Firenze, manifestazione contro le misure anti-covid. Una notte di vandalismi e scontri nel centro storico cittadino (da https://www.repstatic.it/content/localirep/img/rep-firenze/2020/10/30/225441569-e5db3ebc-0cb7-4bb9-9925-a357ce40e002.jpg)

«C’è da stare attenti, la violenza andata in scena in questi giorni nelle piazze italiane non è una fiammata spontanea, una protesta dettata delle oggettive difficoltà di vasti settori della società, ma è, al contrario, violenza organizzata e manovrata. Gran parte delle persone che il 30 ottobre hanno devastato Firenze (e nei giorni precedenti  altre città  italiane), venivano da fuori, erano armate di spranghe e molotov. Che non è propriamente l’identikit delle categorie professionali colpite dai provvedimenti del governo, quanto piuttosto quello dei provocatori di professione».

Roma, giorni e notti di violenze nelle strade del centro capitolino. Le bandiere sono quelle di Forza Nuova (foto Imagoeconomica)

Francesca Chiavacci, presidente nazionale dell’Arci, è preoccupata. Quello che ha visto a Firenze, la sua città, e nelle altre strade del Belpaese le fa venire alla mente l’agire classico del primo squadrismo fascista: «Gente che si sposta, a comando, da una parte all’altra del Paese per creare un clima di insicurezza e paura, picchiare e devastare. Nei disordini di questi giorni c’è una regia. Ci sono i fascisti. Ce lo dobbiamo dire con nettezza. Questi mascalzoni si sono infiltrati all’interno delle manifestazioni di protesta contro i decreti del governo finendo per oscurare e cavalcare le ragioni di quelle legittime iniziative».

Bari la protesta dei lavoratori del teatro e dello spettacolo (Foto Imagoeconomica)

Venerdì scorso in diverse città italiane c’è stata la protesta del mondo della cultura e dello spettacolo che con il penultimo Dpcm si è visto bloccare nuovamente le attività. Teatri, cinema, circoli culturali e ricreativi, sono stati chiusi nuovamente.

Che una seconda fase dell’epidemia si sarebbe presentata dopo l’estate non ci voleva l’oracolo di Delfi per capirlo, eppure si è avuta l’impressione che l’esecutivo non si sia mosso per tempo, sia sul terreno della prevenzione che su quello delle misure da mettere in campo nel momento in cui il Covid 19 avrebbe ricominciato a correre. La cosa che ci ha colpito nel decreto del 25 ottobre, quello che doveva di fatto dare le linee guida sulla convivenza con il virus, è stata la sua filosofia di fondo. Si è immaginata questa convivenza col Covid, lo dico un po’ tranchant, solo in funzione delle attività economiche, mentre si è colpito duramente, e con incredibile sottovalutazione, il mondo della cultura e dell’associazionismo. Al di là degli interventi successivi e delle altre e più restrittive misure stabilite dal governo in questi giorni, rimane che la chiusura preliminare dei luoghi della cultura e della socialità, anche da un punto di vista simbolico, ha rappresentato un brutto segnale. Tanto più ingiustificato se si considera che teatri e cinema, così come i circoli Arci o le sedi delle Acli sono luoghi sicuri che in questi mesi hanno messo in atto misure rigorose per contrastare la diffusione del virus.

I circoli Arci, avete scritto in un vostro appello, non solo sono luoghi sicuri, ma rappresentano anche un antidoto al senso di incertezza che il Covid ha portato nella nostra vita quotidiana.

Si può immaginare un Paese che può fare a meno della cultura, che può fare a meno della socialità? Le attività culturali e specificatamente quelle di prossimità, collegate alle relazioni sociali sarebbero preziosissime in questa fase per ri-costruire un senso di comunità, per contrastare il senso di solitudine che attraversa la società italiana e in particolare le persone più deboli. Insomma, non si capisce davvero perché i bar possono stare aperti mentre l’esercizio della somministrazione nei nostri circoli – che notoriamente si autofinanziano anche attraverso attività di ristorazione – sia stato vietato da subito. È stato un atto di assoluta miopia. Attenzione, la nostra non è una rivendicazione categoriale. È semmai una rivendicazione valoriale, di un pensiero cioè diverso, del diritto, anche in questa fase drammatica, a coltivare l’idea della speranza, della ricostruzione del Paese sui valori che ci appartengono da sempre, quelli cioè della solidarietà e dell’antifascismo. Perché questo sono, dal piccolo centro alle grandi città, i circoli Arci: presidi dei valori fondanti della Costituzione. E lo sa bene l’Anpi che tante iniziative ha costruito in questi anni assieme a noi. È un grave errore pensare che si possa uscire da questa fase drammatica dando la priorità alle questioni esclusivamente economiche. Una visione più ampia aiuterebbe le istituzioni e la democrazia. Parlo di democrazia, perché vedo il rischio reale della crescita di un sentimento di sfiducia nelle istituzioni e i segni evidenti di una strategia eversiva. Il negazionismo, a ben vedere, in cosa trova fondamento se non nell’ignoranza? La cultura è un argine importante non solo contro i rigurgiti fascisti, la xenofobia ricorrente, ma anche contro il Covid. Noi, come Arci, lo abbiamo detto sin dai primi giorni della pandemia che la “cultura è la cura”. Il nostro ruolo lo abbiamo svolto in funzione del Paese più che di noi stessi. L’Arci ha il grande pregio di essere diffusa sul territorio. È un’associazione di prossimità e non a caso tanti sindaci hanno sottoscritto il nostro appello, perché sono consapevoli che con la chiusura dei nostri circoli viene a mancare sul territorio un presidio di coesione sociale.

Francesca Chiavacci, presidente nazionale Arci (foto Imagoeconomica)

Insomma, il vostro è un no alle chiusure indiscriminate?

Chiudere senza alternative, se non si è obbligati a stare a casa, può essere più pericoloso di una normalità organizzata per il momento particolare che stiamo attraversando.

Senza denari anche la cultura muore. Qual è la situazione in cui versano i circoli Arci.? E cosa rischiano?

Il rischio è di non sopravvivere perché c’è indubbiamente un dato economico con cui dover fare i conti, solo per dirne uno, gli affitti per le nostre sedi li abbiamo continuati a pagare e nella riapertura ci siamo sforza di esserci e di veicolare una socialità responsabile. Ci siamo comportati non come le discoteche di Briatore, ma con attenzione e rispetto delle regole e della salute delle persone, anche perché tra i nostri iscritti vi sono molti anziani. La nostra parola d’ordine è stata “curiamo la responsabilità”. Durante il lockdown abbiamo fatto una campagna di “Resistenza virale”, ed era evocativo il termine Resistenza perché per noi voleva dire non solo fermarsi all’immediato, alla pandemia, ma richiamava e poneva in luce i nostri valori. I valori della Costituzione. E invece…

Invece il governo non ha colto appieno il ruolo e la funzione che l’Arci e l’associazionismo in genere potevano svolgere in questa fase?

Le decisioni del governo per i nostri circoli sono stata una mazzata. E lo abbiamo detto a chiare lettere unendoci alle proteste del mondo della cultura. Siamo ben consci – e lo abbiamo scritto subito nell’appello che ricordavi – che siamo nel pieno dell’emergenza epidemiologica ma ritenevamo che i luoghi di socialità e diffusione della cultura dovessero rimanere aperti, ovviamente nel rispetto dei protocolli di sicurezza. Anche perché, lo dicono i dati, sembrano essere i più sicuri e controllati. Chiedevamo e continuiamo a chiedere il riconoscimento di una funzione sociale che deve trovare una traduzione anche nelle leggi che vengono fatte.

Stai parlando dei provvedimenti economici, il cosiddetto ristoro?

Nei primi provvedimenti sul ristoro, quelli di primavera, i circoli Arci e delle Acli che pure avevano cercato con grande fatica di riaprire in sicurezza non hanno avuto nessun sostegno economico. Adesso, ci auguriamo, che ci sarà qualcosa anche per noi. Ci aspettiamo, e lo abbiamo scritto, di non essere ignorati da misure di compensazione dei danni legati a provvedimenti che impongono la sospensione delle attività e che non riguardino le sole attività commerciali, che per gli enti non commerciali sono secondarie per definizione.

Nelle piazze della protesta, anche in quelle più sensibili ai richiami della destra, si è levata l’invocazione della “libertà”. Che effetto ti fa?

Libertà è una parola nostra, della sinistra, e debbo dire che fa impressione sentirla pronunciare dagli esponenti della destra, anche quella estrema. La destra un messaggio da offrire al Paese ce l’ha. È un messaggio semplicistico, che alza steccati e soffia sul fuoco di un disagio sociale oggettivo, Ma è un messaggio chiaro. E la sinistra? È difficile cogliere un suo pensiero in questa fase. Non può risolversi tutto nella gestione dell’emergenza. Ecco perché oggi è più che mai necessario il coinvolgimento delle parti sociali, affinché sia chiaro che le decisioni non vengono calate dall’alto, ma sono comprese e condivise. In questi mesi i nostri circoli si sono trasformati, sono diventati luoghi di solidarietà concreta; abbiamo portato i pacchi alimentari a chi era meglio non uscisse da casa. È stata una cosa importante ma non basta. È l’aspetto del pensiero delle persone che va curato. La diseguaglianza che aumenta è una diseguaglianza economica ma anche una grande diseguaglianza culturale. E quella non la puoi certo combattere a forza di Dpcm.