Gianfranco PagliaruloOra è finita, ed è finita bene. La prima cosa da sottolineare è “l’impegno davvero straordinario di migliaia di attivisti e dirigenti locali dell’Associazione Partigiani grazie a cui è stato possibile svolgere una campagna referendaria in modo capillare su scala nazionale con spirito critico, passione, entusiasmo, abnegazione” e quello di “tutti coloro che, membri di associazioni, di organismi amici e semplici volontari, hanno lavorato con intensità, continuità ed intelligenza”. Uso le parole del documento del Comitato nazionale dell’ANPI del 9 dicembre, perché racchiudono un cuore di gratitudine ed orgoglio e manifestano il senso dell’identità e dell’autonomia dell’ANPI. In un tempo in cui straripa l’uso del verbo avere, ecco un caso di controtendenza, dove prevale il verbo essere: questa è l’ANPI.

Detto ciò, è utile fare il punto sull’esito del referendum come terapia per eventuali amnesie e rimozioni connesse.

Primo: data una percentuale di votanti sorprendentemente alta, gli italiani hanno respinto a grande maggioranza la riforma costituzionale. È un fatto incontrovertibile e di grande rilievo. Si è bocciato un cattivo progetto di superamento del bicameralismo paritario, con gli annessi e i connessi della riforma, che era stato invece presentato come un’eccellente soluzione di una indeterminata quantità di problemi in cui versa oggi l’Italia. La Costituzione, in un tempo di ansie, paure e scetticismi, si conferma così come una delle poche “certezze” nell’opinione pubblica, e si rivela in piena consonanza con la vita vivente, cioè con i drammi, i desideri, le aspirazioni, i sogni e i bisogni delle persone in carne ed ossa, a cominciare dai ragazzi. La Costituzione riporta sulla terra della realtà ciò che viene rappresentato con la narrazione, lo spettacolo, il marketing, nel cielo mediatico dell’irrealtà, della verità contraffatta.

Questo era l’obiettivo dell’ANPI: impedire uno stravolgimento della Costituzione, come ha affermato il Presidente Smuraglia nella sua intervista a Repubblica del 12 dicembre. L’obiettivo è stato conseguito. Elezioni anticipate, nuovo governo, nuovi ministri e quant’altro, interessa, certo, tutti i cittadini, perché attiene alla politica e al futuro del Paese, ma non può riguardare l’ANPI in quanto tale, perché esula dai suoi scopi.

Stupisce, però, che da parte delle più autorevoli personalità che hanno sostenuto questa riforma costituzionale non si sia spesa una parola sul perché abbiano perso e sul dove abbiano sbagliato, salvo un ripensamento alquanto tardivo in data 18 dicembre (dopo 14 giorni di silenzio) nella relazione del Segretario alla Direzione del Pd. Si è detto “abbiamo straperso”, si è indicato l’emorragia di consensi nel Mezzogiorno e fra i giovani, ma non sembra però che si sia insinuato alcun dubbio sul giudizio sulla riforma, come se il nodo del contendere abbia improvvisamente perso significato.

Secondo: il significato del voto, che aveva come oggetto la riforma costituzionale, è andato oltre tale oggetto, sia perché l’ex Presidente del Consiglio ha inteso trasformare il referendum in una sorta di plebiscito, sia per la composizione sociale dei Sì e dei No: il No – appunto – prevale fra i ragazzi e i giovani, fra i ceti popolari, fra i lavoratori dipendenti e autonomi, fra i disoccupati, nel Mezzogiorno. È emersa perciò una diffusa sfiducia nei confronti del governo e più in generale nei confronti di questo sistema politico, concentrata nelle fasce disagiate di popolazione, oramai maggioritarie. Ma questa sfiducia, proprio perché si è manifestata non con una scelta negativa – l’astensione – ma con una scelta positiva – il voto –, contiene una volontà di partecipazione e di cambiamento che vede proprio nella Costituzione lo strumento principale della sua realizzazione.

Sono perciò ancora inevase due grandi domande insite anche nell’esito referendario: la domanda di uguaglianza, cioè la critica ad un sistema economico-sociale che ha aumentato a dismisura le differenze di reddito relegando agli ultimi posti il valore del lavoro e la dignità delle persone; la domanda di rappresentanza, cioè la critica a un sistema politico-istituzionale che non rappresenta più la complessità delle contraddizioni sociali.

Per di più ci si trova in una situazione paradossale, in cui si va ad elezioni anticipate (salvo ripensamenti), con un governo il cui “scopo” (necessario ma non sufficiente) è quello di cambiare la legge elettorale, cioè l’Italicum, con una nuova legge che potrebbe essere, dalle ultime notizie di cronaca, il cosiddetto Mattarellum.. Ricapitolando: la legge elettorale è passata a colpi di fiducia, è stata scritta esclusivamente a misura della riforma costituzionale, contiene un abnorme premio di maggioranza e la “nomina” di fatto dei capilista, è probabilmente incostituzionale, attiene solo all’elezione della Camera dei Deputati, è stata definita da Matteo Renzi nel maggio del 2015 “la migliore legge del mondo, ce la copieranno in molti. Io non voglio cambiare l’Italicum”. Come si spiega questo vero e proprio collasso della logica che ha portato all’attuale cul-de-sac?

La stessa composizione del nuovo governo contraddice il senso dell’esito elettorale. Intendiamoci, nessun pregiudizio nei confronti del nuovo Presidente del Consiglio e tanto meno sul comportamento, ispirato a rigore istituzionale, prudenza e senso di responsabilità, del Presidente della Repubblica. Ma un nuovo governo che si presenti formato nella sua grandissima parte dagli stessi ministri del precedente non esprime alcuna discontinuità, non manifesta in nessun modo un’attenzione al significato del voto referendario, anzi, per alcune specifiche scelte, reitera una volontà politica che è stata rumorosamente sconfitta il 4 dicembre; un solo esempio: Maria Elena Boschi il 22 maggio, intervistata da Lucia Annunziata nella trasmissione In mezz’ora, aveva affermato: “Anche io lascio se Renzi se ne va: ci assumiamo insieme la responsabilità. Abbiamo creduto e lavorato insieme ad uno stesso progetto politico”. Ebbene, la medesima ricopre oggi l’importantissimo ruolo di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Una nomina che non sembra pienamente coerente con le tante chiacchiere su poltrone, casta e taglio dei politici che hanno infiocchettato la campagna referendaria del Sì.

Sia chiaro: liberi di fare ciò che vogliono, ma assumendosene ogni responsabilità. Non si tratta di un’opinione o, peggio, di una predica, ma semplicemente della registrazione di un dato di fatto: se si andrà alle elezioni politiche anticipate, davanti a un governo così evidentemente lontano dal senso della consultazione referendaria, saranno gli elettori a giudicare.

Infine non si può ignorare lo scenario del dopo-referendum, ulteriormente avvelenato dalle vicende, molto diverse l’una dall’altra, ma affini per l’effetto devastante sull’opinione pubblica, dei due sindaci di Roma e Milano. Si è creata una nuova ondata di sfiducia e di rabbia, un’ulteriore, enorme distanza fra i cittadini e le istituzioni democratiche. Tornano per l’ennesima volta alla ribalta il tema della questione oramai immorale, la pregnante urgenza di mettere in pratica l’art.  54 della Costituzione (“I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”), il dilagante turbamento sociale e civile.

All’ANPI resta il compito di segnalare un orientamento che è in primo luogo di buon senso, com’è scritto nel documento del Comitato nazionale: “L’ANPI sottolinea la necessità e l’urgenza di una risposta alle più profonde attese del popolo italiano, ispirandosi ai contenuti, ai principi, ai valori della Carta Costituzionale, soprattutto là dove si esalta il valore del lavoro, la dignità della persona, la tutela della salute, dell’ambiente, dei beni culturali, in una prospettiva di sviluppo del Paese, in un contesto di libertà e di uguaglianza, di migliori condizioni di vita per la collettività e di migliori opportunità per i giovani”.

Conclusione sul referendum: si legge qua e là che molti hanno perso ma nessuno ha vinto. Falso. Ha vinto, come ha scritto qualcuno, l’astuzia della Costituzione, che ha sconfitto per l’ennesima volta l’ennesimo attacco, dimostrandosi quanto mai innervata nel nostro tempo e nella sensibilità di un Paese che in essa si riconosce e tramite essa cerca la via d’uscita dal labirinto della crisi.

Auguri finali.

A questo governo, come vuole il galateo istituzionale: l’augurio di una pronta riflessione (che per ora non c’è) sul significato profondo dell’esito referendario e di un lavoro positivo per il nostro Paese.

Alle compagne e ai compagni dell’ANPI e a tutti gli antifascisti: l’augurio di un anno nuovo in cui si contrasti con successo ogni rigurgito neofascista, ogni tentazione xenofoba e razzista.

Alla nostra Costituzione: l’augurio di essere conosciuta, studiata e apprezzata in tutte le scuole, da una generazione che sia l’erede di quella dei Padri costituenti.

Al popolo italiano, che ha dimostrato ancora la sua intelligenza democratica e la sua vocazione al “patriottismo costituzionale” che rimane la migliore tutela contro qualsiasi avventura antidemocratica: l’augurio di un tempo migliore, in cui davvero si metta in pratica la Costituzione, a partire dal fondamento del lavoro e da quella sovranità che continua ad appartenere al popolo.

Buone feste!