Durante le grandi operazioni nazifasciste, organizzate in funzione antipartigiana per debellare definitivamente le Zone Libere e il Movimento di Liberazione, il battaglione Valanga della Decima Mas, stanziato su un’altura che domina dall’alto la valle, controlla il piccolo borgo diventato rifugio dei ribelli. I ruderi, sopravvissuti prima all’abbandono dell’ultima famiglia residente, i Masutti, che nel 1923 aveva chiuso definitivamente la porta di casa per trasferirsi altrove, poi all’incendio provocato da una rappresaglia nazifascista nel 1944, offrono ancora riparo a quei partigiani della Brigata Tagliamento che assieme al loro comandante Battisti (Giannino Bosi, Medaglia d’Oro al Valor Militare), infortunato al ginocchio per una caduta accidentale, non si erano trasferiti in zone più sicure ed erano braccati dai nazifascisti. Quelle case diroccate in un’atmosfera suggestiva e fiabesca, resa ancora più onirica dalla neve, diventano una trappola letale. Gli avvenimenti nefasti si susseguono in maniera travolgente per il gruppo di partigiani fiaccati dal freddo e dalla spossatezza, che da giorni lottano per la sopravvivenza, combattendo contro forze numericamente superiori e militarmente più attrezzate.
Alle tre di notte – dell’8 o del 9 dicembre, nelle ricostruzioni storiche le date non coincidono – i partigiani vengono accerchiati dagli uomini del Battaglione Valanga che li attacca con armi automatiche e bombe a mano, illuminando la zona con razzi. Battisti, sorretto da Paola per poter camminare, va in soccorso dei compagni di lotta. Solo un piccolo gruppo riesce a scappare, mentre gli altri vengono catturati. «Battisti riprese a sparare, essi risposero e Battisti cadde in ginocchio, sparò qualche colpo e rimase supino. Paola era sola, vicina a lui […] Ma la ragazza, preso il mitra caduto dalle mani inerti di Battisti, si mise a sparare in piedi […] La pattuglia sotto le sue raffiche si buttò a terra e rispose al fuoco e lei è rotolata vicino al compagno […] morta.» Questa versione, che sembra essere la più attendibile, viene narrata nel volume di Cino Boccazzi Tenente Piave, Missione Bergenfield a Coldiluna (1972), e ripresa sia da Narciso Luvisetto nel Diario di un parroco di montagna nella bufera. 1943-1945 (1984) che da Alberto Buvoli in Il partigiano “Battisti”. Giannino Bosi Medaglia d’oro della Resistenza friulana (1995). Nella motivazione della Medaglia d’Oro concessa a Battisti nel 1957 si trova, invece, un resoconto differente: «circondato da soverchianti forze, continuò a combattere strenuamente e, piuttosto che arrendersi e cadere vivo nelle mani dell’avversario, rivolse la propria arma contro se stesso e dopo aver gridato per l’ultima volta “Viva l’Italia”, si uccise». Molto probabilmente il racconto è condizionato da una visione mitologica della figura di Giannino Bosi, uomo «animato da profondo spirito di sacrificio ed assertore convinto dei principi di giustizia e di libertà».
Il rastrellamento nella zona delle Prealpi Carniche continua fino al 20 dicembre mettendo a dura prova il Movimento di Liberazione senza però riuscire ad eliminarlo: solo una parte delle formazioni è costretta a scendere in pianura oppure a trasferirsi sui monti del Friuli Orientale o in Carnia.
Pubblicato lunedì 16 Gennaio 2017
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