Ma davvero il Novecento è stato il secolo breve? Per Eric Hobsbawm esso data dal 1914 al 1991, cioè il periodo che va dalla Prima guerra mondiale al crollo dell’Unione Sovietica. Nel senso comune questa affermazione aveva rappresentato gli anni Duemila come un altro tempo, i cui prodromi risalgono all’ultimo decennio del Novecento: un tempo in cui le categorie fondamentali del Novecento sarebbero state superate, dove la geografia dei Paesi e delle idee sarebbe stata radicalmente ridisegnata. Una sorta di nuovo inizio che, secondo le teorie radicali di qualcuno, avrebbe significato la fine della storia; il politologo Francis Fukuyama aveva sostenuto l’idea che dopo la caduta del Muro il processo di evoluzione dell’umanità era giunto al culmine con la vittoria globale del pensiero liberale e che ci si avviava di conseguenza a una fase del tutto nuova e per così dire pacificata della storia dell’umanità. Ma proprio la storia (per non parlare della cronaca di queste settimane sull’Afghanistan), com’è noto, gli ha dato torto.
Il dubbio sulla fondatezza della tesi del secolo breve sovviene osservando il mondo d’oggi e in particolare l’attuale Occidente e ancora le vicende del nostro Paese. Sembra cioè di vivere non un ritorno al passato ma una sorta di continuum dopo l’interruzione del 1945-1989. Un continuum che ripresenta non il fascismo del Ventennio, ma un ribollire di varie e composite culture di estrema destra dove si fondono e si confondono riferimenti a razzismo, al fascismo, al nazismo, al nazionalismo, all’irrazionalismo e chi più ne ha più ne metta.
Ma torniamo indietro: con un po’ di fantasia giornalistica le vicende italiane successive a tangentopoli furono definite con le parole “seconda Repubblica”. Nel 1994 si formò il primo governo Berlusconi.
Nel 1995 dalle ceneri del Msi Gianfranco Fini fece nascere a Fiuggi una nuova formazione politica, “Alleanza Nazionale”, nel tentativo di dare vita nel nostro Paese ad una destra democratica e moderna che in qualche modo si emancipasse dalle tossine del fascismo e abbracciasse progressivamente il pensiero liberale e più in generale la cultura transatlantica.
È dell’anno successivo il famoso intervento di Luciano Violante, neo Presidente della Camera, sui ragazzi di Salò, che apparve a molti come una proposta di equiparazione tra partigiani e saloini. Ed è di quei decenni la continua contronarrazione di Giampaolo Pansa, prevalentemente senza fonti, tesa a demolire l’idea della Resistenza come fondamento storico-ideale della Repubblica e della Costituzione. Ciò che avvenne in quegli anni, continuando pervicacemente fino al giorno d’oggi, fu il tentativo di costruire una memoria condivisa anche attraverso il riconoscimento dei limiti della Resistenza. Questo tentativo era in buona sostanza contestuale a un progetto di bipolarismo in cui a una sinistra liberata dall’ingombrante presenza del Pci, scioltosi nel 1991, corrispondesse un polo moderato-conservatore sostanzialmente liberale, alieno da nostalgie del Ventennio comunque rilegittimato come parte integrante della storia nazionale.
Va sottolineato che il panorama politico del tempo aveva già visto la scomparsa di tutti i partiti della cosiddetta Prima Repubblica (e con loro dell’“arco costituzionale” che escludeva il Msi) e la nascita di un nuovo sistema politico caratterizzato dall’assenza di partiti di massa, dalla presenza determinante del leader, di un uso nuovo, dominante e decisivo, degli strumenti di comunicazione di massa e del progressivo tramonto dell’idea di partito che presentasse una determinata visione del mondo, limitandosi invece a una gestione del presente. Da ciò da un lato la nascita di partiti effimeri, che vivevano qualche stagione per poi sciogliersi, dall’altro la rilevantissima transumanza di parlamentari dall’uno all’altro partito, essendo venuta meno la condivisione di un comune orizzonte di cambiamento. Sullo sfondo di questo processo nazionale e di analoghi fenomeni che avvenivano in modo del tutto diversificato nella vita politica di tanta parte dei Paesi dell’Occidente, si ergeva un nuovo mondo economico, finanziario e produttivo disegnato da una globalizzazione che, in mancanza di un governo mondiale, ha portato all’esplosione delle diseguaglianze: dal 1980 in poi il coefficiente di Gini, che misura le diseguaglianze sociali, è costantemente ed imponentemente cresciuto in Italia ed in tutti i Paesi industrializzati.
Ma nel nostro Paese il progetto di costruzione di una nuova destra liberal-conservatrice fallì clamorosamente, perché il partito di Berlusconi fu tutt’altra cosa, per poi ridimensionarsi nel tempo, il disegno di Fini si decompose progressivamente dando vita successivamente al suo contrario, cioè Fratelli d’Italia, la Lega di Bossi, prima secessionista poi autonomista, non fu mai all’altezza di tale progetto per ritrovarsi – eterogenesi dei fini – come partito nazionalista.
È ragionevole leggere nell’approvazione della legge sulla Giornata del Ricordo, era il 2004, un ultimo tentativo concesso all’idea della “pacificazione nazionale”: sottolineando i crimini delle foibe e il dramma dell’esodo si intendeva presumibilmente rappresentare un riconoscimento ai vinti da parte dei vincitori, immaginando un conseguente depotenziamento delle tensioni ideologiche e politiche. In realtà la legge, al di là delle intenzioni di tanti parlamentari democratici che l’hanno approvata, ha aperto nella diga democratica una frana, aggiungendosi alle tante piccole e grandi falle che si erano già determinate negli anni precedenti: dal momento della sua approvazione in poi essa è stata utilizzata come un gladio (sic!) dalle forze di estrema destra, ma anche in generale di destra moderata, per delegittimare il movimento resistenziale e partigiano e in ultima analisi il fondamento legislativo del nostro Paese, cioè la Costituzione, storicamente nata proprio da quel movimento.
Attorno alla reale tragedia delle foibe e dell’esodo si è costruita una mitologia e una simbologia sempre più crescente e aggressiva di anno in anno, mentre la massima parte delle destre italiane si spogliava di qualsiasi connotazione liberale fino ad arrivare a quel più o meno compiuto approdo ideologico che oggi chiamiamo sovranismo, cioè il nazionalismo contemporaneo. Va segnalato – per inciso – che il nazionalismo è stato in ultima analisi l’ispiratore di entrambe le guerre mondiali.
Una lettura e una applicazione più attenta e compiuta della legge avrebbe potuto evitare la deriva rovinosa degli anni successivi, laddove è scritto che il Giorno del Ricordo è riconosciuto in ragione di tutte le vittime delle foibe e dell’esodo, e “della più complessa vicenda del confine orientale”. Attraverso la lettura della più complessa vicenda si sarebbe potuto mettere a fuoco l’insieme degli eventi di quella terra: dal “fascismo di confine”, che insanguinò la frontiera fin dai primi anni Venti all’invasione della Jugoslavia e ai terribili crimini commessi dall’esercito italiano e dalle milizie fasciste, alle responsabilità, in merito a tali crimini, dei criminali di guerra italiani mai processati e mai condannati, alle efferatezze antipartigiane messe in atto dai fascisti – in particolare la X Mas – e dai nazisti, all’invasione della Carnia da parte dei cosacchi al soldo del Terzo Reich, più in generale al destino delle terre di confine, occupate e amministrate dai tedeschi con l’attiva complicità dei fascisti italiani in quella che fu denominata “Zona di operazione del litorale adriatico”.
Tutti temi sui quali oggi si misura, al di là delle competenze specifiche di storici, ricercatori e di una piccola parte di cittadini italiani “colti”, una totale non conoscenza nazionale, causata dalla scelta pluridecennale di mantenere sottotono qualsiasi formazione, informazione e dibattito sugli argomenti del confine orientale, esclusi, ovviamente, i temi delle foibe e dell’esodo che, nello scenario di una riflessione complessiva, sarebbe stato giusto e doveroso affrontare.
Viceversa l’operazione politica consapevolmente portata negli anni successivi è stata quella di espungere le foibe e l’esodo dall’insieme dei terribili eventi che insanguinarono quelle terre – l’Istria, la Dalmazia e l’insieme dei territori della ex Jugoslavia – presentando non il frutto di una ricerca storica, ma una narrazione tragica e caricaturale a un tempo di un dramma sanguinoso e terribile che si collocava in un dramma ancor più sanguinoso e terribile. Si tratta di una cifra tutta italiana del dibattito politico, perché non risulta che in altri Paesi occidentali si siano aperte analoghe riflessioni sulle purghe e sulle eliminazioni dell’immediato dopoguerra o sulle azioni belliche particolarmente cruente degli Alleati, da Dresda – per esempio – a Hiroshima.
Questa narrazione di estrema destra ci ha accompagnato presentando nuovi miti e nuovi simboli a cominciare dalla povera Norma Cossetto, Medaglia d’Oro al valor civile, e a cui fu conferita la laurea ad honorem su proposta di Concetto Marchesi. Anche qui il fuoco dell’attenzione, con tanto di campagna pianificata su scala nazionale, è stato posto sull’assassinio della ragazza mettendo in ombra la vera e propria guerra alle donne che fu condotta da fascisti e nazisti dal 1940 al 1945, e che vide vittime centinaia e centinaia di partigiane, staffette o semplici donne che aiutavano l’attività resistenziale, seviziate, stuprate e assassinate dai nazifascisti: la grande maggioranza delle 19 donne insignite di Medaglia d’Oro alla Resistenza fu barbaramente assassinata dai nazifascisti.
Anche qui, se è giusto ricordare Norma Cossetto, è quanto meno necessario contestualmente rammentare tutte le altre donne che persero la vita per le atrocità dei torturatori delle brigate nere e della Gestapo. Ma, tant’è! L’obiettivo è quello di costruire una narrazione dove i vinti diventano i buoni e i vincitori diventano i cattivi, al fine, ancora una volta, di rilegittimare il fascismo e di condannare il movimento resistenziale come una accolita di delinquenti e di assassini: Achtung! Banditen!
Il fascismo storico nacque dai postumi della Prima guerra mondiale e la grande crisi del 1929 avviò il processo che portò alla Seconda guerra; oggi un mondo completamente diverso è stato ed è sconvolto da due grandi crisi economiche: quella del 2007 (avviatasi con lo scandalo dei mutui Subprime) e quella in pieno svolgimento, dove alla catastrofe della pandemia si legano gli effetti della conseguente crisi mondiale. È in questo scenario che il bipolarismo italiano, scomparso dall’orizzonte del realismo politico negli anni della crescita del M5S, potrebbe tornare in una forma paradossale, parodistica, grottesca – una sorta di diabolica fenice – dove non si misurano due limpidi schieramenti democratici di centrodestra e di centrosinistra, ma uno schieramento di centrosinistra con al centro Pd e (forse) M5S e una destra profondamente inquinata da idee nazionaliste, razziste e in qualche caso neofasciste, un fronte che, anche grazie alla ossessiva contronarrazione sulla Resistenza, avrebbe oggi, secondo i sondaggi, il 40% dei consensi.
Ed è sempre in questo scenario che si diffondono nelle istituzioni comportamenti e scelte di rivalutazione del fascismo, di attacco alla Resistenza, di tentativi di impedire la libertà di ricerca storica. Basti pensare alle due mozioni approvate ai Consigli regionali prima del Friuli Venezia Giulia e poi del Veneto, in cui si mette all’indice la libertà di tale ricerca se non coincide col punto di vista dei succitati Consigli; l’esempio fa scuola, visti gli attacchi allo storico Eric Gobetti per il suo interessante volume E allora le foibe?. Non solo: è in Parlamento un disegno di legge (primo presentatore Ciriani, Fratelli d’Italia), che in sostanza equipara le foibe alla Shoah.
Ancora: si moltiplicano le attribuzioni toponomastiche di vie e piazze ad Almirante, per non parlare della povera Norma Cossetto a cui vengono intitolate piazze e giardini in modo pianificato da organizzazioni di estrema destra, in assenza, ovviamente, di qualsiasi attenzione verso le martiri partigiane; si ripetono da parte di consiglieri comunali e regionali comportamenti di apologia diretta o indiretta del fascismo, e si arriva persino a conferire a un signore, fascista non pentito, vicino a CasaPound – Mario Vattani – l’incarico di ambasciatore della Repubblica italiana a Singapore.
E negli ultimi giorni, le convulsioni: prima il caso Durigon, vicenda interessante, perché lo sdegno di un ampio fronte di forze e di personalità, a cominciare dall’Anpi, ha portato alle sue dimissioni; poi – tre passi nel delirio – il caso Santucci, ex consigliere comunale leghista di Colleferro (Roma) che propone di cambiare nella Capitale il nome di piazzale dei Partigiani in piazza Adolf Hitler; poi ancora il caso Montanari, attaccato dalle falangi d’estrema destra con la solita accusa, menzognera, di aver negato il dramma delle foibe. A proposito è interessante notare, come dimostrano decine di episodi, che chiunque esprima sulle foibe un’opinione difforme da quella delle falangi viene accusato di negazionismo, in barba a qualsiasi evidenza e – diciamola tutta – a qualsiasi buona fede.
Ecco il continuum col 900 di cui ho scritto all’inizio: dopo la parentesi del tempo dal dopoguerra alla caduta del muro di Berlino, è ripresa su larga scala la riconnessione della destra italiana con la parte peggiore della sua storia. Guai, naturalmente, a fare di tutte le erbe un fascio: c’è nel fronte moderato e anche conservatore una parte più o meno larga che non ci sta alle strizzatine d’occhio col passato; parla per tutti non solo l’esplicita dissociazione di un consigliere regionale della Lega che si proclama antifascista proprio nei confronti delle affermazioni di Durigon, ma anche la presa di distanza da parte di Giorgetti, Zaia e di parti importanti del partito; e ancora sono significative le critiche di autorevoli rappresentanti di Forza Italia nei confronti dei progetti di fusione con la Lega.
In sostanza c’è un largo fronte democratico che non si esaurisce nelle forze del centro sinistra. Va perciò messa a regime la parola d’ordine dell’unità degli antifascisti superando, ove vi siano, schematismi e settarismi. Ma tutto ciò sarà velleitario e perdente se non si parte da una vera e propria controffensiva democratica, da una nuova fase della lotta antifascista che sveli finalmente la trama della narrazione del martirologio fascista, che restituisca al nostro Paese la piena dignità di un’Italia costituzionale e antifascista, nata dalla Resistenza. A cominciare, per esempio, dalla campagna che abbiamo avviato come Forum delle forze partigiane e antifasciste per attribuire piazze, vie, giardini, scuole a nomi di partigiane, partigiani e antifascisti.
Il 900 è finito nel 1991? O forse alla fine del 1999 come vorrebbe il calendario? Intanto i miasmi del fascismo impestano anche il secolo che stiamo vivendo. Li possiamo soffocare se ricostruiamo un’unità e un orizzonte antifascista rigoroso ma largo, se respingiamo qualsiasi inquinamento parafascista dalle istituzioni, se non solo restituiamo pienamente valore e dignità alle donne e agli uomini della Resistenza, ma anche, ancorandoci a quel sistema di ideali, se mettiamo in atto qui ed ora una modernissima battaglia antifascista. Oggi è tempo di Resistenza.
Gianfranco Pagliarulo, Presidente nazionale Anpi
Pubblicato martedì 31 Agosto 2021
Stampato il 13/10/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/idee/editoriali/il-lunghissimo-secolo-breve/