Un ritratto di Antonio Gramsci à la Warhol (da http://orig11.deviantart.net/3490/f/2011/104/a/0/gramsci_by_eddiescorner-d3dypmf.jpg)

L’attentato di cui fu oggetto Mussolini il 31 di ottobre del 1926 a Bologna fu attribuito ad un quindicenne, Anteo Zamboni, che sparò verso il Capo del fascismo senza peraltro colpirlo. I fascisti si gettarono sul ragazzo e lo linciarono. Questo episodio diede vita a una nuova ondata di violenze e diventò il pretesto che i fascisti attendevano per un definitivo giro di vite: mentre il governo deliberava l’annullamento di tutti i passaporti, l’uso delle armi contro chi tentasse l’espatrio clandestino, la soppressione dei giornali antifascisti, lo scioglimento dei partiti e delle associazioni contrarie al regime, era stato predisposto un disegno di legge che istituiva la pena di morte per chi attentava alla vita dei monarchi e del capo del governo, oltre a creare il Tribunale speciale per la difesa dello Stato. La Camera lo avrebbe discusso ed approvato il 9 novembre. Ne derivò la legge 2008 del 25 novembre del 1926.

Ghilarza (Oristano), la casa dove nacque Gramsci (da http://cagliari.globalist.it/QFC/NEWS_258731.jpg)

A Gramsci, che aveva trascorso la sera dell’8 con i compagni nella preparazione della dichiarazione contro il disegno di legge e contro la mozione che prevedeva la revoca del mandato parlamentare per i deputati dell’Aventino, non fu permesso di partecipare alla discussione presso la Camera dei deputati. La sera stessa dell’8, alle 22,30, nonostante l’immunità parlamentare, fu arrestato, ammanettato e condotto a Regina Coeli. Soltanto tre deputati comunisti sfuggirono all’arresto: Grieco, Bendini e Gennari. Gli altri deputati comunisti arrestati furono: Picelli, Ferrari, Riboldi, Alfani, Molinelli, Borin, Srebrnič, Maffi, Lo Sardo, Fortichiari e Damen. Ezio Riboldi, uno degli arrestati con Gramsci, testimoniò a Giuseppe Fiori, il primo biografo del grande sardo, che “verso le 20 Mussolini chiamò a Palazzo Chigi, dove risiedeva, Farinacci e Augusto Turati e comunicò che bisognava aggiungere all’elenco i deputati comunisti. Farinacci fece presente che l’ordine del giorno motivava l’espulsione con l’abbandono, da parte degli aventiniani, dei lavori parlamentari, mentre i comunisti vi avevano sempre preso parte. Mussolini rispose che la Corona voleva così”. Nella sostanza il provvedimento di revoca del mandato parlamentare avrebbe dovuto riguardare gli “aventiniani” in quanto avevano disertato i lavori e non i comunisti che avevano ripreso il loro posto in aula staccandosi dagli aventiniani. La testimonianza di Riboldi, quindi, mette in evidenza le responsabilità dirette del Sovrano e del Presidente del Consiglio nell’arresto dei comunisti.

Il 18 novembre Gramsci è assegnato al confino di polizia per cinque anni. Il 7 dicembre giunge ad Ustica. Nel gennaio del 1927 è colpito da un nuovo mandato di cattura spiccato dal Tribunale militare di Milano ed è trasferito nel carcere milanese di San Vittore (febbraio dello stesso anno). Il 19 marzo del 1928 Gramsci riceve la sentenza di rinvio a giudizio presso il Tribunale speciale per la difesa dello Stato e, trasferito da Milano, giunge a Roma il 12 maggio per essere rinchiuso nel carcere di Regina Coeli. Nel frattempo il giudice istruttore Enrico Macis aveva messo a punto i capi di accusa contro i comunisti: guerra civile, saccheggio, devastazione e strage. La commissione istruttoria del Tribunale speciale depositò la sentenza di rinvio a giudizio il 20 febbraio.

La cella carceraria di Gramsci a Turi (da http://www.alberobellonotizie.it/wp-content/uploads/2016/05/La-cella-di-Gramsci-nel-penitenziario-di-Turi-presso-Bari.jpg)

Il processo ebbe inizio il 28 maggio del 1928 presso il Palazzo di Giustizia di Roma. La scenografia realizzata dal regime fu quella delle grandi occasioni: militi con elmetto nero, presidente e giudici in alta uniforme; ammessa la presenza di alcuni corrispondenti della stampa estera. Il 30 maggio è sottoposto ad interrogatorio l’imputato Gramsci Antonio. Gli vengono presentate le accuse a suo carico: attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, apologia di reato e incitamento all’odio di classe. Gramsci rispose nel modo seguente: “Confermo le mie dichiarazioni rese alla polizia. Sono stato arrestato nonostante fossi deputato in carica. Sono comunista e la mia attività politica è nota per averla esplicitata pubblicamente come deputato e come scrittore de l’Unità. Non ho svolto attività clandestina di sorta perché, ove avessi voluto, questo mi sarebbe stato impossibile. Già da anni ho sempre avuto vicino sei agenti, con il compito dichiarato di accompagnarmi fuori o di sostare in casa mia; non fui, così, mai lasciato solo; e, con il pretesto della protezione, fu esercitata nei miei confronti una sorveglianza che diviene oggi la mia miglior difesa. Chiedo che vengano sentiti come testi per deporre su questa circostanza il prefetto e il questore di Torino. Se d’altronde essere comunista importa responsabilità, l’accetto”. E’ in questa circostanza che Gramsci pronunciò le famose parole “Voi condurrete l’Italia alla rovina ed a noi comunisti spetterà di salvarla” la cui autenticità è stata spesso messa in discussione pur a fronte dell’autorevole testimonianza di Scoccimarro che sedeva fra gli imputati.

Dopo la requisitoria del Pubblico Ministero Isgrò e l’arringa difensiva di Terracini, fu emessa la sentenza. Gramsci fu condannato a 20 anni, 4 mesi e 5 giorni, ad una multa di lire 6.200, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici ed a 3 anni di vigilanza speciale della Pubblica Sicurezza. Viene trasferito nel carcere di Turi di Bari (parte da Roma l’8 luglio e arriva nel carcere di destinazione il 19 dello stesso mese) dove il carcerato matricola n. 7047 continuò a studiare, a pensare e a scrivere.

Ottenuto il permesso di scrivere, l’8 febbraio del 1929 inizia la stesura dei Quaderni del carcere redigendo l’indice degli argomenti che vorrà trattare:

L’Unità annuncia la morte di Antonio Gramsci

PRIMO QUADERNO (8 febbraio 1929)

Note e appunti

Argomenti principali:

1) Teoria della storia e della storiografia.

2) Sviluppo della borghesia italiana fino al 1870.

3) Formazione dei gruppi intellettuali italiani: svolgimento, atteggiamenti.

4) La letteratura popolare dei «romanzi d’appendice» e le ragioni della sua persistente fortuna.

5) Cavalcante Cavalcanti: la sua posizione nella struttura1 e nell’arte della Divina Commedia.

6) Origini e svolgimento dell’Azione Cattolica in Italia e in Europa.

7) Il concetto di folklore.

8) Esperienze della vita in carcere.

9) La «quistione meridionale» e la quistione delle isole.

10) Osservazioni sulla popolazione italiana: sua composizione, funzione dell’emigrazione.

11) Americanismo e fordismo.

12) La quistione della lingua in Italia: Manzoni e G. I. Ascoli.

13) Il «senso comune» (cfr 7).

14) Riviste tipo: teorica, critico-storica, di cultura generale (divulgazione).

15) Neo-grammatici e neo-linguisti («questa tavola rotonda è quadrata»).

16) I nipotini di padre Bresciani [1].

In carcere è visitato dalla cognata Tatiana e dai fratelli Carlo e Gennaro. Le condizioni della detenzione sono durissime, come Gramsci stesso mette in evidenza scrivendo al Direttore del carcere all’inizio di settembre del 1932:

Gentilissimo Direttore,

insisto ancora una volta presso la S. V. perché siano presi energici provvedimenti contro il malcostume dei rumori notturni e del modo fragoroso di aprire e chiudere le porte durante le visite. In queste ultime settimane il fenomeno è diventato cosi grave da intaccare seriamente la salute. Le pare normale che in una casa penale per ammalati si sia costretti ad acquistare medicine speciali e a prendere dei narcotici per poter sfuggire alle conseguenze rovinose non di malattie organiche ma di malattie provocate dal fatto che la custodia non fa il servizio correttamente, cioè a norma dei regolamenti? Ella parecchie volte ha dato disposizioni in proposito e l’ultima volta che ciò avvenne, circa due mesi fa, mi è parso che le sue disposizioni siano state particolarmente energiche. Non le pare sorprendente che esse siano state quasi trascurate e sabotate? Non può trattarsi solamente di una grave deficienza o inettitudine nelle funzioni subalterne del comando. Si tratta specialmente di una concezione, che potrebbe chiamare «borbonica» del servizio e del regolamento; è opinione degli agenti e non solo di essi, purtroppo, ma anche di chi dovrebbe educarli professionalmente, che i regolamenti e le leggi sono obbligatori solo per i detenuti perché, come dicono troppo spesso, «siamo noi che facciamo il regolamento». Non credo di rivelare un segreto ricordando che in alcuni carceri l’osservanza del regolamento diventa oggetto di traffico tra agenti e detenuti, i quali si sottomettono al pagamento di pacchetti di tabacco, di saponette e di mezzi litri di vino per liberarsi da certe forme di inosservanza che diventano persecuzioni esasperanti (quando la soluzione non è trovata negli ammutinamenti o nelle violenze individuali per provocare inchieste). Non pare che l’intenzione dell’attuale Governo sia mai stata quella di ridurre a questa stregua i rapporti tra gli esecutori della legge e i sudditi. La circolare ai Prefetti emanata dal Capo del Governo ai primi del 1927 riguardava appunto questo oggetto e lo scioglimento della Questura di Milano fu dovuto anche al fatto dei traffici sospetti tra sorvegliati e ammoniti con gli agenti per sfuggire a misure arbitrarie e illegali.

Io ho fiducia, signor Direttore, che ella sia per intervenire in modo decisivo. La prego di voler far ciò, anche perché lo sconquasso dei miei nervi in queste ultime settimane è stato tale che più di una volta mi sono trovato a fantasticare progetti risolutivi, parecchie volte mi sono levato dal letto, dopo essere stato violentemente svegliato, tutto stordito e sconvolto, deciso a provocare un grosso scandalo e solo con grandi sforzi di volontà ho calmato me stesso. Ma l’insonnia prolungata con l’esaltazione nervosa che produce, distrugge o finisce col distruggere ogni azione efficace dei centri inibitori ed io sono continuamente in preda al timore di essere portato a rovinarmi con qualche eccesso inconsulto.

Perciò la prego ancora di intervenire e di voler mettere fine all’abuso.

Con ossequio

ANTONIO GRAMSCI Mª 7047

Nel 1932, a seguito di un provvedimento di amnistia e di condono per il decennale del fascismo (la marcia su Roma), la condanna è ridotta a 12 anni e 4 mesi. Nel 1933, a seguito di una nuova crisi, è trasferito nel carcere di Civitavecchia e il 7 dicembre è ricoverato in stato di detenzione presso la clinica del dottor Cusumano a Formia. Durante la permanenza a Formia riceve le visite di Tatiana, del fratello Carlo e dell’amico Piero Sraffa. Nel 1934 viene inoltrata la richiesta di libertà condizionale che viene accolta il 25 ottobre.

Nel giugno del 1935 è colpito da una terza crisi e il 24 agosto lascia Formia per essere ricoverato nella clinica “Quisisana” di Roma.

Qui, nell’aprile del 1937, termina il periodo di libertà condizionale; ma ormai la fine è prossima. Colpito da emorragia cerebrale il 25 aprile, muore due giorni dopo.

Pier Paolo Pasolini davanti alla tomba di Gramsci nel cimitero acattolico di Roma

Le ceneri di Gramsci riposano nel Cimitero acattolico della Piramide Cestia a Roma, lì dove si trovano anche Keats e Shelley e, per questo, i romani definiscono il posto “Cimitero degli Inglesi”. E lì ci sono anche le ceneri di Antonio Labriola, colui che alla fine del XIX secolo introdusse il marxismo teorico in Italia con i suoi Saggi sulla concezione materialistica della storia. Come a dire che, nel breve tragitto che va dalle ceneri di Labriola a quelle di Gramsci, è racchiuso il cammino del marxismo italiano che, con il grande sardo, si proietta, ormai da diversi anni, verso un riconoscimento globale che fa del nostro intellettuale uno degli italiani più citati e studiati all’estero. E in Italia? Lungo e penoso sarebbe affrontare questa questione. Meglio sperare, con gramsciano ottimismo della volontà sempre costantemente unito ad altrettanto pessimismo dell’intelligenza, che questo 80° anniversario della morte di Antonio Gramsci (1937-2017) procuri qualche risultato.

Lelio La Porta, docente nei licei, membro della International Gramsci Society, collaboratore di Critica marxista, saggista

[1] A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, p. 5.