Nell’opera “Massime e riflessioni”, Goethe commenta, in modo sferzante, che «nulla è più terribile di un’ignoranza attiva». Era il 1833, e da allora sono trascorsi un secolo e ottantasei anni. Eppure, leggendo quella frase, la mente corre subito alla realtà di oggi: sono parole che si attagliano, perfettamente, alla politica italiana e alle sue sceneggiate. D’altronde, che si tratti di un talk show o di una diretta social (le tribune elettorali che ormai vanno per la maggiore), non si può non notare come l’ignoranza venga sbandierata, quasi fosse una virtù. Pressappochismo, faciloneria, arroganza la fanno da padroni, e così accade che questioni serie e complesse siano affrontate non con lo studio e l’approfondimento necessari, bensì semplicemente…“ringhiando”.

Va da sé che, su questa china, qualsiasi idiozia è “lecita”, purché la si proclami facendo la voce grossa e lo sguardo truce. Vale, in modo particolare, per il tema delicato delle migrazioni, dove i pregiudizi xenofobi e gli stereotipi razzisti sono ormai sdoganati, nell’affanno delle rincorse elettorali. Per acchiappare i voti di un elettorato sempre più svogliato e disgustato da quella politica, si fa propaganda sulla pelle dei migranti (purtroppo anche su donne incinte e bambini, abbandonati in mezzo al mare) e si distorce continuamente la realtà.

Contro tutto ciò, esiste però un antidoto; parafrasando il passo di Goethe, pensiamo che si possa e si debba contrastare l’«ignoranza attiva» facendosi portatori di una conoscenza attiva: un impegno in prima persona per riflettere e per controbattere al razzismo, smascherandone le menzogne. È questo il messaggio che vogliamo trasmettere alle centinaia e centinaia di persone che visitano i locali della Casa dello Studente di Genova, le sue celle e il “sotterraneo dei tormenti”, rivolgendoci in modo particolare alle giovani generazioni.

Per quanto concerne la storia dell’edificio e dei partigiani che tra le sue mura soffrirono e vennero assassinati, ne abbiamo già trattato in un precedente articolo (link), pubblicato sempre su questa testata. Per chi volesse approfondire l’argomento, il punto di riferimento resta la ricerca di Luigi Barco e Piero Ferrazza, edita da Pantarei: “La Casa dello Studente di Genova. Una pagina della Resistenza”. Quanto vogliamo sottolineare, in questa occasione, è il rinnovarsi di un impegno che, di anno in anno, si arricchisce di esperienze e di occasioni di incontro, grazie alla volontà dell’Anpi provinciale e del Centro di documentazione “Logos”, in collaborazione con Aliseo, agenzia ligure per lo studente e l’orientamento.

Un momento della cerimonia alla facoltà di Ingegneria. Foto di Giorgio Scarfì

Da questo punto di vista, possiamo dire che l’agenda della Casa dello Studente-Museo della Resistenza Europea è stata, nel 2019, davvero fitta di appuntamenti. A partire da quello di mercoledì 10 aprile, giornata in cui si è svolta l’inaugurazione di una mostra dedicata alla Resistenza operaia a Berlino, e intitolata “«Basta con Hitler–Mettere fine alla guerra». L’organizzazione Saefkow-Jacob-Bästlein”. A curarla è stato il VVN-BdA, l’unione dei perseguitati e dei deportati del regime nazista, mentre la traduzione dei testi, per la prima volta disponibili in lingua italiana, è opera del Centro Filippo Buonarroti di Milano, che ha pure il merito di aver pubblicato un minuzioso catalogo.

La mostra ha suscitato grande interesse e curiosità, anche sulle pagine della stampa cittadina. Ciò, del resto, è comprensibile, perché il materiale esposto ci racconta una pagina di storia ancora poco conosciuta: la Widerstand, la lotta antinazista in Germania. In Italia è infatti prevalsa, a lungo, la vulgata secondo cui vi sarebbe stata piena identità tra il regime hitleriano e i tedeschi, descritti in toto come un popolo succube e persino complice dei crimini del nazismo. Si tratta di una rappresentazione distorta: nelle fabbriche del Terzo Reich vi fu, anzi, una fiera opposizione al Führer, con centinaia di migliaia di donne e uomini che pagarono con la vita per la loro militanza.

Tra questi combattenti citiamo uno dei capi dell’organizzazione berlinese, il comunista Anton Saefkow, arrestato e ghigliottinato dai boia nazisti, nel settembre del 1944, nel Penitenziario di Brandeburgo. Sua figlia, Bärbel Schindler-Saefkow, tra le fondatrici e dirigente del VVN-BdA, era presente all’inaugurazione della mostra; ha raccontato a un pubblico numeroso le tragiche vicende della sua famiglia e l’opera che l’associazione oggi svolge. C’è da augurarsi che la mostra, con il materiale fotografico e i documenti d’archivio che offre ai visitatori, contribuisca a squarciare la coltre di silenzio che, troppo a lungo, ha avvolto la vita e la morte di quei resistenti.

Un volantino

Questa iniziativa, poi, ha avuto dei riflessi inattesi: ha infatti ispirato una collaborazione con gli studenti del liceo linguistico “Deledda”. Ne è nato un lavoro di cui i ragazzi possono senz’altro essere fieri: la traduzione in italiano, sotto la supervisione delle docenti Antonella Pratali e Katharina Stockert, di alcuni manifesti e volantini diffusi proprio dagli antinazisti tedeschi. È un materiale assai vasto e vario: si va, per esempio, dai ciclostilati alle scritte a mano; sul fronte dei contenuti, invece, ci sono testi di denuncia lunghi e articolati, fogli di semplici slogan che chiamano alla lotta, vignette satiriche e persino strofe.

Un altro volantino

Dei volantini, tra l’altro, si possono apprezzare le sottigliezze escogitate per sfuggire ai controlli e alla repressione: da quelli di piccolo taglio, facili da nascondere nella tasca della giacca, ai testi astutamente camuffati da annunci pubblicitari. Per quanto riguarda le organizzazioni che hanno prodotto e diffuso quei documenti, possiamo ricordare il Friedensfront, il Fronte della Pace, e il K.P.D., il partito comunista; ancora, ci sono gli appelli delle donne contro la guerra e i proclami dei gruppi di tedeschi residenti all’estero. Infine, vi è un comunicato congiunto della Rote Sportinternationale (l’Internazionale dello sport rossa) e della Sozialistiche Arbeiter-Sportinternationale (l’Internazionale dello sport dei lavoratori socialisti) per invitare «gli atleti di tutto il mondo» a boicottare le Olimpiadi di Berlino del ‘36.

Buona parte di questo materiale (copia degli originali e relativa traduzione) è stata riprodotta su due pannelli, che sono stati esposti nella Casa e hanno così arricchito la mostra del VVN-BdA. Da parte del Centro di documentazione “Logos”, è un piccolo omaggio a una battaglia titanica; un omaggio doveroso, nel Museo della Resistenza Europea, i cui locali sono dedicati proprio a un tedesco, l’operaio della Siemens e militante comunista Rudolf Seiffert.

L’incontro con Giordano Bruschi. Foto di Giorgio Scarfì

Giovedì 11 aprile, invece, gli studenti di alcuni licei e istituti genovesi hanno conversato con Giordano Bruschi, il partigiano “Giotto”, che ebbe modo di conoscere personalmente Giacomo Buranello, combattente antifascista assassinato settantacinque anni fa. Con toni appassionati, Bruschi ha portato ai ragazzi la sua testimonianza eccezionale, rievocando anche il suo primo incontro col capo partigiano, all’epoca studente universitario già passato per la dura esperienza del carcere. Il luogo in cui avvenne tale incontro fu la biblioteca di Sampierdarena, nel Ponente cittadino, dove un giovanissimo Bruschi, insoddisfatto dei «racconti su Adamo ed Eva», avidamente cercava risposte nella lettura di Darwin; si imbatté in Buranello, e di riflesso nei libri di Marx e di Engels. È così, ricorda Bruschi, che «Giacomo divenne il maestro, il consigliere, il suggeritore per le originali tenzoni che si svolgevano in classe con l’insegnante di religione».

Nell’incontro ci si è poi soffermati su diversi passi del “Diario 1937-1939” di Buranello, pubblicato nel 1994 sulla rivista dell’Ilsrec (Istituto ligure per la storia della Resistenza) Storia e memoria e riedito proprio quest’anno, per gentile concessione dell’Istituto e su impulso dell’infaticabile Bruschi, per i tipi dei Fratelli Frilli. Sono pagine davvero intense, che ci restituiscono un vivido ritratto del loro autore, allora studente di liceo. Ne emerge un ragazzo curioso ed entusiasta, un orgoglioso figlio della classe operaia che disprezza la cappa di retorica, di servilismo e di vigliaccheria che pesa sul mondo della scuola. «Lo spettacolo più doloroso», appuntava nel 1939, «è vedere come tutti s’ingegnino a tirare avanti: tutti si lamentano (sottovoce per paura d’essere uditi); nessuno trova la forza di ribellarsi». Quella forza lui, invece, la troverà. Terminati gli studi liceali, si iscrive alla Facoltà di Ingegneria, ma non si arrende al regime che irreggimenta i cervelli. La sua mente non si ferma, continua a interrogarsi sul presente e a riflettere sul futuro. Lo studio slegato dalla pratica ormai gli sembra un orizzonte stretto; la “carriera” del semplice studente non fa per lui, perché una vita senza lotta, senza passione, è una vita da schiavi, che non soddisfa le sue aspirazioni. D’altronde, ancora nel diario, diciottenne, aveva scritto che «occorre trasformare il pensiero e i sentimenti in azione». Nella vita e nella morte, Buranello rimane fedele a questo convincimento.

Tovaglietta-sottopiatto in omaggio a Buranello, realizzata dall’artista Setsuko in collaborazione con la mensa della Casa. Per l’occasione la mensa ha preparato un risotto con fiori eduli

È un insegnamento da tenere ben stretto, a maggior ragione nel momento in cui c’è chi, senza pudore, si mette a fare i “conti della serva” sul 25 Aprile. Uno spettacolo vergognoso, a cui purtroppo abbiamo assistito a Genova, dove i rappresentanti di un Municipio, quest’anno, hanno deciso di andare al risparmio sulle corone per i partigiani. La scelta è stata persino argomentata, affermando che ormai, a quelle cerimonie, «non partecipa nessuno». Ma la cosa più inaccettabile è che, tra le corone cadute sotto l’accetta della “spending review” – risparmio previsto: qualche centinaio di euro! –, c’era anche quella per Buranello. Ossia la corona d’alloro che ogni anno viene deposta nell’aula magna della Scuola Politecnica, aula intitolata proprio al partigiano, che sedette sui banchi di quella facoltà. Insomma, nel 75° della morte, gli si voleva negare il doveroso omaggio; la risposta a tale affronto non si è fatta attendere, e la cerimonia si è comunque svolta, in un’aula gremita, per iniziativa del Centro di documentazione “Logos” e dell’Università degli Studi di Genova, con la presenza del Magnifico Rettore Paolo Comanducci e del vescovo ausiliare monsignor Nicolò Anselmi.

Pensiamo che la giusta risposta a quelle parole infelici, pronunciate da alcuni amministratori, sia andare avanti su questa strada: organizzando incontri in sale che, alla prova dei fatti, risultano tutt’altro che vuote. Con l’intento soprattutto di incontrare e parlare ai tanti giovani che hanno voglia di conoscere il passato: come quelli che hanno ascoltato, con interesse ed entusiasmo, i racconti del partigiano “Giotto”. Segnaliamo poi un ulteriore momento che ha caratterizzato questo incontro nella Casa. L’artista e performer Setsuko, con cui già abbiamo avuto modo di collaborare lo scorso anno, ha voluto ricordare Buranello con un’installazione artistica che si sviluppa nelle celle e nel sotterraneo, e i cui “protagonisti” sono decine di libri. Tra le pagine, l’artista ha inserito dei fiori che ha raccolto al Forte di San Giuliano, dove si dice che sia stato fucilato il giovane partigiano.

Elenchiamo, rapidamente, gli altri appuntamenti di quest’anno. C’è stato l’incontro con Massimo Bisca, presidente dell’Anpi provinciale genovese, che ha affrontato un argomento ancora poco indagato: il contributo dei combattenti russi nella Resistenza in Liguria. Un tema che, al pari della mostra su Berlino, è stato un’occasione, per i molti studenti presenti, per riflettere sul senso profondo dell’esperienza partigiana: un moto che ha accomunato donne e uomini, al di là dei confini nazionali, nella lotta contro un comune nemico, la barbarie della guerra. Poi Manuela Dogliotti, della Cooperativa “Un’altra storia” Coronata Campus, è intervenuta in un incontro significativamente intitolato “Antifascismo = Accoglienza”; e infine Daniele Borioli, presidente dell’associazione Memoria della Benedicta, ha rievocato la storia della terribile strage.

Concludendo la nostra riflessione, riteniamo che sia opportuno soffermarci, brevemente, sull’equazione tra antifascismo e accoglienza. Su questo fronte, la strada da percorrere è senz’altro ancora lunga, ma i segnali sono positivi e ci spronano a proseguire. Nelle numerose iniziative che Anpi e “Logos” hanno organizzato su questo tema, non solo alla Casa ma anche direttamente nelle scuole, emerge un dato importante. Lo ricorda Domenico Saguato, presidente di “Genovasolidale”: «c’è un terreno fertile per i semi della solidarietà e dell’impegno nelle giovani generazioni», una constatazione che può «portare un po’ di luce negli animi sconfortati di molti adulti travolti e annichiliti da un pessimismo politico che spesso diventa pessimismo antropologico».

Tutto ciò fortifica le nostre convinzioni: tenere viva la memoria è senz’altro un compito sacrosanto, un dovere a cui mai ci sottrarremo, così come non ci tiriamo indietro dal confronto con le forze politiche che, per malafede o semplice ignoranza, sviliscono i valori della Resistenza. Ma quello è, di per sé, un impegno che da solo non ci sembra sufficiente. La Casa dello Studente, ex luogo di torture, oggi è un museo; ma sappiamo che, sparse per il mondo, ci sono tuttora tante “Case dello Studente”, dove vengono perpetrate le peggiori atrocità.

D’altronde, per averne conferma, non bisogna guardare troppo lontano da casa nostra; basti pensare ai lager nel deserto libico (che, con un cinismo mostruoso, vengono definiti “campi di accoglienza”), riservati a donne e uomini la cui sola colpa è sognare un futuro migliore. Laggiù, secondo la denuncia dell’ufficio Onu per i rifugiati, ogni giorno si consumano stupri, omicidi, pestaggi, torture.

Le testimonianze delle vittime di quell’orrore sono agghiaccianti, così come lo sono i racconti di coloro che, tra il 1943 e il 1945, nella Casa di Genova passarono per le grinfie delle SS e delle canaglie repubblichine. Per questo noi oggi torniamo a Buranello e al suo insegnamento: perché trasformare «i pensieri e i sentimenti in azione», come appuntava il giovane studente dai banchi del liceo “Cassini”, è necessità vitale. Bisogna attivarsi, impegnarsi in prima persona, consapevoli del fatto che combattere contro l’indifferenza, senza nulla concedere a xenofobia e razzismo, è l’unico modo per essere antifascisti oggi.

Solo così possiamo diventare partigiani del nostro tempo.

Luca Sansone e Giacomo Lertora, Centro di documentazione “Logos”