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Impeachment, alla fine. Ci ha messo cinque giorni, ma l’America democratica ha risposto all’assalto squadrista in Campidoglio chiedendo di votare la messa in stato d’accusa di “Donald John Trump, Presidente degli Stati Uniti, per gravi crimini e violazioni”. Nessun presidente americano è mai stato destituito da un impeachment. Ma nessun presidente aveva mai lanciato un attacco contro il parlamento.

L’assalto a Capitol Hill

Quattro pagine bastano a spiegare gli high crimes e i misdemeanors – qualcosa più di infrazione e qualcosa meno di reato – di cui è accusato Trump. “Per avere, il giorno 6 gennaio, tenuto un comizio al parco Ellipse a Washington, Dc e aver fatto dichiarazioni che hanno incoraggiato, e prevedibilmente hanno avuto come esito, azioni illegali al Campidoglio, dichiarazioni come “se non vi batterete come l’inferno, potreste non avere più un Paese”.

Il presidente eletto Joe Biden e la fice presidente eletta Kamala Harris (Imagoeconomica)

L’elezione infinita di Usa 2020 non ha ancora un epilogo. Dopo l’interminabile serie di ricorsi contro i risultati elettorali – sessanta, tutti persi – e dopo l’inaudita e violenta aggressione a Capitol Hill per impedire la proclamazione del vincitore Joe Biden, adesso è l’ora di decidere se Donald Trump potrà avere un futuro politico o no – se la democrazia americana come la conosciamo potrà avere un futuro. Un futuro interno alla cornice legale, almeno, perché un futuro in senso lato Donald Trump ritiene di averlo già.

Capitol Hill, la vigilanza impugna le armi per difendere i parlamentari durante l’assalto a Capitol Hill

È fondato sui 74 milioni di voti che ha preso alle elezioni, sull’ampia percentuale di quegli elettori che continuano a dirsi convinti di aver fatto bene a votarlo, sulle decine di migliaia di aderenti alle milizie che il Dipartimento alla Sicurezza interna ritiene la più grave minaccia terroristica presente oggi negli Stati Uniti, e che tutto il mondo ha visto all’opera nei corridoi oltraggiati del Campidoglio. Troppa gente per poterla liquidare come il frutto velenoso dell’incontro tra un mentitore seriale e una feccia scarsamente alfabetizzata che vive nella realtà alternativa delle fake news.

Pennsylvania Avenue durante la manifestazione che ha preceduto l’attacco a Capitol Hill

La mattina del 6 gennaio Donald Trump ha gettato per l’ennesima volta il suo destino nel piatto, e ha preso posto su un podio improvvisato all’Ellipse Park, un piccolo giardino su Pennsylvania Avenue – la lunga strada del potere americano, che ha un vertice alla Casa Bianca e l’altro a Capitol Hill.

Un comizio infuocato in cui aveva invitato i suoi fedeli, ammassati a migliaia nei pressi del Campidoglio, a “marciare sul parlamento” che doveva proclamare il vincitore delle elezioni, e portare la loro forza in aiuto di deputati e senatori weak, deboli, invitando ogni accolito a “combattere come l’inferno” perché “abbiamo vinto noi, a valanga”.

Mike Pence (Imagoeconomica)

Poche ore prima il suo vice Mike Pence aveva rifiutato di disconoscere i risultati elettorali ufficiali negli stati che Trump considerava rubati, pochi minuti prima il leader del senato Mitch McConnell, un ex fedelissimo, aveva dichiarato a Capitol Hill che il parlamento “non sarebbe stato l’ufficio elettorale” del presidente. Tempo un quarto d’ora e dalla massa dei manifestanti si sono staccate centinaia e poi migliaia di persone che hanno preso d’assalto il Campidoglio.

Uno degli assalitori in un’immagine di qualche tempo fa

Figuri con le corna sulla testa ma anche molte donne, maturi signori con la panza e la divisa mimetica da miliziano ma anche giovani in apparenza normali, ovunque bandiere sudiste e cappellini rossi con la scritta MAGA (Make America Great Again).

Cinque morti e una democrazia devastata sono stati il bilancio di un pugno di ore di follia, mentre Trump rifiutava di richiamare le “truppe” – lanciando anzi clamorosi messaggi di sostegno via Twitter, “vi amiamo tutti”, “capisco come vi sentite” – e assisteva alle immagini del terremoto che aveva provocato insieme a un pugno di fedelissimi sulle note di “Gloria”, remake di una vecchia hit italiana di Umberto Tozzi.

La manifestazione dei Black Lives Matter nell’agosto 2020

I pochi agenti – 340 schierati sui 2.700 effettivi, e sui 5.000 che Trump aveva voluto contro un corteo di Black Lives Matter lo scorso giugno – sono stati sopraffatti in una questione di minuti, mentre deputati e senatori prima si gettavano sotto i banchi e poi fuggivano tutti fino all’ultimo. Probabilmente hanno fatto bene. Ma nel 1981 quando il colonnello Tejero entrò sparando alle Cortes spagnole, il leader democristiano Adolfo Suarez e il leader comunista Santiago Carrillo restarono immobili ai loro posti – oltre a un vecchio generale, Gutierrez Mellado, a cui solo l’età e la pistola puntata impedirono di prendere a schiaffi Tejero.

Nei giorni successivi la polizia ha arrestato uno a uno centinaia dei profanatori del Campidoglio, impresa resa semplice dalle migliaia di selfie scattati durante la jacquerie. La loro linea di difesa è stata comune: ce lo ha chiesto il presidente, lo avete sentito tutti. Ma non si è assistito a una ripulsa generale: i senatori repubblicani hanno continuato a sostenere i ricorsi contro i risultati elettorali, gli elettori repubblicani hanno continuato in grande maggioranza a sostenere Trump nei sondaggi, il vicepresidente Pence ha rifiutato di rimuovere il presidente d’autorità in base al 25° emendamento. Quel testo, scritto dopo l’infarto di Eisenhower e l’omicidio di Kennedy, delinea la successione presidenziale e i motivi per attuarla, tra cui l’insurrezione.

La speaker della Camera Usa, Nancy Pelosi (Imagoeconomica)

È stata la leader della Camera, Nancy Pelosi, a raccogliere un buon numero di deputati democratici – ma non ancora la maggioranza fissata a 220 – su una mozione per l’impeachment. Un’altra mozione è stata presentata da Ilhan Omar, giovane deputata di “The Squad”, il gruppo dei democratici di sinistra che si riconosce nel socialista Bernie Sanders: questa seconda è più dura, cita tra i crimini anche l’estenuante elenco delle bugie elettorali precedenti che hanno preparato il terreno, mette sotto accusa l’intera gestione di Trump e non solo il suo convulso epilogo. Quale venga votata, è questione di tempi: anche se i democratici non riuscissero a farla passare prima del giuramento di Joe Biden, il 20 gennaio, un presidente colpito da impeachment (anche se non rimosso ma semplicemente sostituito dal neoeletto) non potrà più ricoprire incarichi di governo.

Tre presidenti sono stati oggetto di impeachment, per due (Andrew Johnson nel 1868 e Clinton per l’affare Lewinski) il senato non ha ratificato la destituzione e uno, Nixon, si è dimesso un attimo prima. Trump è stato il quarto, per le pressioni sull’Ucraina in cambio di “segreti” contro il figlio di Joe Biden: assolto. Ma se viene approvato questo impeachment – servono due terzi dei senatori, quindi anche molti repubblicani – Donald Trump non potrà più ricandidarsi.

Il futuro politico del trumpismo è la posta in palio. E 74 milioni di elettori sono troppi per potersene liberare come un malessere temporaneo. Il “cuore di tenebra” degli Stati Uniti è figlio della sistematica devastazione del concetto di bene comune, una prassi iniziata almeno da quando Ronald Reagan disse che “lo stato è il problema e non la soluzione”, e la sinistra americana ha assistito impotente quando non complice all’instaurarsi della sopraffazione come pratica politica accettabile. Andrà indagato a fondo, quel cuore di tenebra: la democrazia americana dovrà cambiare parecchio, se vuole continuare a definirsi compiutamente una democrazia.

Il tribuno Donald intanto sta già facendo girare ipotesi sul proprio futuro, e negare la sconfitta in ogni modo, legale o meno, ne è un dato fondativo. Ha già parlato di una contro-manifestazione per il giorno del giuramento di Biden, il 20 gennaio, e il Fbi ha lanciato l’allarme per i giorni precedenti: esisterebbero piani per manifestazioni armate nei campidogli di tutti i 50 Stati oltre che di nuovo a Washington. Gli ultimi rumors dicono che Trump potrebbe asserragliarsi nella supervilla di Mar-A-Lago in Florida (costruita negli anni Venti come residenza invernale dei presidenti e poi comprata dall’allora semplice palazzinaro), allestire un governo-ombra depurato di tutti i “traditori” e continuare a costruire e muovere masse di consenso attraverso i social media. Almeno quelli che gli rimangono: Twitter e Facebook gli hanno spento l’account, probabilmente fuori tempo massimo ma sollevando comunque una polemica mondiale sulla libertà di espressione, ma esistono molte altre piattaforme meno schizzinose e già molto praticate dall’ultradestra americana.

Parler è la principale di queste, nonostante sia piccolissima in rapporto alle big come Whatsapp o Twitter – vi si è prontamente iscritto anche Salvini il giorno dopo il blackout social contro Trump – ma altre sono già attive e in ciascuna le milizie come Bogaloo, Three Percenters, Oath Keepers, Constitutional Patriots e tutte le altre (secondo il censimento della Homeland security sono una sessantina) hanno salde ramificazioni, insieme a fenomeni complottisti come QAnon. Su queste reti sociali una milizia del movimento bogaloo si organizzò per cercare di sequestrare e uccidere la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer lo scorso ottobre – vennero tutti arrestati meno di un mese prima delle elezioni. Gli squadristi di Capitol Hill avevano i loro bravi predecessori.

Una democrazia legale dall’incerta tenuta e una sommersa che brandisce bible & bullett, bibbia e pallottole. È questo che aspetta gli Stati Uniti?