Ci sono dei momenti in cui, nella vita pubblica come in quella privata, prevale l’aspetto della riflessione. Altri in cui, invece, è urgente ed indifferibile l’azione. Sabato 16 ottobre è il giorno dell’azione. Tutte le strutture dell’Anpi sono mobilitate per partecipare attivamente alla manifestazione nazionale promossa a Roma da Cgil, Cisl e Uil dopo lo stupro della sede centrale della più grande forza sindacale italiana.
Domenica, il giorno successivo al sabato nero, siamo andati in Cgil nazionale per comunicare il nostro incondizionato appoggio. Abbiamo visitato i locali devastati ed abbiamo visto i vetri in frantumi, le librerie rovesciate, i computer rovinati, le scrivanie e le sedie capovolte. Lunedì si è svolta una riunione straordinaria con i membri della segreteria nazionale, i vicepresidenti e Carlo Smuraglia, presidente emerito, per analizzare la situazione. Sulle pagine di questo periodico potete leggere l’appello che abbiamo lanciato a conclusione del nostro incontro.
Aggiungo solo pochi pensieri.
Il primo: l’assalto alla sede della Cgil nazionale è un evento di inedita gravità che segna un punto di non ritorno nell’offensiva neofascista e deve rappresentare un salto di qualità nella mobilitazione unitaria antifascista. È fin troppo evidente il parallelo con gli assalti alle Camere del lavoro, alle Case del popolo, alle sedi dei partiti e dei loro periodici duranti gli anni 1919-1922. Rammento che il 28 ottobre 2022 ricorre il centesimo anniversario della marcia su Roma ed è fin troppo evidente che i fascisti hanno già cominciato a celebrarlo. C’è da attendersi una escalation.
Il secondo pensiero: senza nulla togliere al sacrificio dei pochi tutori dell’ordine presenti, anzi, esprimendo piena solidarietà ai feriti, sabato 9 ottobre è semplicemente mancato lo Stato democratico che avrebbe dovuto impedire, ma prima ancora prevenire, le violenze e la stessa formazione della manifestazione non autorizzata. Nel vuoto dello Stato si è potuta scatenare la violenza fascista.
Il terzo pensiero: uno degli obiettivi dei fascisti alla testa del corteo era Palazzo Chigi, e non certo per dar vita ad un sit-in. Un assalto a Palazzo Chigi e al Parlamento, analogo all’attacco al Campidoglio americano del 6 gennaio 2021, sarebbe stato devastante.
Il quarto: l’aggressione al personale del Pronto Soccorso del Policlinico Umberto I e il ferimento di alcuni infermieri sono un atto di barbarie dal senso difficilmente comprensibile, e rivelatore della natura barbara delle organizzazioni neofasciste e della predisposizione propriamente criminale degli squadristi.
Da queste semplici considerazioni derivano alcune conseguenze. Va avviata una fase di mobilitazione permanente e unitaria degli antifascisti, a difesa delle libertà (quelle vere) e della democrazia, cioè delle regole che rendono pacifico e proficuo il sacrosanto conflitto sociale e politico e inverano la sovranità popolare, esercitata “nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione”.
Ma c’è qualcosa in più che va analizzato a fondo: il movimento no vax e no green pass rappresenta sicuramente una minoranza della popolazione, ma è forte e relativamente radicato sul territorio nazionale. Ad esso partecipano gruppi di imprenditori, strati eterogenei di ceti medi, disoccupati e una parte non irrilevante di lavoratori dipendenti. Colpisce la protesta dei portuali di Trieste e di Genova. Si presenta come un coacervo di posizioni, alcune che propongono critiche legittime alla politica sanitaria nazionale, altre complottiste e irrazionalistiche, con una profonda inclinazione reazionaria. Ma mai come sabato 9 ottobre si è manifestata una interazione fra l’insieme dei manifestanti e i fascisti di Forza Nuova, le cui parole d’ordine sono diventate quelle del corteo.
Detto in altre parole siamo davanti a un movimento di massa – non nascondiamocelo – composito e contraddittorio, oggi guidato da forze che teorizzano e praticano la violenza come strumento principale di lotta politica con finalità antidemocratiche. Perciò occorre aprire un dialogo e un contraddittorio con le parti più ragionevoli di questo movimento – penso in particolare alle lavoratrici e ai lavoratori dipendenti, ai portuali, agli operai, agli impiegati – e assieme contrastare in modo fermissimo i fascisti. Non c’è dubbio che a questo fine sia opportuno spingere le istituzioni, come l’Anpi fa da anni, ad assumere provvedimenti che facciano chiudere bottega alle loro organizzazioni, alla luce del secondo comma dell’art. 3 della legge Scelba del 1952, che prevede in “casi straordinari di necessità e di urgenza” “il provvedimento di scioglimento e di confisca dei beni mediante decreto-legge”. Vedremo proprio in questi giorni il destino della richiesta avanzata in base a tale comma da parte di alcuni gruppi parlamentari.
Ma ancora non basta: l’acqua in cui nuotano i pesci (squali e piranha), cioè il tessuto sociale su cui fa presa l’agitazione della feccia fascista, è una parte del mondo del lavoro autonomo e dipendente, colpito in diversa misura dalla crisi causata dalla pandemia. Il nemico, in sostanza, è la diseguaglianza, l’amico è il lavoro.
Per contrastare le diseguaglianze e difendere e promuovere il lavoro, lo strumento è una democrazia reale e coinvolgente, cioè fondata sulla partecipazione popolare, che è esattamente ciò che oggi manca. Non c’è stato alcun dibattito pubblico sulla destinazione dei fondi del PNRR relegando così a un ruolo marginale quel principio di cittadinanza attiva che rende fecondo il rapporto fra società e istituzioni. Usciamo da un trentennio di irresponsabile compressione dei diritti sociali. Il parlamento continua a svolgere un ruolo marginale, quando oggi più che mai dovrebbe essere lo specchio dei conflitti e delle contraddizioni della società ed essere centro delle decisioni. “L’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” indicata mirabilmente nella seconda parte dell’articolo 3 della Costituzione è da decenni frustrata e sostanzialmente assente davanti allo strapotere del mercato e delle imprese e al dominio incontrastato delle multinazionali.
La chiave per affrontare questo groviglio di problemi è l’unità antifascista per cambiare l’Italia. Non è una velleità, una fisima, una ubbia: c’è tanta parte dell’Italia che vuole convintamente muoversi in questa direzione, a cominciare dall’associazionismo democratico laico e credente, dai ragazzi di Greta che hanno da tempo posto a tema la riconversione ecocompatibile dell’economia e la lotta al riscaldamento globale, dal mondo della cultura e della ricerca – basta fare il nome del premio Nobel Giorgio Parisi – da tante lavoratrici e lavoratori, da tanti sindaci, assessori e consiglieri comunali, da tanti cittadini. C’è insomma il mondo ricchissimo dell’antifascismo italiano.
Ma basta pensieri. Ho scritto all’inizio che oggi è il momento dell’azione, della mobilitazione popolare contro il fascismo, per il lavoro, la partecipazione, la democrazia. È qualcosa di più di uno slogan. È un programma.
Siamo chiamati in piazza San Giovanni a Roma il 16 ottobre 2021, perché, dopo il 9 ottobre, la misura è colma.
¡No pasarán!, né oggi, né domani, né mai.
Pubblicato mercoledì 13 Ottobre 2021
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