
C’è un “caso Angelo d’Orsi”. A distanza di diversi giorni, cioè, come si dice, “a freddo”, vorrei proporre qualche riflessione su di una specifica vicenda che per alcuni aspetti è emblematica di una deriva inquietante. Parto da un pensiero sull’attuale governo.
In Italia sono in pericolo le libertà? C’è, anche da questo punto di vista, un attacco più o meno visibile ai principi costituzionali? Tanti segnali ci indicano che questa è la direzione di un esecutivo il cui bersaglio grosso è il cambiamento della forma di governo, e cioè la legge sul premierato che consegnerebbe in ultima analisi tutto il potere a un uomo (o a una donna) solo al comando. La direzione di marcia è quella di una democrazia autoritaria, di uno “Stato penale”, come ha detto qualcuno, di una trasformazione del conflitto sociale e persino della battaglia delle idee in una questione securitaria, in base a una perversa accezione del termine “sicurezza”, per cui una manifestazione di studenti costituisce un potenziale pericolo mentre non si opera, o si opera poco e male, per la sicurezza sul lavoro, per la sicurezza delle strutture scolastiche fatiscenti, per la messa in sicurezza del territorio.

Quel che conta è non disturbare il manovratore, per cui, come ha detto la presidente del Consiglio, la legge cosiddetta sulla separazione delle carriere è la “risposta a una intollerabile invadenza” della magistratura nei confronti dell’esecutivo. Stanno costruendo una giustizia a due marce: la prima, giustizialista verso lavoratori, studenti, migranti, dissenzienti (decreto anti-rave, decreto Caivano, decreto Cutro, legge sicurezza); la seconda, garantista verso – come si dice – i “colletti bianchi” (abrogazione del reato di abuso d’ufficio, modifica del reato del traffico d’influenze, limitazione delle intercettazioni telefoniche).

In questo scenario si “normalizza” il mondo dell’informazione con un sistema radiotelevisivo a reti unificate a sostegno del governo e con attacchi senza precedenti alle poche voci ancora libere, come quella di “Report”; non basta: dopo tante critiche e irrisioni nei confronti del diritto di sciopero, il senatore Gelmetti (FdI), prima ritira l’emendamento sull’obbligo di comunicazione preventiva dell’adesione allo sciopero da parte del lavoratore dei trasporti, e poi annuncia la presentazione di un disegno di legge analogo, anzi, “più articolato”.

Se è vero che siamo su di un piano inclinato, occorre osservare che i gradi di questa inclinazione aumentano in modo allarmante per il clima di guerra che sta avvelenando l’intera Europa, dagli Urali a Lisbona, da più di tre anni, esattamente dal giorno dell’invasione russa dell’Ucraina, quando scrivemmo: “La Segreteria Nazionale dell’ANPI condanna fermamente l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa. (…) La Segreteria Nazionale dell’ANPI auspica che non si avvii una ulteriore escalation militare come reazione all’invasione, che si lavori per l’immediato cessate il fuoco riaprendo un canale diplomatico, che l’Italia rimanga fuori da ogni operazione bellica nel pieno rispetto dell’art. 11 della Costituzione, che l’Unione Europea, la Russia, gli Stati Uniti d’America e la Nato ripensino criticamente ad una politica che negli ultimi 15 anni ha determinato crescenti tensioni e incomprensioni”.

Per essere ancora più esplicito, oltre alla condanna dell’invasione, va aggiunto il giudizio sulla politica di Putin che comprime i diritti di libertà in Russia, criminalizza il dissenso, fa incarcerare gli oppositori politici. Non solo: Putin disegna una società regressiva, arcaica e anti illuminista, cioè un ritorno al passato remoto che cancella non solo la Rivoluzione d’Ottobre, ma anche la Rivoluzione francese.
Ma torniamo al comunicato della segreteria nazionale dell’ANPI del 24 febbraio 2022: è avvenuto esattamente ciò che temevamo, al punto che la Russia sta palesemente vincendo sul terreno, l’Unione Europea si riarma nella prospettiva dichiarata della guerra con la Russia e, come ha detto con grave allarme il Presidente Mattarella, “Nuovi “dottor Stranamore” si affacciano all’orizzonte, con la pretesa che si debba “amare la bomba” ”.

Non solo: la propaganda di guerra è in corso da tempo, mentre ci si avvia verso una economia di guerra che, detto in parole povere, vuol dire oggi stringere la cinghia per comprare armamenti e domani, magari, partecipare a un conflitto.
La propaganda di guerra nega il primato del pensiero critico, riduce il dibattito pubblico a una tifoseria fra filo Putin e filo Nato (in Europa e in Russia, sia chiaro), comporta anche punte di isteria poco compatibili persino col buon senso. Non parlo solo dei Paesi Baltici e della Polonia. Parlo dell’Italia, dove in tre anni abbiamo assistito alle decisioni più grottesche. Pochi giorni dopo l’invasione russa fu cancellato dall’Università Bicocca di Milano il corso del professor Paolo Nori su Fëdor Dostoevskij.

Era solo l’inizio di una serie di censure e annullamenti di spettacoli e iniziative culturali per la presenza di personalità russe. A luglio di quest’anno è stato annullato a Caserta il concerto di uno dei più grandi direttori d’orchestra viventi, il russo Valery Gergiev; a novembre a Verona quello del cantante lirico Ildar Abzadrazacov, a cui era già stato negato un concerto a gennaio al San Carlo di Napoli, sempre per evitare “la propaganda del Cremlino”.
Ma la novità – diciamolo – è avvenuta all’inizio di novembre, quando a Torino presso il Polo del 900 è stata cancellata la conferenza, sul tema della russofobia, del professor Angelo d’Orsi, al quale va ovviamente la mia piena solidarietà.
Perché è una novità? In primo luogo perché il professore è cittadino italiano; in secondo luogo perché nella conferenza dibattito erano in discussione delle opinioni. Non entro nella dinamica in base a cui si è giunti alla negazione dell’uso dello spazio del Polo del 900, né mi soffermo sulla straordinaria partecipazione alla medesima conferenza che si è poi svolto in altro luogo, né accenno alle tesi sostenute.
Il punto è un altro e riguarda direttamente i diritti di libertà nel nostro Paese: l’eguaglianza dei cittadini senza distinzione di opinioni politiche (art. 3 Costituzione), la libera manifestazione del pensiero (art. 21), il diritto di riunione pacifica e senz’armi (art. 17), tranne che nei casi previsti dalle leggi Scelba e Mancino, per i casi di apologia del fascismo e del razzismo ovvero per ricostituzione sotto qualsiasi forma del partito fascista.

Ricordo che coloro che hanno ostentatamente e – diciamolo – forsennatamente operato per far cancellare la conferenza del professor d’Orsi sono state personalità politiche liberali di alto livello, fra l’altro silenti (è un eufemismo) davanti all’ecatombe palestinese praticata dal governo Netanyahu. Dicono che così difendono la democrazia. A me pare che la offendano.
La domanda di fondo è questa: in Italia oggi si possono avere opinioni politiche diverse, si può liberamente manifestare il proprio pensiero, c’è il pieno diritto a riunioni? Si può fare tutto questo senza campagne demonizzanti, delegittimazioni, censure e divieti? O siamo già al “Taci! Il nemico ti ascolta”?
Per chiarezza: perché personalità che si dichiarano liberali mettono in pratica comportamenti illiberali? Chi mi dice che domani, sulla scia della cancellazione del dibattito col professor d’Orsi per opera di una campagna di personalità liberali, non venga vietata o comunque inibita un’altra iniziativa su di un altro tema, perché invisa a questo governo? Meglio, a qualsiasi governo? La democrazia autoritaria non è un evento, è un divenire di eventi, di spallate, se si vuole, che via via cancellano i fondamenti dello stato di diritto. Le restrizioni degli spazi di libertà, come ho scritto, sono già in corso. È il caso di ricordarlo agli alacri paladini della cancellazione della conferenza del professor d’Orsi. Ed è anche il caso di ricordare a tutti che in Italia nessuna persona normale ha la minima intenzione di entrare in guerra.
Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi
Pubblicato lunedì 17 Novembre 2025
Stampato il 17/11/2025 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/idee/editoriali/il-caso-dorsi-il-governo-e-i-liberali-illiberali/




