Patria Indipendente ringrazia l’autrice e Resistenza Libertà, il semestrale del Comitato provinciale Anpi Ravenna, per aver concesso la ripubblicazione dell’intervista, uscita nel suo ultimo numero, a Edoardo Purgatori, attore, figlio del giornalista e sceneggiatore Andrea Purgatori.


 

Edoardo, sei cresciuto tra Roma e una cultura familiare cosmopolita, con radici anche tedesche, e hai studiato all’estero, tra l’Actors Studio e l’Oxford School of Drama. In che modo questa pluralità di esperienze ha formato il tuo sguardo sul mondo e sulla società?

Sono cresciuto tra lingue e culture diverse, in una casa dove si passava dall’italiano al tedesco, all’inglese, senza che nessuna di queste diventasse mai “la” lingua. È qualcosa che ti forma nel profondo: impari che ogni parola cambia significato a seconda di chi la pronuncia e da dove la ascolti. Roma mi ha dato l’istinto, la memoria, il caos vitale. L’estero mi ha dato la distanza necessaria per guardarmi dentro e la libertà di sperimentare. È da lì che nasce il mio sguardo sul mondo: da una pluralità che non divide, ma amplia, lo arricchisce di sfumature.

In scena con Brokeback Mountain

Hai intrapreso un percorso artistico forte e consapevole, ma anche rischioso. C’è stato un momento in cui hai capito che “fare l’attore” non sarebbe stato solo un lavoro, ma un modo di raccontare la realtà?

Non c’è stato un momento preciso. È qualcosa che è cresciuto dentro di me, lentamente. Ho sempre avuto bisogno di capire le persone, di attraversare i loro silenzi. La recitazione è diventata il modo più diretto per farlo. Non cerco personaggi per nascondermi, ma per vedere più a fondo. Con il tempo ho capito che non è un lavoro di trasformazione, ma di sottrazione: togliere le difese, lasciare che qualcosa ti attraversi. Quando succede, non stai “recitando”, stai solo dicendo la verità con un altro corpo.

Il giornalista Andrea Purgatori scomparso nel luglio 2023 (Imagoeconomica, Alessia Mastropietro)

Tuo padre è stato un giornalista d’inchiesta che ha fatto della verità e della memoria una missione civile. Cosa ti ha lasciato di quel modo di intendere il mestiere e la vita  che oggi senti di portare dentro di te, magari anche sul palco?

Mio padre cercava la verità come un dovere morale, non come un gesto eroico. Mi ha insegnato che la libertà non è un diritto, ma una responsabilità. Non ho mai pensato di “continuare il suo lavoro”, ma di custodirne lo sguardo: il bisogno di non distogliere mai gli occhi. Quando porto un personaggio sul palco, provo a farlo con quella stessa urgenza.

Ti muovi tra linguaggi diversi: la scena teatrale, la televisione popolare, il cinema d’autore. In quale di questi spazi ti senti più libero di esprimere anche una visione etica o politica del mondo?

Ogni linguaggio ha la sua verità. Il teatro è un corpo a corpo, non puoi mentire. Il cinema ti permette di scavare nell’invisibile. La televisione, quando è fatta con onestà, può arrivare dove la cultura spesso non arriva più. Mi interessa muovermi tra questi spazi senza snobismo, cercando sempre un gesto che abbia un senso umano o politico, anche solo nel modo in cui ascolti un altro essere umano.

Da “Resistenza Libertà”

Nella stagione 2025/26 porti a teatro Brokeback Mountain, una storia d’amore e libertà che sfida stereotipi e paure. Che tipo di responsabilità senti nel dare voce a personaggi che hanno incarnato, nel tempo, il coraggio di essere se stessi?

Brokeback Mountain non parla solo d’amore, ma di libertà negata. È una storia che riguarda tutti quelli che hanno dovuto nascondersi per sopravvivere. Interpretarla oggi significa non tanto “rappresentare” un tema, ma renderlo vivo, restituirgli carne e fragilità. La responsabilità è non tradire la verità di chi ha vissuto davvero quella paura.

Alcuni scatti di Michele Alinovi dello straordinario 25 Aprile 2025 a Casa Cervi

Noi abbiamo avuto il piacere, sicuramente mio, di incontrarci in occasione del 25 aprile con la tua richiesta di poter avere il “nostro fazzoletto” con il quale hai partecipato alla lettura di L’Ur-fascismo di Umberto Eco nella diretta da Casa Cervi con Marco Damilano. Che significato personale ha per te questa ricorrenza? E cosa vuol dire oggi, per un artista della tua generazione, essere antifascista?

Il 25 aprile, per me, non è una data simbolica ma un modo di stare al mondo. Ho chiesto quel fazzoletto di Casa Cervi perché volevo portare con me un segno concreto, qualcosa che mi ricordasse ogni giorno da dove veniamo. Essere antifascista oggi non significa ripetere slogan, ma difendere la libertà di pensiero, di parola, la dignità delle persone, il diritto di dissentire. È una responsabilità che riguarda tutti, non solo chi fa politica. Nel mio lavoro cerco di tenerla viva attraverso la memoria: raccontando storie che non cancellano il dolore, ma lo trasformano in consapevolezza.

Edoardo Purgatori con Valentina Giunta

Viviamo in un’epoca in cui esporsi pubblicamente può costare caro, anche solo per aver espresso un’opinione civile. Ti è mai capitato di ricevere attacchi o incomprensioni per le tue posizioni? E come riesci a mantenere autenticità e misura?

Sì, mi è capitato di ricevere attacchi, soprattutto quando la parola tocca nervi scoperti. Ma se hai paura di perdere consenso, smetti di essere libero. Cerco di parlare solo quando ho qualcosa da dire davvero, non per dovere d’opinione. L’autenticità non sta nel gridare, ma nel restare fedele a ciò che senti anche quando non conviene.

(Imagoeconomica)

Negli ultimi mesi ti sei espresso con chiarezza e coraggio sul dramma palestinese, in un momento in cui molti scelgono il silenzio. Cosa ti ha spinto a farlo? E vedi un legame tra la memoria antifascista e il dovere, oggi, di difendere i diritti umani ovunque vengano calpestati?

Mi ha spinto la stessa cosa che muoveva mio padre: l’intolleranza per l’ingiustizia. Non si può difendere la memoria della Resistenza e poi restare zitti davanti a un massacro. Non è una questione politica, ma umana. Il legame tra antifascismo e diritti umani è evidente: in entrambi i casi si tratta di scegliere da che parte stare, anche quando è scomodo.

Grande successo per lo spettacolo Brokeback Mountain

Guardando avanti, quale pensi debba essere oggi il ruolo degli artisti e in generale del mondo della cultura  nel difendere la libertà, la memoria e la dignità delle persone?

Penso che l’artista non debba spiegare il mondo, ma renderlo più sensibile. L’impegno, se è autentico, non si dichiara: si pratica nel modo in cui si vive, si crea, si ascolta. Mi piacerebbe che il teatro tornasse a essere un luogo di coscienza collettiva, dove la fragilità diventa forza e la memoria trova voce.

(Imagoeconomica)

Se dovessi parlare con un ragazzo o una ragazza che si avvicina al teatro con l’idea che l’arte possa cambiare il mondo, che cosa gli diresti per incoraggiarlo a mantenere insieme talento e coscienza civile?

Direi di non cercare di piacere. Di non confondere il successo con il valore. Di proteggere la propria curiosità, anche quando fa male. E di non aver paura di essere impopolari: è l’unico modo per restare vivi in un tempo che anestetizza tutto.

Ivano Marescotti. L’attore è scomparso nel 2023 nello stesso anno della morte di Andrea Purgatori

In “Un medico in famiglia” hai condiviso il set con Ivano Marescotti, attore amatissimo e voce profonda della nostra Bagnacavallo. Che ricordo conservi di lui?

Ivano Marescotti era un attore che sapeva unire rabbia e tenerezza, parola e radice. Sul set era ruvido e poetico insieme. Di lui mi resta la libertà: quella di dire le cose come stanno. È una dolcezza negli occhi.

Appuntamento al 25 Aprile 2026 al Parco di Bagnacavallo!

Dopo questa conversazione, con quale impegno personale, civile o artistico  ti piacerebbe lasciarci? E se pensassimo di darci appuntamento al nostro Parco per la Festa del 2026?

A restare presenti. A non farci distrarre dal rumore. Mi piacerebbe continuare a cercare verità semplici, nelle persone e nei gesti quotidiani, nel mio lavoro. Credo che l’impegno civile e quello artistico coincidano quando vivi con empatia, in apertura verso il prossimo. Ci ritroveremo al Parco nel 2026 e verrò con la mia famiglia. Mi sembra il modo più naturale per trasmettere ai miei figli questi valori – la memoria, il rispetto, la libertà – non come parole da ripetere, ma come modo di vivere insieme. E fare festa!

Valentina Giunta, presidente della sezione Anpi di Bagnacavallo, vicepresidente Anpi provinciale Ravenna