Qualcosa di nuovo si muove nelle pieghe della società italiana. Solo per citare gli eventi più significativi, in ordine cronologico: le manifestazioni contro il riscaldamento globale, cioè le climate actions, a cui hanno partecipato decine di migliaia di studenti, le manifestazioni a Centocelle, a Roma, dopo il rogo del locale “La pecora elettrica” e dopo i successivi attentati ad altri locali, la manifestazione di Milano a sostegno di Liliana Segre dopo la notizia dell’attribuzione di una scorta alla sua persona. Questa “presenza sociale”, già evidente nel recentissimo passato, sta assumendo una nuova dimensione grazie alle manifestazioni delle “sardine” in Emilia e Romagna e alla loro espansione a macchia d’olio in diverse città dell’intera penisola.
Le caratteristiche che finora si possono individuare sono le seguenti: una vera e propria “esplosione” di partecipazione numerica, una fortissima caratura antiautoritaria, contro la prepotenza, contro la paura, contro l’odio, contro ogni linguaggio offensivo, una vocazione antifascista esplicita e popolare che si manifesta nel canto che accomuna il popolo delle “sardine” (paradosso acustico: pesci che cantano). E quale può essere se non “Bella ciao”?
Nel vuoto della politica è cresciuto negli ultimi anni un ampio consenso alle formazioni parlamentari di destra che, a loro volta, hanno radicalizzato le loro posizioni stimolando e suscitando paura ed odio. Ma i semi della paura e dell’odio hanno germogliato, cambiando persino lo stile del dibattito pubblico in senso ampio: aggressioni verbali, fake news, diffamazione, dileggio, imperano oggi sui socialnetwork con una violenza sconosciuta nei decenni precedenti. Le vittime prevalenti di questo imbarbarimento sono tutti i soggetti deboli: migranti, rom, minoranze etniche e religiose, omosessuali, donne. L’ultima icona di questo vero e proprio linciaggio mediatico è Liliana Segre, le cui “colpe” sono le seguenti: ebrea, superstite di un campo di sterminio, molto anziana, donna, e, ciononostante, – udite! udite! – senatrice a vita.
In questo vuoto tratteggiato dalla crescita rapidissima delle forze cosiddette sovraniste e da una risposta politica a tale crescita ancora debole, confusa ed in parte ambigua, negli ultimi due anni parte rilevante dell’associazionismo “si era fatta” politica, in particolare sui temi della solidarietà, dell’antifascismo e dell’antirazzismo, in una mai definita funzione di supplenza. Dalle “magliette rosse” di Libera e dell’Anpi del luglio 2018 alle centinaia e centinaia di iniziative di stampo – appunto – antirazzista e antifascista, i protagonisti erano i nodi di una rete associazionistica sempre più ampia, a cominciare da Arci, Anpi, Cgil, Libera, fino ad una incalcolabile quantità di luoghi associativi spesso locali. Per non parlare della straordinaria manifestazione del 23 novembre a Roma contro la violenza di genere, promossa e sostenuta da una miriade di associazioni, a cominciare da “Non una di meno”, con la presenza – ovviamente – delle donne dell’Anpi. Per dirla con l’art. 2 della Costituzione, si tratta di “formazioni sociali dove si svolge” la personalità. A questo fenomeno oggi non si sostituisce, ma se ne aggiunge un altro: è la nuda società civile in quanto cittadini-persone che “si fa” politica intervenendo nel dibattito pubblico con una energia direttamente proporzionale alla sua imprevedibilità.
Nessuno sa se tutto ciò avrà una continuità e un futuro. Ma rimane l’opportunità di una riflessione sull’oggi. C’è un popolo democratico che attraversa le classi sociali e le generazioni (ma vede una forte presenza giovanile), che ha introiettato i criteri morali che ispirano la Costituzione a partire dal rapporto con l’altro e con la natura. Davanti ad una pseudo ideologia che chiacchiera di diritti umani ma esclude da questi coloro che sono dipinti di fatto come sotto-uomini, li espelle dall’umanità, davanti ai traumi del fenomeno migratorio, delle guerre, del riscaldamento globale, davanti alla conseguente morte della pietà come portato dell’individuazione dell’altro come nemico, questo movimento riscopre la pietà della morte; davanti all’odio come cemento sociale di un popolo unito contro il nemico immaginario, questo movimento pratica la com-passione, cioè la condivisione del dolore, per cui l’altro non è mai nemico, ma riflesso di se stesso.
Ciò che nella propaganda dell’estrema destra è chiusura, lontananza, separazione, viene capovolto dal sentimento costituzionale in apertura, prossimità, congiunzione. Il muro non è più una misura di sicurezza contro il nemico, ma diviene la prigione che segrega me stesso, impedendomi di muovermi, di liberarmi. Il paradosso gravitazionale delle “sardine” (paradosso numero due) è che sono nate per volare. E il loro volo, prima ancora di essere politico, è di natura etica. Basta con la violenza verbale, con gli insulti, con la paura, con l’odio. Basta, di conseguenza, con l’infelicità sociale a cui porta inesorabilmente il rancore. C’è un’implicita richiesta nel fondamento motivazionale e morale delle “sardine”: il diritto alla felicità. La politica c’è (perché la politica c’è sempre), ma come figlia di tale scelta etica.
In mancanza di una piena e riconosciuta rappresentanza politica, il popolo-persone si autopropone come elemento decisorio, come cittadini che direttamente si impegnano – per esempio – contro ogni discriminazione, contro una deriva di destra radicale, contro il degrado climatico del pianeta. Ciò contiene l’esplicita condivisione, anzi la rivendicazione dei valori fondativi costituzionali. Il popolo – insomma – o una sua consistente parte – come “guardia repubblicana” a difesa di una Costituzione che non ha più padri ma solo figli: tutti i partiti attuali, infatti, sono postcostituzionali (il più “vecchio” partito che siede oggi in parlamento è la Lega), ed alcuni di questi hanno tratti con tutta evidenza acostituzionali. Bene, quindi, che ci sia un popolo “riserva della repubblica” che manifesta fedeltà e difesa della Costituzione e ne esige l’attuazione.
Per tutte queste ragioni l’Anpi non può non guardare con simpatia a questo movimento, ritenendo, assieme, che sia necessario e sacrosanto che mantenga la sua piena autonomia.
Che l’estrema destra attacchi questo movimento in modo volgare, sguaiato e scomposto ci sta; è nei suoi cromosomi. Stupisce invece chi critica le “sardine” perché portatrici esclusivamente di un “messaggio antisalvini”, perché non vede la forza di trasformazione ideale, morale, sociale e politica che si riversa in queste settimane in decine di piazze italiane. “È stata energia pura”, è scritto nel loro Manifesto, ed è vero. E si aggiunge “Crediamo ancora nella politica e nei politici con la P maiuscola”: il totem abbattuto dalle “sardine” è quello per cui l’unica via d’uscita dalla crisi della democratica è un governo d’ordine d’estrema destra, magari con pulsioni autoritarie; è invece possibile riaprire la strada della buona politica, della partecipazione popolare, della democrazia che si espande. “Amiamo le cose divertenti, la bellezza, la non violenza (verbale e fisica), la creatività, l’ascolto”: forse non ci si rende conto di quanto “sovversiva” sia questa frase in un Paese intristito, spesso incattivito, dove al posto della bellezza domina l’utilità più piccina, dove l’ascolto è stato seppellito dalla pesantezza dello slogan becero e populista. “Ma non c’è il programma!”, affermano altri. Sfugge che questo movimento in quanto espressione della nuda società dà sì risposte etiche e ideali, ma non dà e non può dare risposte programmatiche per una ragione semplicissima: quella della “sardine” è in sostanza una grande domanda politica: la risposta spetta alla politica organizzata e sarà tanto più efficace quanto più questa riconquisterà la rappresentanza degli interessi popolari. Di conseguenza il teorema va capovolto: che risposta danno i partiti democratici (i partiti, si badi; non solo le loro rappresentanze parlamentari) alla grande domanda di rappresentanza, di pulizia, di contrasto agli istigatori di odio e ai demagoghi del basso ventre? Questa mi pare la vera, grande sfida a cui la politica deve rispondere. Ma questo vuol dire cambiare profondamente le sue coordinate: il “giorno per giorno”, cioè la scomparsa degli orizzonti di cambiamento, è diventato da tempo la cifra della politica, a cui fa da contrappunto il mantra della morte delle ideologie che si incarna nella riduzione della politica stessa ad amministrazione dell’esistente, cioè la gestione del presente.
Le recenti vicende drammatiche, dall’ILVA alle alluvioni, maree, esondazioni, frane, valanghe che hanno messo in ginocchio l’Italia ci raccontano del Grande Fallimento sulle politiche del lavoro, della tutela dell’ambiente e della messa in sicurezza del territorio, ma ci dicono anche che ambiente e lavoro sono i cardini dell’Italia di domani. Le imponenti manifestazioni delle ultime settimane, da quelle contro il riscaldamento globale a quelle delle “sardine”, negano l’idea della politica ridotta a gestione del presente e pongono all’ordine del giorno la lotta per la scelta del futuro. Ma è più in generale il risveglio della società civile, o meglio di una sua grande parte, che suscita una speranza. E di per sé la speranza, cioè il coltivare la possibilità di un prossimo miglioramento, parla di avvenire. Con un’altra idea della politica. Partire dalla Costituzione per contribuire a cambiare il presente pensando di costruire il futuro: forse questa è la sfida attuale dell’associazionismo democratico e della stessa Anpi. Si può fare. Con tutti quelli che, come queste strane “sardine”, oltre che volare, cantano pure “Bella ciao”.
Pubblicato mercoledì 27 Novembre 2019
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