Antonio Virgilio Pilerio

L’ottantesimo anniversario dell’8 settembre 1943 mi spinge a scrivere su una vicenda famigliare, che per lungo tempo è rimasta chiusa in un doloroso ricordo. Riguarda mio zio, Antonio Virgilio Pilerio che, a due mesi dai suoi ventun anni, viene dato per disperso nel febbraio 1944, durante la Seconda guerra mondiale. Antonio era nato il 15 aprile 1923 a Parona, in provincia di Pavia – primogenito di Pietro Pilerio e Maria Annunciata Raina di Garlasco (i miei nonni materni) che avranno anche una figlia, Elda (mia madre che tra poco compirà novantatré anni), quattordicenne all’epoca della sua scomparsa. Il padre, verificatore nelle Ferrovie dello Stato, è trasferito a Voghera nel 1934. Antonio frequenta e termina le scuole elementari, ma non ha molta voglia di studiare e così trova un impiego come garzone presso la panetteria e pasticceria Silvani di Piazza Duomo, diventando amico di Paolino, figlio del proprietario.

Antonio Pilerio in divisa

Come tutta la sua generazione, cresce nell’educazione nazionalista e fascista del regime. Il suo foulard da coscritto della classe 1923 ha in evidenza la dicitura “Credere, obbedire, combattere” oltre all’immancabile “Vinceremo”. A due anni dell’entrata in guerra dell’Italia, è arruolato dal distretto militare di Tortona, frequenta un corso da autista ed è lasciato in “congedo illimitato provvisorio” il 7 marzo 1942. Una pausa che durerà poco. Il suo “Foglio matricolare e caratteristico” registra che il 6 settembre viene richiamato alle armi, con destinazione il Deposito 207 Regg. Fanteria. Poi è nei ranghi del 102° Regg. di Marcia, 68° Btg. Plotone Comando Casermetta Torrione a Pontecagnano, Salerno. Successivamente è all’842° Btg. Autorama – Plotone Comando.

Ottiene il grado di caporale. In un librettino nero, conserva gli appunti dell’istruzione militare (l’uso del fucile, della mitragliatrice Breda 37, i nomi della squadra di appartenenze, ecc…). Insieme alle note tecniche tiene conto delle lettere spedite e ricevute, ma trascrive anche le scritte appese ai muri della camerata, tra le quali spiccano “Il fante è il simbolo del valore del popolo in guerra” e “Il fante è l’elemento decisivo della battaglia e della guerra”. Anche in una lettera che invia ai genitori il 30 giugno l’aspettativa è per “la nostra vittoria italiana”, pur ricordando che ha avuto una grande paura per il bombardamento di Salerno (è quello del 21 giugno, che provoca circa 500 morti e colpisce una città praticamente senza difese) che gli ha impedito di recuperare delle foto fatte con i suoi commilitoni.

Nel plotone comando parte per la Grecia il 14 luglio 1943, raggiungendo la zona di guerra”  il 15 luglio, probabilmente Atene. Poi è la volta di Rodi, come segnala in una lettera del 2 settembre: “tempo bello e non sembra di essere in guerra…”. La successiva missiva del 7 settembre ha un passaggio diverso “…sentii tutto di quello che è successo in Italia e speriamo di risvegliarci e sentire una bella notizia in questi giorni noi staremo meglio tutti anche quelli che sono alle armi. Probabilmente il riferimento è al 25 luglio ed alle possibili aspettative di una svolta che faccia terminare la guerra. “L’8 settembre 1943 l’Italia pagò fino in fondo il prezzo della guerra di Mussolini. Studi e polemiche si sono concentrati sull’incapacità del governo Badoglio di gestire la crisi dell’armistizio, dimenticando che il disastro militare era in larga parte già deciso dai rapporti di forza lasciati dalla guerra fascista”. Questa sintesi di Giorgio Rochat (Le guerre italiane 1935 – 1943 Einaudi 2005) mi pare che valga anche per la situazione delle trentadue isole presidiate dalle truppe italiane nell’Egeo, compresa Rodi, conquistata dai tedeschi dopo alcuni scontri.

Secondo la ricerca di Gerhard Schreiber (“I militari italiani internati nei campi di concentramento del III° Reich” Stato Maggiore dell’Esercito, Roma 1992) sono complessivamente 36.173 i soldati italiani in mano tedesca; mentre nel corso dei combattimenti durati fino al 15 settembre, caduti 143 tra militari e sottufficiali, 8 ufficiali ed oltre 300 i feriti.

Non ho riscontri se Antonio abbia partecipato ai combattimenti o se sia stato subito catturato con centinaia di altri militari. Viene rinchiuso nel campo di internamento n. 2 di Asguro (che ha campi sussidiari a Zairi, Candilli, Trianda) e solo il 24 dicembre, oltre tre mesi dopo, invia una lettera a casa dove, tra le righe della censura, non ci sono notizie sugli avvenimenti precedenti che lo hanno condotto alla prigionia, ma solo riferimenti al Natale – “abbiamo fatto l’albero e appeso mandarini e tre liste di torrone…” e con altri tre amici “…domani a mezzogiorno facciamo una bella polenta…non è la prima volta…”. È l’ultima comunicazione ai famigliari, mentre il 1° gennaio 1944 scriverà una cartolina a Paolino. Poche righe per salutarlo e dirgli che sta bene.

Alessandro Natta
Alessandro Natta

Nel campo di Asguro è detenuto anche Alessandro Natta (il futuro segretario del Pci dall’84 all’88) che da giovane ufficiale partecipa agli scontri contro i tedeschi. Natta verrà trasportato sul piroscafo “Oria” a Lero il 7 febbraio 1944, e da lì proseguirà il percorso di prigionia nei lager di Kustrin, Sandbostel e Wietezendorf. Ha raccontato la sua esperienza e stimolato una riflessione sulla prigionia e sul ruolo dei nostri militari nel libro “L’altra Resistenza. I militari italiani internati in Germania” pubblicato da Einaudi nel 1997.

Inigo Campioni, ammiraglio comandante militare a Rodi 9-11 settembre 1943

Dopo il controllo dell’isola i tedeschi iniziano a organizzare il trasferimento dei prigionieri italiani; in primo luogo via mare, con motozattere e imbarcazioni varie, anche se la Royal Navy controlla l’Egeo. Avvengono anche diversi trasporti aerei, ma l’operazione procede con difficoltà e a fine 1943 sono ancora più di 26.000 i soldati italiani a Rodi. Nei mesi precedenti ci sono stati attacchi condotti da navi inglesi contro altre imbarcazioni partite da Rodi. L’episodio più tragico di cui resta memoria è l’affondamento del piroscafo “Donizetti” il 23 settembre 1943 da parte del cacciatorpediniere “Eclipse”. Tutti i prigionieri italiani, stipati dai tedeschi in modo bestiale, muoiono nell’attacco. Sul numero ci sono riscontri diversi (dai 1.584 indicati da Schreiber a più di 1.800 di altre fonti). Restano tutti senza un nome, perché non ci sono le liste d’imbarco e, soprattutto, non ci sono superstiti.

La motonave Oria

Antonio sicuramente non aderisce alla RSI e l’11 febbraio 1944, con centinaia di altri compagni, è caricato sulla motonave “Oria”, un vecchio mercantile norvegese che i tedeschi stanno usando per trasportare i militari italiani verso la Grecia, con destinazione più che probabile i campi di prigionia della Germania o Polonia.

Nella notte tra l’11 e 12 febbraio 1944 una violenta tempesta travolge l’Oria che si sfracella contro gli scogli dell’isola di Patroklos di fronte a capo Sounion, sulla punta meridionale dell’Attica. La nave inizia ad affondare dalla poppa, intrappolando nella stiva i nostri soldati. Sono 4.169 i morti nel naufragio su 4.190 imbarcati. Secondo i dati contenuti nel libro di Gerard Schreiber si salvano 21 italiani, 6 tedeschi di guardia e 7 dell’equipaggio. Anche qui le cifre spesso non coincidono in base ai diversi rapporti. È sicuramente la più grande tragedia avvenuta nel Mediterraneo in tempo di guerra. Lo stesso mare che vede da anni un sistematico stillicidio di persone inermi colpevoli solo di cercare una possibilità di vita diversa.

I greci porteranno diverse testimonianze dei recuperi fatti, mentre i pescatori riterranno quel tratto di mare chiuso alla pesca per rispetto della tragedia, perché per settimane i corpi arrivano a riva assieme a relitti dell’imbarcazione. Il 28 marzo 1946 il Distretto militare di Tortona rilascia il verbale di irreperibilità, indicando “Disperso in mare in seguito all’affondamento della nave che lo trasportava in prigionia da Rodi”. Ancora il 3 febbraio 1995, in risposta ad una mia richiesta di informazioni, il Ministero della Difesa conferma che Antonio risulta ancora disperso dall’11 febbraio 1944.

Il sommozzatore greco Zervoudis vicino al relitto dell’Oria

Cercando notizie sul web trovo il sito piroscafooria.it, altre indicazioni: piroscafooria@gmail.comgruppo facebook, Twitter (@piroscafooria), Telegram @piroscafooria – che da alcuni anni in modo encomiabile ha avviato un paziente e prezioso lavoro di ricerca sulle vittime del naufragio, raccogliendo una ricca documentazione. Ed è proprio scorrendo la “lista degli imbarcati” sul sito che scopro il nome di mio zio. Dal 2014 sulla strada statale, di fronte all’isola di Patroklos, è presente una installazione che ricorda la tragedia dell’Oria. Nel settembre 2017 anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha reso omaggio al monumento ai Caduti.

Ecco, questa è la mia piccola storia famigliare, all’interno di quella grande tragedia che è stato il fascismo e dalla sua follia bellica perseguita per anni, fino alla guerra scatenata in Europa al fianco dei nazisti.

Antonio Corbeletti, presidente sezione Anpi Voghera e vicepresidente provinciale Anpi Pavia