Anche se più propriamente si tratta di Shoah, sterminio, la parola Olocausto, sacrificio, è divenuta sinonimo di distruzione e annientamento, sia fisico sia culturale, del popolo ebraico. Questa è la storia della resistenza compiuta da uno sparuto gruppo di ebrei del Ghetto di Vilnius, capitale baltica conosciuta anche con l’appellativo di “Gerusalemme Lituana”. È il racconto di uomini che hanno operato per salvare il maggior numero di libri dalla distruzione tedesca, mossi da una convinzione: «chi salva un uomo salva il mondo intero e chi salva un libro salva la memoria del mondo».
Tutto inizia con l’occupazione del Paese da parte dell’esercito nazista, il 23 giugno 1941, nel quadro dell’operazione Barbarossa, l’invasione dell’Urss.
La risposta dell’esercito lituano è nulla, nell’arco di 48 ore la conquista è completata e la comunità ebraica si ritrova nell’incubo già vissuto dai polacchi. Solo a Vilnius, dove ci sono ben 110 sinagoghe e 10 scuole di testi religiosi, la comunità ebraica locale conta 60.000 persone.
I soprusi e gli eccidi cominciano immediatamente. Fin dal 27 giugno molti giovani ebrei vengono arrestati e costretti ai lavori forzati; il 4 luglio un gran numero di uomini è prelevato e condotto ai margini della foresta di Ponary, a dieci chilometri dalla città, dove vengono mitragliati e seppelliti in fosse comuni [1]. Alla fine di agosto è avviata la costruzione di un ghetto nella parte vecchia della città. La “ripulitura” delle zone interessate inizia con un rastrellamento: oltre 10.000 persone sono assassinate in massa a Ponary da reparti speciali tedeschi coadiuvati da unità della polizia lituana. Il ghetto, inizialmente diviso in due aree comunemente indicate con i nomi di “ghetto grande” e “ghetto piccolo”, verrà inaugurato tra il 6 e il 7 settembre 1941, nemmeno tre mesi dopo l’occupazione. In città si diffondono voci sui massacri, ma si stenta a credere a un simile orrore.
Nel frattempo le autorità naziste hanno imposto l’istituzione di un Judenrat, cioè un Consiglio di rappresentanti ebrei responsabile dell’esatta esecuzione delle disposizioni degli occupanti.
Di pari passo, si avviano le operazioni per l’annientamento culturale della comunità ebraica.
Verso la metà del luglio ’41, due ufficiali tedeschi dalle strane divise di colore verde e giallo si presentano alla porta di Nojekh Prylucki. Premettono di non volerlo deportare ma solo parlargli, poiché grande studioso della cultura ebraica: l’ordine-invito è di presentarsi alla sede del Comando tedesco e di chiedere di Johannes Pohl, capo per la Lituania della Einsatzstab Reichsleiter Rosenberg (squadra speciale del Reich che porta il nome del suo fondatore, il nazista Alfred Rosenberg). Compito principale della Err è saccheggiare e confiscare tutto il materiale ritenuto politicamente importante nei Paesi occupati dalle truppe naziste; il suo motto è “Judenforschung ohne Juden”, cioè “studiare gli ebrei senza gli ebrei”. Lo stesso giorno i due militari fanno visita anche ad Abraham E. Goldschmidt, curatore del Museo della Società storico-etnografica ebraica, e a Khaykl Lunski, responsabile della Biblioteca Strashun (dal nome della strada che la ospitava).
Ai tre studiosi viene assegnato l’incarico selezionare i libri e i documenti più significativi e di redigere un elenco da consegnare all’Err di Vilnius, competente per tutto il Paese; quotidianamente venivano prelevati dalle loro abitazioni e condotti, sotto scorta, alla ricerca di materiali ebraici. Ma dal 28 luglio non tornano più a casa per proseguire il lavoro giorno e notte nella sede della Gestapo. Il 18 agosto Prylucki viene giustiziato, Goldschmidt muore per le percosse subite, mentre Lunski è rilasciato ai primi di settembre. Una piccola parte del materiale da loro raccolto e selezionato è inviato in Germania, il resto depositato nelle stanze dell’Istituto scientifico ebraico, Yivo in sigla. Ma il saccheggio della memoria ebraica è appena cominciato.
Salvare i libri, la biblioteca del ghetto
Nonostante le inumane condizioni in cui è costretta a vivere, la comunità ebraica non rimane alla finestra, opera subito per mettere in salvo i preziosi materiali. Uno dei protagonisti della missione è il polacco Herman Kruk.
Socialista democratico, Kruk era stato bibliotecario a Varsavia, da dove era fuggito nel settembre del 1939 per rifugiarsi a Vilnius, e pur avendo avuto, nel 1940, la possibilità di emigrare negli Stati Uniti, aveva tuttavia deciso di rimanere in Europa per rintracciare la moglie e il figlio intrappolati nella capitale polacca.
Grazie all’appoggio di un componente del Judenrat, Kruk istituisce nel ghetto grande una biblioteca, raccogliendo e ricatalogando i volumi sfuggiti alla prima razzia. Il 15 settembre 1941 la struttura apre al pubblico. La gente, annota il profugo polacco, «si lancia sui libri come un gregge di agnelli assetati […]. Non riescono ad abbandonare la parola stampata», è nato «il miracolo del libro nel ghetto».
Sono settimane terribili. I tedeschi proseguono il loro schema di occupazione: il 24 ottobre introducono l’Aktion dei permessi gialli, con l’imposizione ai lituani di nuovi documenti personali di riconoscimento, differenti per colore: a) giallo per indicare gli specialisti di valore; b) rosa per i membri delle loro famiglie; c) bianchi per persone ritenute non utili e produttive (vecchi, bambini, disabili). Chi fa parte delle prime due categorie è trasferito nel grande ghetto, mentre gli altri restano nel piccolo da dove, gradualmente, sono prelevati da SS e collaborazionisti lituani e uccisi nella radura di Panery.
Alla fine del mese il ghetto piccolo è completamente liquidato. Alla fine dell’anno rimanevano in vita a Vilnius solo circa 15.000 ebrei nel ghetto grande.
La biblioteca del ghetto era divenuta così un’àncora a cui aggrapparsi per sfuggire alla triste realtà (dal rapporto che Kruk stilerà nell’ottobre del 1942, dopo un anno di attività, gli iscritti risulteranno ben duemilacinquecento, quasi il doppio rispetto al periodo prebellico) [2].
Ben presto Kruk si rende conto di aver bisogno di aiuto, a dargli una mano sono Chaikl Lunski, il bibliotecario della Strashun e Zelig Kalmanovitch, vicedirettore dell’Yivo; Bella Zakheim, responsabile della biblioteca ebraica per bambini di Vilnius; la sua vice, Dina Abramowicz; e il professor Moshe Heller, docente alla scuola per insegnanti yiddish.
Per aumentare il quantitativo di libri, il bibliotecario polacco si adopera per far trasferire i volumi nel Real Gymnasium; inoltre chiede a tutta la popolazione di fornire ogni libro che riesca a reperire.
La risposta è immediata: chi dona gli spiega: «impazzisco, non so dove andare e non ho niente da fare. Dammi da lavorare, non chiedo di essere pagato. Permettetemi di contribuire al vostro sforzo scrupoloso e attento». In poco tempo la zamlen, in ebraico raccolta di volumi e documenti, si arricchisce di volumi e di oggetti rituali.
Alcuni materiali reperiti lasciano a bocca aperta, ad esempio le pareti interne, alte quasi due metri, dell’Arca Santa della Sinagoga Grande, e gli otto orologi appesi nel cortile del tempio che indicavano gli orari delle preghiere e dell’accensione delle candele. Dalle notizie che si hanno l’amministrazione del ghetto mise un camion a disposizione di Herman Kruk e lo aiutò a superare i controlli al cancello.
Un’amara sorpresa
I salvatori di libri non si rendono conto però di essere tenuti sotto stretto controllo dai nazisti; lo comprendono l’11 febbraio 1942, quando tre ufficiali della Err, guidata dal professor Hans Muller, chiedono ai poliziotti del ghetto di condurli in via Strashun: il capo Pohl ha deciso di istituire un altro gruppo di lavoro di uomini di cultura ebrei per vagliare le centinaia di migliaia di libri, documenti e oggetti raccolti nelle stanze dell’Istituto e in altre sedi. La squadra di Kruk, di cui faranno parte anche Lunski della Strashun e Kalmanovitch dell’Yivo, dovrà lavorare per l’unità speciale nazista: suo compito, trasferire per intero la Strashun all’interno della biblioteca dell’Università di Vilnus, eletta sede generale dello smistamento e della selezione dei libri, scegliere i volumi più importanti e rari e spedirli in Germania, a Francoforte «per salvarli lontano dal fronte» si sostiene. Ad aiutarli nell’impacchettare i tomi saranno dodici operai ebrei.
Kurk annota sul suo diario: «Non sappiamo se siamo becchini o salvatori. Se riusciamo a tenere i tesori a Vilnius, potrebbero attribuircene il grande merito; ma se i nazisti portano via la biblioteca, saremo loro complici. Sto cercando di vagliare tutte le ipotesi». Riesce intanto ad ottenere di trasferire i doppioni della biblioteca Strashun in quella del ghetto. Inoltre sottrae tutti i volumi che può e li nasconde in locali poco frequentati o in nascondigli all’interno degli edifici della biblioteca universitaria.
Tuttavia non appena il trasferimento della Strashun giunge al termine, l’avidità nazista si rivela appieno: anche le collezioni dell’Yivo, del Museo An-ski e di varie sinagoghe, dovranno “essere salvate” e sarà proprio il grande edificio che accoglie la biblioteca dell’Yivo a diventare il magazzino dove ammassare tutti i volumi recuperati.
Herman Kruk nel frattempo è riuscito a conquistarsi la stima del vicecapo Err, Muller, e grazie alla nomina di «supervisore del lavoro di smistamento di libri ebraici» ottiene un «permesso a prova di bomba per muoversi liberamente fuori dal ghetto e di essere esonerato dalla perquisizione fisica al cancello», fattori che facilitano il suo lavoro di salvataggio, ogni giorno qualche tomo raro o importante s’aggiunge nella malina (nascondiglio).
Selezionare per salvare.
Nell’aprile 1942 giunge a Vilnius il capo dell’Err per la Lituania in persona: Pohl vuol verificare l’andamento dei lavori, è necessario aumentare il numero dei selezionatori, e perciò implementare la squadra di intellettuali ebrei. Uno dei nuovi reclutati è lo scrittore e poeta Abraham Sutzkever, [3] seguito dal poeta Shmerke Kaczerginski [4], sfuggito alle prime aktion e rifugiatosi nei boschi, ma che adesso s’è reso conto che il luogo più sicuro è proprio il ghetto. L’équipe arriverà a contare venti componenti, tra loro matematici, fotografi, brillanti giovani ricercatori. Ogni mattina, alle nove in punto, i selezionatori si radunano nei pressi del cancello del ghetto e, in fila per tre, marciano a piedi lungo le strade: prendere i mezzi pubblici o camminare sui marciapiedi è vietato agli ebrei.
La Brigata della carta
Eppure, paradossalmente, il gruppo di selezionatori ha “privilegi” inimmaginabili per gli altri correligionari. Le stesse guardie del ghetto lo hanno soprannominato, ironicamente, «la brigata della carta»: il lavoro è privo di fatica, limitato a sfogliare libri in un luogo tranquillo, sicuro e riscaldato. Inoltre la squadra riceve un pasto “abbondante” composto di tè, pane e un uovo o una patata.
Il 27 aprile 1942, da Berlino, il quartier generale dell’Err emana una circolare: «È nostro dovere distruggere le armi spirituali dei nostri nemici filosofici che non servono alla raccolta di materiale da studiare. In molti casi, la distruzione sarà operata da altre agenzie, ma la Einsatzstab deve assumere un ruolo di incoraggiamento e guida. Ciò concerne la disintossicazione delle biblioteche, dei negozi di libri antiquari, degli archivi e delle collezioni artistiche ecc, da libri, documenti, manoscritti, quadri, targhe e film che i nostri nemici filosofici possono sfruttare a proprio favore».
A seguire, l’ufficio Err di Vilnius ordina che i libri ebraici e yiddish «devono essere completamente distrutti, se non ritenuti idonei a essere spediti all’Istituto degli ebrei di Francoforte» e «comunque la quota di testi da inviare non deve superare il 30%, tra questi non vi devono essere libri ebraici scritti in tedesco poiché ne abbiamo già in abbondanza a Riga, anzi a migliaia», lo stesso vale per gli oggetti religiosi. [5] Si impone di catalogare e selezionare tutti i testi della «letteratura avversaria» presenti a Vilnius. In poco tempo giungono all’Yivo libri russi, polacchi, ma anche testi della chiesa evangelica e cattolica presenti nell’intero territorio cittadino. [6]
Kruk e il gruppo di collaboratori rimangono sconvolti, temono per la biblioteca e gli oggetti artistici presenti nel ghetto, sino a quel momento scampati alla depredazione. Si riesce a collocarne una parte in uno scantinato nel centro della città, fuori dal ghetto e quindi al sicuro da eventuali devastazioni. Ma bisogna preservare il più possibile di tutto il resto.
L’arte di contrabbandare libri
Il salvataggio esige delle regole precise: a) mettere da parte solo una copia di ogni libro, lasciando che le altre possono essere destinate al macero o in Germania; b) volumi e oggetti più grandi devono essere nascosti in una zona dell’edificio poco frequentata dai tedeschi, in attesa di poterli recuperare; c) privilegiare i manoscritti perché unici; d) per il materiale archivistico, non potendo metterlo al sicuro per intero, scegliere solo qualche gemma.
Se più difficile risulta asportare e nascondere opere d’arte (quadri e sculture) perché ingombranti, si può tentare con i manufatti di piccolo taglio. Ogni giorno, all’approssimarsi della fine del lavoro, ogni componente della squadra si avvolge libri attorno al corpo, li nasconde nelle intercapedini dei cappotti, infila i più piccoli nelle scarpe.
La squadra si riallinea per tornare nel ghetto, deve poi superare il controllo ai cancelli, dove di solito vi sono guardie ebraiche o lituane che non pongono molta attenzione, anzi chiedono di avere qualche libro per uccidere le lunghe ore di vigilanza.
Ma sempre più spesso a presidiare l’ingresso sono soldati tedeschi e SS, che pretendono un’ispezione seria e rigorosa. Così la brigata decide di nascondere i testi all’interno dell’Yivo, nei sotterranei e nelle assi del pavimento dell’attico, beffando gli occupanti.
I libri come armi silenziose
Il lavoro di resistenza della brigata della carta attira l’interesse della Fareynikte partizaner organizatsye (Fpo), l’Organizzazione unitaria partigiana costituitasi nel ghetto, guidata dal comunista Yitzhak Wittenberg. Nel giugno 1942 l’Fpo tenta di assemblare una mina, ma non sapendo assolutamente come fare chiede aiuto a due operai che lavorano nella biblioteca: rovistando tra le cataste di libri russi, si trova un manuale di istruzioni.
Molti componenti della “brigata di carta”, entreranno successivamente della resistenza armata: Shmerke e Sutzkever, Zeleznikow tra i primi.
L’Fpo mette a disposizione per i libri il proprio nascondiglio nel ghetto, al numero 6 di via Shavel: una caverna profonda diciotto metri, alla quale si accede, solo ed esclusivamente, tramite il sistema fognario e due rampe di scale. Nel maggio ’43 l’organizzazione partigiana chiede di contraccambiare: nascondere le armi nella sede dell’Yivo e fornire il denaro per acquistarne di nuove.
La brigata offre i calici di argento di solito utilizzati per le preghiere in occasione delle feste solenni, i puntatori per la lettura della Torah e altri oggetti rituali d’oro e d’argento da fondere.
Dal ghetto alla foresta
Purtroppo l’attività della Fpo è presto scoperta dai nazisti: lo ha rivelato sotto tortura un prigioniero polacco. Chiedono a Jacob Gens, capo del Judenrat, la consegna di Wittenberg. Sono accontentati. Gli altri componenti dell’Fpo provano a reagire, liberano e nascondono il loro compagno ma dietro l’ultimatum dei nazisti sono costretti a cedere. Il 17 luglio il giovane muore in carcere. Secondo la versione fornita dai nazisti si sarebbe suicidato, probabilmente, invece, era stato torturato per fargli rivelare i nomi degli altri componenti della Fpo.
Non contente e timorose di eventuali altre sollevazioni le autorità tedesche pianificano l’eliminazione totale del ghetto.
I primi segnali vengono colti dalla Brigata della carta quando, il 19 luglio, viene ordinato al bibliotecario Kruk di scrivere un rapporto finale sul lavoro condotto dal suo gruppo durante l’intero anno e mezzo di attività, mentre dieci componenti della squadra vengono inviati alla biblioteca Strashun per terminare il lavoro di selezione. Kruk decide di seppellire in contenitori metallici lettere, note, rapporti documentanti la vita condotta dagli ebrei nel ghetto insieme a suoi diari. I giorni trascorrono nel tentativo febbrile di salvare altri volumi, nella consapevolezza che la fine ormai è prossima: il 1° agosto 1943 il ghetto viene sigillato e nessuno può più uscirne.
Il 10 agosto la brigata è autorizzata a recarsi all’Yivo per completare il lavoro, ma nemmeno due settimane dopo, il 23, arriva la comunicazione: quello è l’ultimo giorno. La notizia viene accolta da Zelig Kalmanovitch, direttore dell’Yivo, con una speranza: «Il nostro lavoro sta giungendo al termine. Migliaia di libri saranno gettati via come spazzatura e presto i volumi ebraici saranno liquidati. Qualsiasi cosa riusciamo a nascondere si salverà, con l’aiuto di Dio. La ritroveremo quando torneremo da uomini liberi».
La mattina del primo settembre, la polizia tedesca e quella estone circondano il ghetto e sguinzagliano gli uomini all’interno del perimetro con il chiaro intento di rastrellare il maggior numero di persone.
I partigiani dell’Fpo, guidato da Aba Kovner dopo la morte di Wittenberg, considera l’aktion il segnale per la mobilitazione generale e la rivolta, si radunano presso la biblioteca del ghetto, dove insieme ai libri sono nascoste molte armi. Si apprestano a respingere i soldati, cercano di far sollevare la popolazione del ghetto, ma con scarso successo. Donne, uomini, bambini sono disposti a salire sui treni diretti ai campi di concentramento, vogliono credere al trucco adottato dai nazisti, che nei giorni precedenti hanno fatto recapitare lettere di deportati in cui si esaltavano le condizioni di vita.
Il 4 settembre il capo partigiano Kovner decide di fuggire con i suoi uomini, per provare a raggiungere la foresta, lasciare il Paese e unirsi ai partigiani sovietici.
Ci riescono Shmerke, Sutzkever e sua moglie che lasciano il ghetto il 12 settembre pur a malincuore, temendo che i nazisti trovino nella dozzina di nascondigli tutti i libri e i tesori culturali stipati: tra le opere anche un dipinto di Chagall, lettere e manoscritti di Tolstoj e Gor’kij, del poeta Chaim Nachman Bialik. Il ghetto viene definitivamente liquidato il 23 settembre 1943. Dei residenti una parte è inviata ai campi di lavoro in Estonia (tra loro anche Zelig Kalmanovich, che morirà a Vaivara nel 1944); diverse migliaia sono destinate al lager di Treblinka; gli anziani e gli infermi invece al “Ghetto numero 3”, come sarcasticamente viene indicata la radura di Panery. Tra questi c’è il sessantaduenne Chaikl Lunski: il bibliotecario della Strashun con altre persone aveva provato a trovare rifugio in una cantina, ma il 4 ottobre sono sco perti e condotti nella prigione della Gestapo, qui scrive il suo grido di vendetta «Siamo diretti a Panery. Vendicate il nostro sangue!». Il 6 ottobre sono tutti giustiziati.
Herman Kruk viene destinato dapprima al campo di Klooga, «la metropoli dei campi Ebraici» come lo definisce nei diari, adibito ad asfaltare strade e costruire baracche. Ben presto s’aggrega al PG (Gruppo Partigiano) che fornisce cibo e medicine ai più malati e bisognosi, promuove attività culturali e reperisce armi in vista di una rivolta. Il bibliotecario polacco continua ad annotare tutto nei diari. Il 22 agosto 1944, con altri cinquecento altri detenuti è trasferito nel campo di Lagedi: le condizioni sono peggiori, mancano i letti, bisogna dormire a terra, non ci sono servizi igienici. La speranza è che l’Armata rossa arrivi presto. C’è la percezione, seppur pallida, che i tedeschi siano in difficoltà.
Il 17 settembre, è il capodanno ebraico, i nazisti caricano i prigionieri su camion verso «condizioni migliori e più adeguate» (in maggioranza in Polonia, nei lager di Stutthof e di Auschtwitz). Solo due uomini restano nelle baracche, uno di costoro sa dove sono nascosti i diari di Kruk e lo rivelerà ai russi che liberano il campo di Lagedi il 19 settembre. Ma Kruk è già morto. Si saprà che il giorno prima è stato assassinato con altri deportati. Li hanno divisi in gruppi di dieci persone, è stato loro ordinato di spogliarsi, trasportare una piattaforma di legno e di sdraiarvisi a faccia in giù. Sono stati ammazzati con un colpo alla nuca. Sui loro cadaveri altri condannati hanno dovuto piazzare una seconda piattaforma e il copione della morte si è ripetuto, e così di seguito altre esecuzioni e altre piattaforme. Infine i nazisti hanno cosparso di benzina la pira e appiccato il fuoco. Il massacro di Lagedi cominciò alle undici del mattino per concludersi solo alla sera.
Epilogo
Il 90% degli ebrei lituani non sopravvisse alla Shoah. Alla fine del conflitto, l’unità “Monumenti, belle arti e manufatti” dell’esercito statunitense, in una città nei pressi di Francoforte, trova 465 casse abbandonate, vi trovano materiali appartenenti all’Yivo e altre biblioteche ebraiche e le consegnano alla sede principale dell’Istituto, a New York. Nessuna traccia invece delle opere messe in salvo nel ghetto di Vilnius.
Nel novembre 1988, l’ottantenne bibliotecaria dell’Yivo newyorchese entra nell’ufficio del direttore per sottoporgli un articolo della rivista russa yiddish Sovetish Heymland. La donna è Dina Abramowicz, ex collaboratrice di Kruk, che è riuscita a scampare alla deportazione fuggendo nei boschi, poi si è unita alla resistenza e nel dopoguerra è emigrata negli Stati Uniti. La donna è emozionata: nell’articolo si parla della scoperta a Vilnius di 20.705 libri ebraici e yiddish ritrovati nella Camera del libro della Repubblica socialista di Lituania. I tesori nascosti nella biblioteca del ghetto dalla Brigata della carta si sono salvati! Siamo alla vigilia della glasnost e il direttore dell’Istituto di ricerca ebraico tratta con l’Urss e la Repubblica lituana per poter acquisire la straordinaria collezione di opere. Il governo di Vilnius non vorrebbe cederla perché è il simbolo dell’eredità del ghetto e della cultura ebraica locale ma non c’è più nessuno in Lituania capace di leggere e interpretare quei reperti. Nel dicembre 1994 si giunge all’accordo, da allora i libri della Brigata della carta sono a New York per continuare a testimoniare la memoria di un’intera comunità.
Stefano Coletta, insegnante
Bibliografia:
- David Fishman, Quei piccoli grandi eroi che salvarono i libri, Newton Compton, 2016.
- Mark Glickman, Stolen Words: The nazi plunder of Jewish books (Parole rubate: il saccheggio nazista dei libri ebraici), Università del Nebraska, 2016
- Nadia Balesi, Il paradigma nazista dell’annientamento: la shoah e gli altri stermini: atti del quarto seminario sulla didattica della Shoah, Bagnacavallo, 13-15 gennaio 2005, a cura di Alessandra Chiappano e Fabio Minazzi, La Giuntina, 2006
[1] Le esecuzioni di massa, a intervalli, si ripeteranno fino al settembre ’44 quando il ghetto viene soppresso e tutta la sua popolazione deportata.
[2] Secondo i dati il 26,7 % aveva meno di quindici anni, e il 36,7% un’età compresa tra i quindici e i trent’anni. I residenti del ghetto chiedevano in prestito per lo più romanzi: la narrativa costituiva il 78,3 % dei prestiti, la letteratura per l’infanzia il 17,7 %, e la saggistica il 4 %.
[3] Abraham Sutzkever (Smorgon, 15 luglio 1913 – Tel Aviv, 20 gennaio 2010) sopravvissuto alla Shoah è stato considerato dal New York Times il più grande poeta dello sterminio. Le sue poesie sono state tradotte in 30 lingue. Lo scrittore Luis Sepulveda nel suo romanzo «Le rose di Atacama» scrive: «Non ho mai incontrato il poeta ebreo Avrom Sutzkever, ma un volumetto dei suoi versi tradotti in spagnolo mi segue ovunque io vada. Ammiro chi resiste, chi ha fatto del verbo resistere carne, sudore, sangue, e ha dimostrato senza grandi gesti che è possibile vivere, e vivere in piedi, anche nei momenti peggiori».
[4] Shmaryahu “Shmerke” Kaczerginski (Vilnus 28 ottobre 1908 – 23 aprile 1954) è stato un poeta, musicista, scrittore e attivista culturale. Di ispirazione comunista nel dopoguerra fonderà il primo museo ebraico post-olocausto in Europa.
[5] Trecento rotoli della Torah razziati sono venduti a una fabbrica di pelle locale, che usa la pergamena per riparare le suole degli stivali dell’esercito tedesco; l’idea del riciclo viene da Albert Sporket, un mercante di bestiame e pellame con conceria a Berlino, chiamato a Vilnus per supervisionare i lavori della Brigata.
[6] La biblioteca della Madonna della Porta dell’Aurora (in polacco: Ostra Brama), non lontano dall’icona della Vergine Maria, che secondo i credenti ha compiuto numerosi miracoli. La Brigata riesce a mettere al sicuro cinquecento volumi di letteratura cristiana omiletica.
Pubblicato venerdì 6 Marzo 2020
Stampato il 16/10/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/storia/la-brigata-della-carta/