Il 4 giugno 1944 Roma era libera. Diveniva così la prima capitale europea dell’Asse a cacciare i nazifascisti. Due giorni dopo, il 6 giugno 1944, che diverrà noto come il D-Day (decision day, nel gergo militare) o “Il giorno più lungo” come lo chiamò il feldmaresciallo Erwin Rommel (e in seguito lo storico irlandese Cornelius Ryan nel suo libro [1] successivamente trasposto in un film con l’omonimo titolo), le Forze Alleate lanciarono un assalto combinato navale, aereo e terrestre contro la Francia occupata dai nazisti.

Nome in codice “Operazione Overlord”, lo sbarco alleato sulle coste della Normandia rappresentò l’inizio di una lunga campagna per liberare il nord-ovest dell’Europa dal tallone tedesco. La decisione sulla data era stata presa alla Conferenza di Teheran, nome in codice “Eureka”, che dal 28 novembre al 1° dicembre 1943 vide per la prima volta la presenza contemporanea dei “Tre Grandi”: il presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt; il premier britannico Winston Churchill; il presidente dell’Unione Sovietica Iosif Stalin.

Joseph Stalin, Franklin D. Roosevelt e Winston Churchill sotto il portico dell’ambasciata sovietica durante la Conferenza di Teheran

Alla Conferenza si stabilì l’appoggio ai partigiani di Tito in Jugoslavia, l’Urss si impegnò a dichiarare guerra al Giappone e si decise che entro la metà del 1944 si sarebbe aperto il secondo fronte in Occidente, lo sbarco in Francia, dopo quello aperto in Italia nel luglio 1943. Nel comunicato conclusivo della conferenza, i “Tre Grandi” affermarono: «Siamo venuti qui con speranza e determinazione, ce ne andiamo amici, nei fatti, nello spirito e nei propositi».

Stalingrado. Si arrivò a combattere casa per casa

L’Urss aveva invocato fin dal 1942 l’apertura di un secondo fronte da parte degli Alleati per alleggerire la pressione tedesca sul fronte orientale, dove sosteneva dall’Operazione Barbarossa (l’invasione nazifascista) spaventose perdite umane e materiali. Emblematica la Battaglia di Stalingrado, tra l’estate ’42 e il 2 febbraio ’43. Determinante per le sorti della Seconda guerra mondiale contò perdite altissime per gli aggressori ma i sovietici lasciarono sul campo ben 500.000 tra morti e dispersi, oltre a 650.000 feriti.

Truppe dell’esercito americano accovacciate dietro le murate di una nave da sbarco in avvicinamento a Omaha Beach il giorno del D-Day. Foto della Guardia Costiera statunitense scattata dal Capo Fotografo Robert F. Sargent

L’Operazione Overlord cominciò nella notte tra il 5 e il 6 giugno 1944 con lo spostamento delle truppe alleate dalle coste meridionali dell’Inghilterra verso le spiagge normanne francesi, che in codice si chiamavano “Juno”, “Sword”, “Omaha”, “Utah”, “Gold”: un fronte di circa 60 km dinnanzi a Caen, tra la foce dell’Orne e la punta dello Hoc. Riguardo al lavoro preparatorio dello spostamento delle truppe, Winston Churchill lo definì «l’operazione più difficile e complessa che abbia mai avuto luogo» e nelle sue memorie scrisse: «la più grande Armata che abbia mai salpato dalle nostre coste, puntò, in un convoglio interminabile, protetta da ogni lato dalle potenti marine e aviazioni alleate, verso le coste della Francia […]. L’ora decisiva era finalmente giunta e la sorte della tirannide nazista segnata».

Un momento dello sbarco

Dalle coste meridionali dell’Inghilterra partirono 21 convogli americani e 38 anglo-canadesi, per un totale di più di 6.483 unità che trasportavano 2.000 mezzi da sbarco, scortati da 9 corazzate, 23 incrociatori e 104 cacciatorpediniere. Le truppe alleate erano composte da: 1.700.000 soldati americani; 1.000.000 tra soldati inglesi e canadesi; circa 300.000 tra francesi, polacchi, belgi, olandesi, norvegesi e cecoslovacchi. A disposizione avevano circa 2 milioni di tonnellate di materiale, e 50 mila fra carri armati, semicingolati, autoblindo, autocarri e veicoli.

Il feldmaresciallo Rommel ispeziona il Vallo Atlantico

Il sistema difensivo tedesco lungo il “Vallo Atlantico”, era stato predisposto dal feldmaresciallo Erwin Rommel [2], che per le sue vittorie in Nord-Africa si era guadagnato l’appellativo di “volpe del deserto”. Dopo la sconfitta di El Alamein e la ritirata, comandò il Gruppo d’armate in Italia fino a quando non fu richiamato per organizzare la difesa lungo il “Vallo Atlantico”. Nel sistema di fortificazioni Rommel impiegò 500mila uomini. Inoltre erano pronte a intervenire 10 divisioni corazzate, che però si trovavano troppo lontane dalla costa. Per quanto riguarda le aviazioni, gli Alleati avevano 3 mila bombardieri e 5 mila caccia, mentre i tedeschi 320. Il comandante supremo dell’operazione era il generale statunitense Dwight Eisenhower, mentre il comando tattico era affidato al generale britannico Bernard Law Montgomery.

Inizialmente lo sbarco sarebbe dovuto avvenire prima ma, a causa delle pessime condizioni metereologiche, Eisenhower decise per un rinvio di 24 ore. Il 6 giugno la bassa marea prevista nelle prime ore del mattino e il tardivo sorgere della luna era in grado di favorire l’atterraggio degli alianti e il lancio dei paracadutisti. Tra l’altro proprio il 6 giugno, al momento dello sbarco, Rommel non era in Francia bensì in Germania per festeggiare il compleanno della moglie.

L’attacco cominciò il 6 giugno alle ore 3.14 del mattino, con il bombardamento aereo delle difese costiere tedesche, e pochi minuti dopo avvenne lo sbarco dei paracadutisti alleati che avevano la missione di scardinare il sistema logistico tedesco. Due ore dopo iniziò il cannoneggiamento navale alleato, mentre alle ore 6.30 iniziò lo sbarco della prima ondata di invasione, e i primi soldati a mettere piede sulle coste francesi furono americani. Hitler venne avvertito dell’invasione in tarda mattinata, mentre Rommel raggiunse la zona delle operazioni solo nel pomeriggio. Tuttavia i nazisti erano ancora convinti che non si trattasse dell’offensiva principale degli Alleati che attendevano da mesi, e questo errore favorirà la riuscita dell’“operazione Overlord”. Hitler richiese di cacciare gli Alleati in mare “entro la notte”, tuttavia a causa di un suo assoluto divieto le divisioni corazzate dislocate in altri settori non furono dislocate in tempo nella zona dello sbarco e quindi gli Alleati non furono cacciati in mare. La sera del 6 giugno circa 160mila soldati erano sbarcati in Francia e anche se gli obiettivi erano stati solo parzialmente raggiunti, il D-Day [3] per gli Alleati poteva essere considerato un successo.

In merito alle perdite subite, la maggior parte degli storici militari concorda nel ritenere che il totale delle perdite alleate ammontò a 10mila uomini, mentre altri ritengono che la cifra più corretta sia quella di 12mila uomini. Le vittime americane furono le più consistenti con 6.603 vittime, di cui 1.465 morti, 1.928 dispersi, 3.184 feriti, e 26 prigionieri. I canadesi ebbero 946 vittime, di cui 335 morti. Gli inglesi tra le 2.500 alle 3.000 perdite, di cui 650 morti. Le cifre delle perdite tedesche variano fra le 4mila alle 9mila; tuttavia, Rommel a fine giugno dovendo comunicare le perdite del mese scrisse che le perdite erano state di: «28 generali, 354 comandanti e circa 250.000 uomini». Chiaramente Rommel si riferiva alle perdite dell’intero mese di giugno, che quindi prendeva in considerazione molte altre battaglie oltre a quelle che si erano svolte nel corso del D-Day.

Dopo il D-Day, la guerra continuò a essere durissima sul fronte occidentale (in Italia sarà l’anno delle stragi nazifasciste di Sant’Anna di Stazzema e Marzabotto, solo per ricordare quelle con più numero di morti), ci vorranno quasi altri tre mesi per liberare Parigi, ma senza il logoramento della potenza armata tedesca provocato dalle battaglie di Mosca e Stalingrado, gli Alleati avrebbero affrontato ostacoli ben più duri.

Andrea Vitello, storico e scrittore, autore, tra gli altri, del libro “Il nazista che salvò gli ebrei. Storie di coraggio e solidarietà in Danimarca”, pubblicato da Le Lettere con prefazione di Moni Ovadia


Fonti: C. Ryan, Il Giorno Più Lungo, 6 Giugno 1944: Il D-Day, Rizzoli editore, Milano 2016; S. E. Ambrose, D-Day Storia Dello Sbarco In Normandia, Rizzoli editore, Milano 2016; Seconda Guerra Mondiale Storia Illustrata, Giunti Editore, Firenze 2018; J. Lopez, N. Aubin, V. Bernard, Infografica Della Seconda Guerra Mondiale, L’ippocampo editore, Milano 2019; E. Biagi, La Seconda Guerra Mondiale Parlano I Protagonisti, Rizzoli editore, Milano 1992.

Note

[1] Il titolo del libro pubblicato per la prima volta nel 1959 è “Il giorno più lungo, 6 giugno 1944: Il D-DAY “, mentre il titolo del film tratto proprio dal libro e uscito nel 1962 è “Il giorno più lungo”. Quest’ultimo nel 1963 vinse due Premi Oscar nella categoria migliore fotografia e migliori effetti speciali, sempre lo stesso anno vinse il Golden Globe per la categoria migliore fotografia e il David di Donatello nella categoria miglior film straniero.
[2] Nel luglio 1944 venne ferito da un attacco aereo alleato, e dopo il fallito attentato ad Adolf Hitler, del 20 luglio dello stesso anno, accusato di aver preso parte al complotto fu costretto al suicidio.
[3] Ci vollero 18 mesi agli Alleati per riuscire a superare il blocco dell’Atlantico. La vittoria sugli U-BOOT, nella primavera del 1943, apri le rotte ai corpi di sedizione Alleati. Dal 1944 l’aviazione liberò il cielo dalla Luftwaffe tedesca. Inoltre gli Alleati vinsero anche la battaglia dei servizi segreti, infatti ingannarono i tedeschi, che concentrarono le forze al nord della Senna, con l’operazione Fortitude. Da non sottovalutare la competenza logistica anglo-americana che assicurò una notevole superiorità immediata agli Alleati.