cover-libro-pavone-guerra-civileUna perdita dolorosa, per la cultura e per gli studi storici del nostro Paese. Pavone dedicò studi importanti alla Resistenza, insistendo sulle motivazioni, i comportamenti, le aspettative dei partigiani e ricostruendo a fondo questo fenomeno glorioso, liberandolo da ogni enfasi e cercando di ricostruirlo nella sua interezza.

Sotto questo profilo, il suo contributo è stato uno dei più importanti nella storiografia italiana.

Un suo libro fondamentale (“Una guerra civile”) suscitò moltissime polemiche, anche fra i partigiani, che lo ritennero – in non pochi – un libro revisionista, che dava cittadinanza a una tesi (quella della guerra civile) che era stata – in precedenza – appannaggio solo dei fascisti. Vi furono contrasti e critiche anche forti e per molto tempo fu difficile far riconoscere il vero apporto di un’opera che aveva anche un sottotitolo, assai importante, ma che finì per essere trascurato nel dibattito critico sul titolo principale (“Saggio storico sulla moralità nella Resistenza”). Il tempo ha ridimensionato le critiche e rivalutato il contributo di Pavone alla storiografia resistenziale. Lui stesso ebbe a dare, in una conversazione con l’amico Foa, una spiegazione semischerzosa sul titolo “sbagliato”, che sembrava sdoganare una tesi inaccettabile.

Partigiani in battaglia
Partigiani in battaglia

In realtà, l’assunto vero di Pavone era che la Resistenza si articolò in tre aspetti: la guerra patriottica, la guerra civile, la guerra di classe. Certamente un assunto discutibile e che, in effetti, fu discusso; ma di vero revisionismo non era giusto parlare, soprattutto a fronte dei revisionismi di taglio negazionista che hanno pullulato nel nostro Paese. Ci hanno fatto vedere ben altro in questi anni, i revisionisti di ogni stampo. E non è casuale il fatto che Pavone non esitò, in epoca recente, a intervenire con durezza contro un “revisionismo” che voleva deformare la storia d’Italia. Ridimensionato il titolo “sbagliato” e ricondotto l’assunto di Pavone alle sue reali intenzioni, c’è da riconoscere l’apporto da lui recato alla conoscenza di un fenomeno, profondamente analizzato e valorizzato, pur nell’assenza di ogni enfasi e di ogni tentativo di “gonfiamento”.

Bisogna dare a Cesare quello che è di Cesare. A Pavone va restituita la qualità dello studioso di razza e riconosciuto l’approfondimento dell’analisi, al di là di alcune scelte discutibili e di un titolo sbagliato. Tre anni fa, decidemmo di chiedergli un’intervista, e Patria Indipendente gli mandò a casa una collaboratrice che – da brava giornalista – lo lasciò parlare liberamente, facendone emergere gli aspetti più umani e consapevoli del combattente per la libertà e dello studioso (ndr: l’intervista appare in altra pagina di questo numero di Patria Indipendente). Ci fu riportato, dalla giornalista, che Pavone, da tempo un po’ appartato, si era molto appassionato nel raccontare ed era stato così felice della lunga conversazione, al punto che l’accompagnò alla porta quasi con rammarico. È questo, anche, l’uomo che vogliamo ricordare.

Da ANPINews n° 225 del 30 novembre/6 dicembre