il nostro popolo era sotto un’enorme pressione, non abbiamo ricevuto alcun aiuto da parte dell’Europa, che ci ha lasciati soli” .

Foto di Giorgio Barberini

In quella sala della sede dei Dem si parla, dunque, anche e soprattutto di Europa. Non sfugge a nessuno dei presenti l’ipocrisia europea, sempre in prima fila a inneggiare al rispetto dei diritti umani, anche in Turchia, e simultaneamente collocata nelle più profonde retrovie quando si tratta di dare seguito ai proclami perché, disgraziatamente, non coincidono con i suoi interessi. Sono i rappresentanti del Dem a disegnare il quadro della situazione, avendo ben chiaro il ricatto di Erdogan all’Europa, spaventata e tremante davanti alla possibilità che il Sultano apra le porte della Turchia e faccia fluire i migranti che l’Europa non vuole. I leader europei preferiscono versare a Ankara cospicue somme di denaro purché trattenga quell’onda umana che cerca semplicemente un futuro migliore o, addirittura, un riparo dalla guerra.

Duecentottanta sono le persone finite in carcere nelle ultime manifestazioni di piazza a Wan, nate per impedire che a Erdogan riuscisse lo stesso gioco del 2014 e del 2019, quando rimosse i sindaci curdi eletti e li sostituì con dei commissari compiacenti. Duecentottanta curdi che vanno a infoltire le file dei circa 3.600 detenuti politici, di cui il 40% minorenni e il 65% donne, come riportato dal Dem. Il compito che attende la nuova amministrazione è un cammino disseminato di mine, pronte a far saltare i curdi che ostinatamente combattono la loro battaglia per una Turchia democratica.

La visita di Giorgia Meloni in Turchia (gennaio 2024). Qui è ricevuta dal presidente Erdogan (Imagoeconomica)

Dall’Europa c’è poco da aspettarsi perché le elezioni sono alle porte e ci sono degli interessi da tutelare, che spesso non coincidono con quelli dei suoi cittadini e quindi, non si vede perché, dovrebbe preoccuparsi di quelli dei curdi. Se poi consideriamo lo scenario internazionale, dove guerre pericolosissime che nessuno sembra voler fermare e che consentono all’abile Erdogan di ritagliarsi un posto di primo piano, alla faccia del deficit di democrazia e della lesione di quei diritti umani tanto cari agli europei, è perfino logico pensare che l’Europa continuerà a giocare la partita, anche con la Turchia, mostrando una faccia coperta da una maschera di ipocrisia.

L’altalena quotidiana della speculazione finanziaria che governa l’economia mondiale

Nel continuo e costante declino delle democrazie europee, divenute centri di potere oligarchici che rispondono non ai cittadini, ma ai grandi interessi della finanza e delle industrie delle armi, la lezione di Wan non deve essere dispersa perché un popolo compatto che scende in piazza ha ancora il suo senso e la sua forza, anche se dalle nostre parti c’è chi dice che è roba vecchia. È lo slogan scelto per screditare l’importanza delle manifestazioni, scoraggiare i cittadini dall’attivismo politico, spegnere il conflitto e perseguire l’omologazione che è utile solo a chi comanda.

Carla Gagliardini, vicepresidente Anpi provinciale di Alessandria e componente del direttivo dell’Associazione Verso il Kurdistan odv