Giacomo Matteotti

Si racconta che a chi si congratulava con lui per il discorso alla Camera del 30 maggio 1924, in cui contestava la legalità delle elezioni svoltesi il 6 aprile 1924, Giacomo Matteotti avesse risposto sorridendo: “E adesso potete preparare la mia orazione funebre”.

E così doveva essere. Il deputato socialista, segretario del PSU, Partito Socialista Unitario, il partito di Filippo Turati e Claudio Treves, veniva rapito ed ucciso il 10 giugno 1924 sul lungotevere Arnaldo da Brescia, dalla famigerata “Ceka”, l’unità squadristica al comando del tristemente noto fascista toscano Amerigo Dumini.

Le elezioni del 1924 si erano tenute con la legge che fu detta Acerbo, dal nome dell’esponente fascista, Giacomo Acerbo, che l’aveva redatta. Il nocciolo della legge Acerbo era questo: se la lista più votata a livello nazionale avesse conseguito il 25% dei voti, avrebbe automaticamente conseguito i 2/3 dei seggi nella Camera dei Deputati. Si trattava di un premio di maggioranza veramente abnorme, tale da stravolgere, ove scattasse, la rappresentanza democratica degli elettori.

Amerigo Dumini, lo squadrista che, assieme a Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo, sequestrò e uccise Giacomo Matteotti. Scrisse così Emilio Lussu: «La squadra fascista che aveva compiuto l’impresa era comandata da Amerigo Dumini. Io lo conoscevo di fama. Sei mesi prima, si era battuto in duello con il giornalista Giannini, socialista, che egli aveva fatto aggredire in un teatro di Roma. Giannini era uno schermidore abilissimo, e Dumini durante lo scontro, preso dal panico, era fuggito. Negli ambienti fascisti passava per intrepido. Era molto celebre e, fra gli assassini politici, teneva il primato assoluto. Amava presentarsi dicendo: “Dumini, nove omicidi!” La sua azione più brillante l’aveva compiuta in pubblico, a Carrara. A causa di un garofano rosso, egli aveva schiaffeggiato una ragazza. La madre e il fratello, presenti, avevano fatto delle rimostranze. Egli aveva risposto freddando entrambi a colpi di pistola. Ora viveva a Roma, al servizio dell’Ufficio Stampa del presidente del Consiglio. Per quanto sapesse appena leggere e scrivere, era considerato una buona penna. Aveva stipendio lauto e regolare e viaggiava in prima classe, attorniato da segretari particolari, fissi ed avventizi».

In tal senso va sottolineato, tra parentesi, che il premio di maggioranza ad una lista che ha conseguito una minoranza dei voti incide negativamente sul principio dell’uguaglianza del voto, quel principio che verrà poi sancito dalla Costituzione Repubblicana (il voto deve essere personale ed uguale, libero se segreto). Il caso della legge Acerbo era particolarmente clamoroso, ma è il principio in generale a cui si deve guardare con molta cautela. Un sistema maggioritario (esempio quello francese) è cosa diversa dal premio di maggioranza, con cui viene invece spesso confuso.

Le elezioni del 1924 si erano svolte peraltro all’insegna della violenza delle squadre fasciste che aveva portato anche ad uccisioni di oppositori su tutto il territorio nazionale. Queste violenze e queste uccisioni erano state denunciate da Giacomo Matteotti in quel drammatico discorso alla Camera del 30 maggio, costellato dalle interruzioni e dai tentativi dii zittirlo da parte dei deputati fascisti. La denuncia di Matteotti incideva quindi con grande coraggio sulla legittimazione della maggioranza e quindi del potere che veniva conferito a Mussolini, che era andato al governo nel 1922 sull’onda della minaccia del colpo di forza della marcia su Roma.

Il corpo di Matteotti venne ritrovato a Riano, nella campagna romana, solo il 16 agosto successivo. Nel frattempo era stato messo in opera ogni tentativo di depistaggio sulla sua uccisione. Un depistaggio financo personale del Duce, quando ricevette la vedova di Giacomo Matteotti che chiedeva la verità sulla sparizione del marito. Ma la reazione di sdegno nel Paese fu durissima.

L’eco del delitto fu infatti enorme. Ben lo descrive il film di Florestano Vancini, “Il delitto Matteotti”, una sorta di film-verità che accompagna passo passo la tragica vicenda. Le opposizioni si ritirarono sull’Aventino, Mussolini sembrò vacillare, ma, grazie al determinante appoggio della monarchia, riuscì a rimanere in sella.

 

Si scatena allora negli ultimi mesi dell’anno 1924 la cosiddetta “seconda ondata” dello squadrismo fascista; il tre gennaio 1925 Mussolini va alla Camera e chiude la vicenda affermando che, se il fascismo era un’associazione a delinquere, di quell’associazione egli era il capo e che si assumeva ogni responsabilità politica, morale e storica del delitto Matteotti e più in generale dell’avvento del fascismo.

Il sacrificio di Giacomo Matteotti costituì così una delegittimazione del regime e uno spartiacque vero e proprio nella storia d’Italia. Da quel momento in poi ogni parvenza di legalità venne meno fino a che nel 1926 le “leggi fascistissime” misero al bando la libertà di stato, i partiti e i sindacati diversi da quello unico del regime.

Il sacrificio di Giacomo Matteotti riscattò anche il socialismo italiano da quelle debolezze e incertezze, da quegli errori e da quelle carenze che ne avevano fatto il vero sconfitto dell’avvento del fascismo. Nel nome di Matteotti si poté mantenere nel ventennio la fedeltà al vecchio partito, nel nome di Matteotti vennero costituite le brigate partigiane socialiste e il partito socialista nelle prime elezioni dell’Assemblea Costituente poté ricevere un 20% dei suffragi, in quel momento il secondo partito italiano.

Matteotti era diventato socialista al contatto con le plebi del Polesine e per tutta la sua vita, prima come consigliere comunale di Rovigo, poi come deputato, ma anche come amministratore delle cooperative agricole, dette il meglio di tutte le sue energie per il concreto sollevamento e il riscatto delle condizioni di vita di quelle popolazioni. Un riformista serio e coerente: “un eroe tutto prosa” così lo definisce Carlo Rosselli nel suo scritto in memoria del martire.

Filippo Turati

Un riformista che guardava innanzitutto alle lotte del suo popolo. Matteotti è al congresso di Livorno, quello del 1921, quello che vedrà la scissione del Pci, ma, avuta notizia che la Camera del Lavoro di Ferrara è stata attaccata dai fascisti, abbandona l’assise e corre a difenderla e a ricostituirla. Prima ancora era stato un coerente avversario della prima guerra mondiale e, di conseguenza, aveva dovuto subire la dura esperienza delle “compagnie di disciplina” in cui venivano arruolati anche delinquenti comuni. Alla sua morte, il partito dei socialisti riformisti cercò di darsi un triumvirato – Claudio Treves e i giovani Carlo Rosselli e Giuseppe Saragat – presto disperso dallo scioglimento dei partiti e dalle diverse vicende dell’esilio. Fu Filippo Turati, nell’esilio francese, che poté con Pietro Nenni, leader del troncone massimalista, ricostituire nel 1930 l’unità dei socialisti italiani.

Matteotti aveva già subito le violenze delle squadre fasciste ancor prima della sua uccisione. Era quindi un oppositore coraggioso e tenace.

Mussolini conosceva bene Matteotti. Si erano scontrati a parti rovesciate al Congresso socialista di Reggio Emilia del 1912, quando il futuro Duce, alla guida dei massimalisti, aveva conquistato la maggioranza a spese dei riformisti ed aveva assunto la direzione dell’Avanti!. Non è quindi escluso che la decisione di uccidere Matteotti avesse le sue radici anche nella disistima profonda che Matteotti aveva mostrato per Mussolini.

Squadristi in posa con i ferri del (loro) mestiere

Il delitto Matteotti ci ricorda che cos’era il fascismo: una dittatura brutale che non esitava ad uccidere gli oppositori. È significativo ricordare che, proprio per solidarietà con l’uccisione di Matteotti, un gruppo di giovani del fiorentino circolo di cultura, guidati da Carlo Rosselli e con Gaetano Salvemini, aveva aderito al suo partito, il Psu. Una sorta di staffetta ideale tra Matteotti e Rosselli che doveva, con il fratello Nello, cadere sotto i colpi dei sicari della Cagoule il 9 giugno 1937 a Bagnoles de l’Orne.

Ricordare cos’era il fascismo e la sua violenta oppressione di tutte le libertà democratiche, non è solo fare opera di sana e giusta ricerca storica. È anche ammonimento per quanto avviene nel presente, quando si cerca nuovamente di rievocare simboli e riferimento al fascismo di cui a volte non si avverte la pericolosità. Non solo, tutto quello che va contro i nostri principi costituzionali, l’uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di sesso razza, di lingua, di religione, è qualcosa che ci ricorda i principi antidemocratici su cui il fascismo si reggeva. Il razzismo, in particolare, è come un’erbaccia che quando credi di avere estirpato ti rispunta anche dal cemento che ci hai sparso sopra. L’idea di essere superiori a qualcun altro in quanto appartenenti a diverse razze od etnie è sempre una tentazione presente e pericolosa.

Ricordare dove porta l’ideologia della superiorità di una razza sulle altre, l’insofferenza verso i meccanismi democratici del consenso e della rappresentanza, non è mai tempo perso, così come non è mai tempo perso ricordare il valore della persona umana contro il terrorismo di matrice estremista e fondamentalista che sta affliggendo il mondo di oggi.

Ecco perché ricordare la limpida lezione di socialismo, di democrazia, di libertà, di rispetto del Parlamento che fu propria di Giacomo Matteotti a distanza di più di novant’anni riveste un’attualità che non dobbiamo sottovalutare.

Inoltre, proprio all’indomani del rilevante successo elettorale, ancorché non maggioritario, conseguito dal leader laburista inglese Jeremy Corbyn, un monito: ogni tanto diamo il socialismo per morto e sepolto e ci accorgiamo poi che invece è ispirato a principi di Giustizia e Libertà che sono perenni e che possono anche oggi attirare il consenso dei giovani.

Valdo Spini, già parlamentare, Presidente della Fondazione Circolo Fratelli Rosselli