Giovedì 5 maggio 2022 si terranno le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea dell’Irlanda del Nord, il parlamento locale istituito dopo la firma dell’Accordo del venerdì santo del 1998, data di inizio ufficiale del processo di pace avviato nel 1994 con il cessate il fuoco indetto dall’IRA.
Il sistema elettorale in vigore è proporzionale con voto singolo trasferibile, formula che permette di dare più di una preferenza elencando i candidati nell’ordine desiderato sulla scheda. Il candidato viene eletto al raggiungimento di una determinata soglia e i voti in eccedenza raccolti come prima preferenza vengono suddivisi assegnandoli in base alla seconda preferenza e così via, finché vi sono candidati con un numero di voti superiore al necessario per essere eletti.
Insieme all’Assemblea legislativa, con il processo di pace venne istituito un esecutivo consociativo destinato ad assumere i poteri che sarebbero stati progressivamente trasferiti da Londra. Giova ricordare infatti che fino ad allora le “sei contee” erano state governate direttamente da Westminster (salvo alcuni tentativi di devoluzione destinati a vita breve) fino dalla sospensione del governo locale di Belfast nel marzo 1972, poche settimane dopo Bloody Sunday.
Dopo una fase di avvio, durata alcuni anni, oscurata da ulteriori violenze, un lungo dibattito sulla neutralizzazione delle armi in possesso delle organizzazioni paramilitari e diverse sospensioni del nuovo parlamento, le istituzioni locali hanno iniziato a funzionare con una certa continuità nella seconda metà degli anni 2000. La svolta decisiva è arrivata l’8 maggio 2007 quando, a seguito dell’Accordo di St Andrew, stretto fra i governi di Londra e Dublino nell’omonima località scozzese con la partecipazione dei principali partiti dell’Irlanda del Nord, l’ordine pubblico e la giustizia sono stati devoluti all’Assemblea e all’Esecutivo.
Le istituzioni locali nordirlandesi funzionano in base al principio del consociativismo (power-sharing), conseguenza dei Troubles e dell’impegno sancito dal processo di pace di favorire un percorso politico che scongiuri un ritorno al conflitto armato. Il sistema prevede che, in occasione della prima seduta dell’Assemblea dopo il voto, i membri eletti dichiarino di riconoscersi nella definizione di “Unionista” (favorevole al mantenimento dell’Unione fra l’Irlanda del Nord e la Gran Bretagna), “Nazionalista” (favorevole all’abolizione del confine e alla creazione di un’Irlanda unita) oppure “Altro”. Questa dichiarazione di appartenenza è necessaria per garantire che un certo numero di decisioni dell’Assemblea (elezione del/la Presidente e modifica delle norme fondamentali della camera legislativa, legge finanziaria, numero dei ministri e loro competenze e così via) vengano prese non in base alla semplice maggioranza, ma con il sostegno dei due schieramenti principali. Questo principio fondamentale norma anche l’elezione del Primo ministro (First Minister), carica che spetta al primo partito all’interno del principale raggruppamento politico emerso dalle elezioni (oppure al primo partito in assoluto, pur non appartenente ai due raggruppamenti maggiori, ma è un caso altamente improbabile), e quella del vice primo ministro, riservata al primo partito all’interno del secondo raggruppamento politico per numero di deputati. Fino ad ora, il First Minister, è sempre stato espresso dal primo partito del principale raggruppamento politico (unionista) e il vice dal primo partito del secondo raggruppamento politico (nazionalista).
I due principali partiti arrivano all’appuntamento elettorale di giovedì in situazioni di segno diametralmente opposto: il Partito Democratico Unionista (DUP, conservatore ed euroscettico) attraversa da oltre un anno una grave crisi interna e un forte calo di consensi, mentre lo Sinn Féin (SF, membro del Gruppo della Sinistra al Parlamento europeo) è sulla cresta dell’onda, primo partito nei sondaggi da una parte e dall’altra del confine (34% nella Repubblica d’Irlanda, rispettivamente 13 e 18 punti percentuali sopra al Fine Gael e al Fianna Fáil, i due partiti che hanno dominato la politica nel Sud fino dalla fondazione dello Stato e sono attualmente al governo di Dublino in coalizione con i Verdi).
Nella primavera del 2021 il DUP, un partito che nei primi 50 anni della sua esistenza aveva cambiato soltanto due leader (il fondatore, Ian Paisley, lo aveva guidato per ben 37 anni) si trova a licenziarne altrettanti in poco più di un mese. Il 28 maggio 2021 Arlene Foster, prima donna a guidare un esecutivo nella storia dell’Irlanda del Nord, annuncia le dimissioni da segretaria del DUP e da Prima ministra dell’Esecutivo di Belfast dopo essere stata sfiduciata da una lettera firmata dall’80% dei propri deputati all’Assemblea. In base alla legge istitutiva dell’esecutivo, quelle dimissioni determinano automaticamente la decadenza della vice, Michelle O’Neill (SF). Il nuovo leader del DUP, Edwin Poots, nomina come nuovo Primo ministro Paul Givan, mentre lo Sinn Féin ricandida la sua vicepresidente, Michelle O’Neill. Poots, tuttavia, perde a sua volta la fiducia della maggioranza del partito e si dimette il 18 giugno, appena 3 settimane dopo essere stato eletto. Il successore, Jeffrey Donaldson, che era stato battuto di misura da Poots nella corsa alla leadership a fine maggio, chiarisce fin da subito che il primo obiettivo della sua azione politica alla guida del DUP sarà l’abolizione del cosiddetto Protocollo per l’Irlanda del Nord.
Frutto di due anni di negoziati fra Regno Unito e Unione Europea sull’accordo di recesso seguito al voto sulla Brexit, il Protocollo fu approvato nel 2019 per tutelare il processo di pace nell’Irlanda del Nord scongiurando il ritorno a un confine rigido fra le “sei contee” e la Repubblica d’Irlanda. Pur non intaccando in alcun modo la posizione dell’Irlanda del Nord nel Regno Unito, il Protocollo di fatto mantiene la regione nell’unione doganale europea e nel mercato unico. L’aspetto più indigesto per i cittadini unionisti dell’Irlanda del Nord, e in particolare per i fautori della linea dura contro le presunte “mire annessionistiche” di Dublino, è che il Protocollo ha di fatto creato un “confine marino” fra Irlanda del Nord e Gran Bretagna, una linea di separazione inaccettabile fra il loro ‘Ulster’ e il resto del Regno Unito. Rispetto al Protocollo, il DUP è in difficoltà: non è facile far dimenticare le responsabilità del partito unionista nel percorso che ha portato alla sua approvazione. Come si ricorderà, l’ex premier britannica Theresa May avrebbe voluto mantenere tutto il Regno Unito de facto nel mercato comune, in assenza di un trattato specifico. Questa opzione fu giudicata inaccettabile, ai tempi, dai sostenitori della cosiddetta Hard Brexit, cioè un’uscita dall’UE ferma e decisa, anche senza alcun accordo con Bruxelles. Di questo campo faceva parte il DUP, che nel 2017 aveva siglato un accordo con i Tories per sostenere il governo di minoranza della premier May. Non appoggiando le misure di garanzia contenute nel piano di Theresa May, che sarà costretta alle dimissioni nel giugno 2019, il DUP è ritenuto responsabile da molti della catena di eventi che porterà all’approvazione del Protocollo per l’Irlanda del Nord da parte del successore di May, Boris Johnson.
A conferma dell’importanza del tema per la campagna elettorale del DUP, il Primo ministro Paul Givan si dimette dalla carica il 3 febbraio di quest’anno, citando l’assenza di risposte soddisfacenti da Londra rispetto alle richieste di modifiche sostanziali al Protocollo, costringendo di nuovo la vice Michelle O’Neill a lasciare l’incarico.
Nel sondaggio pubblicato il 24 aprile, l’ultimo prima del voto di giovedì, lo SF è stabile al comando con il 26%, seguito dal DUP al 20%. Il terzo posto risulta conteso, con il 14%, dal Partito Unionista dell’Ulster (UUP, partito che ha retto il governo della regione ininterrottamente dal 1921 al 1972) e dal Partito dell’alleanza, l’APNI, nato nel 1970 come unionista moderato e spostatosi su posizioni sempre più neutrali rispetto alla questione costituzionale negli anni 90, fino a rifiutare di scegliere fra le designazioni di Unionista e Nazionalista nell’Assemblea di Belfast. Segue con il 10% il Partito socialdemocratico laburista (SDLP, nazionalista moderato).
Se le intenzioni di voto venissero confermate nelle urne si aprirebbe la strada, per la prima volta nella storia della regione, a una Prima ministra nazionalista. Anzi, non semplicemente nazionalista ma repubblicana, un fatto di portata storica che potrebbe avere implicazioni sulle prospettive dell’esecutivo, all’indomani del voto, e sul futuro dello stesso processo di pace. Nel DUP, infatti, molte le voci affermano che, nella disgraziata eventualità che la carica toccasse a quella che la maggior parte degli unionisti considera ancora (quasi 30 anni dopo l’inizio del processo di pace) l’ala politica dell’IRA, il loro partito non dovrebbe accettare di nominare un vice primo ministro. E, cosa più preoccupante, sul possibile boicottaggio dell’esecutivo consociativo da parte del DUP non ha voluto esprimersi con parole chiare nemmeno lo stesso leader unionista, Jeffrey Donaldson. Non aiuta il fatto che le due cariche apicali dell’esecutivo abbiano pari dignità e costituiscano, a norma di legge, un duumvirato. Il dato simbolico resta. E i simboli, nell’Irlanda del Nord, sono importanti.
Il primo dibattito televisivo fra i leader dei maggiori partiti, ospitato dal canale “Utv” domenica 1 maggio, ha visto i protagonisti rispondere a domande piuttosto insidiose ed è stato animato da diversi momenti di acceso confronto. Rispetto alle dimissioni di Paul Givan (DUP), che hanno determinato l’ennesima sospensione dell’esecutivo lo scorso febbraio, Michelle O’Neill è andata all’attacco accusando il partito di Jeffrey Donaldson di aver bloccato l’erogazione di 300 milioni di sterline, già stanziati, che avrebbero potuto alleviare le difficoltà dei cittadini nell’affrontare l’aumento del costo della vita. La risposta di Donaldson, che ha insistito che un accordo fra i partiti avrebbe permesso di sbloccare i fondi pur senza un esecutivo in funzione, è stata contestata anche dal leader del SDLP, Colum Eastwood.
Da parte sua, Michelle O’Neill si è trovata in difficoltà di fronte alla richiesta di commentare la rivelazione del “Sunday Times” secondo cui due anni fa il segretario dello Sinn Féin, Declan Kearney, avrebbe avvicinato i dirigenti di Saoradh, organizzazione politica repubblicana vicina al “Nuovo IRA”, per discutere di una strategia comune in vista di un possibile referendum sull’unificazione dell’Irlanda. Del “Nuovo IRA”, gruppo armato contrario al cessate il fuoco, faceva parte il responsabile della morte della giornalista Lyra McKee, uccisa da una pallottola sparata contro la polizia nordirlandese durante gli scontri scoppiati a Derry nell’aprile del 2019.
Così, per quanto la straordinaria avanzata dell’APNI dia voce alla volontà, espressa di frequente nelle dichiarazioni raccolte in questi giorni dai giornalisti fra la gente comune, di premiare con il voto i candidati che si impegnino ad affrontare le questioni pressanti che toccano da vicino la vita dei cittadini, dal caro vita alle lunghe liste di attesa nella sanità, il voto di giovedì sembra destinato a essere dominato ancora una volta dalla questione costituzionale.
Vale la pena notare infine che la data del voto, il 5 maggio, coincide con il 41° anniversario della morte di Bobby Sands, il primo dei 10 attivisti repubblicani che morirono nello sciopero della fame nel carcere di Long Kesh, presso Belfast, nel 1981.
Carlo Gianuzzi
Pubblicato martedì 3 Maggio 2022
Stampato il 04/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/la-rivincita-di-bobby-sands/