In tempi di revisionismo storico assistiamo a un tentativo di rivalutazione della Riforma Gentile [1], mentre nel nuovo clima culturale che si vive sembra normale il fatto che i militari entrino nelle scuole elementari per raccontare le loro esperienze di guerra. Un clima che lascia quantomeno perplessi. [2] Cosa sta succedendo nella società? Quali legami ci sono con la storia? Cerchiamo di capire in cosa consisteva davvero la Riforma Gentile. Qual era il rapporto tra scuola e società civile? Cos’era la libertà d’insegnamento? Una riflessione che ci può aiutare a capire anche la realtà che abbiamo di fonte a noi. Vediamo quindi di cosa si è trattato.

giovanni gentile
Il filosofo Giovanni Gentile autore della riforma della scuola durante il fascismo

La Riforma della scuola fu attuata tramite una serie di Regi Decreti nel 1923 [3], ispirati dal filosofo neoidealista Giovanni Gentile, ministro della pubblica istruzione del governo Mussolini nel 1923 ed elaborata con la collaborazione del pedagogista Giuseppe Lombardo Radice [4]. Le nuove norme imponevano un forte autoritarismo e classismo nelle scuole e nelle università, una rigida struttura gerarchica affermando il rispetto assoluto della legge, dell’ordine, della disciplina, dell’obbedienza allo Stato. Da qui un rigido controllo statale attuato tramite il direttore didattico nelle scuole elementari, il preside nelle scuole medie e il rettore nelle università.

Nel merito la riforma nasceva da «una concezione elitaria, antimoderna e dichiaratamente antidemocratica dell’istruzione superiore» [5], avulsa dalla nuova realtà economica e articolata «in funzione delle esigenze di un’élite borghese, del reclutamento di un’aristocrazia del sapere, il cui status andava difeso per mezzo di un sistema di selezione e di qualificazione che fungeva da barriera sociale» [6]. Lo scopo politico della riforma era «frenare, se non bloccare la mobilità sociale dei ceti medio bassi attraverso la scuola e colpiva anche le aspirazioni della media e piccola borghesia che costituiva un’importante base di consenso per il regime» [7].

Il padre della Riforma, Giovanni Gentile, riteneva che «gli studi secondari sono di lor natura aristocratici, nell’ottimo senso della parola: studi di pochi, dei migliori […] perché preparano agli studi disinteressati scientifici; i quali non possono spettare se non a quei pochi, cui l’ingegno destina di fatto, o il censo e l’affetto delle famiglie pretendono destinare al culto de’ più alti ideali umani» [8]. Da qui la conseguenza che nella scuola non c’era posto per tutti, perché «la riforma tende proprio a questo: ridurre la popolazione scolastica» [9].

L’altro aspetto inquietante della riforma è il forte maschilismo che assume tratti psicoanalitici. Giovanni Gentile secondo le più retrive tradizioni giudaico-cristiane riteneva la donna moralmente e intellettualmente inferiore all’uomo. In preda a una vera e propria ossessione per l’aumento della popolazione femminile nelle scuole pubbliche medie e superiori, è terrorizzato da una scuola «invasa dalle donne, che ora si accalcano alle nostre università», perché «le donne non hanno e non avranno mai né quell’originalità animosa del pensiero, né quella ferrea vigoria spirituale, che sono le forze superiori, intellettuali e morali, dell’umanità» [10]. La donna istruita per Gentile costituiva «una minaccia per il modello sociale da lui difeso, nel quale una rigorosa divisione dei ruoli e del lavoro fra i ceti sociali e fra i due sessi era uno degli elementi indispensabili» [11].

Tutte idee fortemente difese da Giovanni Gentile e anticipate sul Resto del Carlino [12], dove in una lettera aperta al ministro dell’Istruzione dal titolo «Esiste una scuola in Italia?», affermava che «le Scuole tenute dallo Stato devono essere poche, ma buone» [13] e gli studenti che sono una zavorra “non dovrebbero più trovare posto nelle scuole pubbliche”. […] La scuola media deve essere sgombrata da tutta questa folla che vi fa ressa e abbassa ogni giorno di più il livello degli studi deprimendo la cultura nazionale […] E così pure vorrei dirle, Eccellenza: troppe università, troppi professori. Anche qui sfrondare, recidere…» [14]. Mussolini scelse bene l’artefice della Riforma fascista della scuola, che giunse a vietare alla donne l’accesso in molti settori dell’insegnamento e perfino l’iscrizione alla Normale di Pisa. Soddisfatto del lavoro di Giovanni Gentile commentò «Questa è la più fascista delle riforme» [15].

Gli strumenti del regime: il maestro elementare

Il perno della Riforma era il maestro elementare a cui fu attribuito il compito civile e il ruolo politico di «educatore del popolo», l’«intellettuale» di estrazione popolare, depositario della «tradizione culturale della Nazione». La sua formazione professionale si fondava su una cultura enciclopedica di carattere letterario e prescindeva da conoscenze pedagogiche e didattiche.

Adunata di Balilla

Il libro di testo unico

La legge 7 gennaio 1929, n 5, entrata in vigore con l’anno scolastico 1930-31 introdusse il libro unico nelle scuole. La preparazione dei libri per le scuole era curata da una commissione di esperti nominata direttamente dal ministro della Pubblica Istruzione. La conseguenza fu l’abolizione della pluralità di libri di lettura e sussidiari, la soppressione della libertà di insegnamento, il controllo sistematico dei contenuti, la limitazione dell’autonomia didattica degli insegnanti. I libri di testo servivano al regime come formidabile strumento di propaganda tra i giovani. Il Duce veniva proposto come l’uomo della della Provvidenza mandato da Dio per ricostruire il nuovo Impero. La funzione della scuola era l’indottrinamento politico delle nuove generazioni e la creazione di un forte spirito nazionale e militare: la storia romana veniva manipolata e il Risorgimento privato dei suoi aspetti liberali e democratici, era insegnato come un’epopea nazionalista.

Nelle scuole si proponevano temi come: Perché sono Balilla (o Piccola Italiana); Quali opere del fascismo tu ammiri di più?; Da Vittorio Veneto alla Marcia su Roma; Un martire ed eroe della recente guerra italo-etiopica.

Religione cattolica

Gentile capì l’importanza della Chiesa come strumento di coesione sociale e strumentalizzò la Chiesa al fine di rafforzare l’autorità dello Stato fascista [16]. Con la Riforma impose la religione cattolica a fondamento e coronamento dell’istruzione elementare in ogni suo grado e fu imposta come materia obbligatoria a partire dalla prima classe, con docenti scelti dall’autorità ecclesiastica. Il programma consisteva nell’apprendimento di dogmi e principi morali tratti dal Catechismo. Non era previsto l’insegnamento di altre confessioni religiose, e neppure di corsi sostitutivi nell’orario di religione, perciò l’alunno doveva rimanere in classe durante l’ora di religione [17].

1922. Nelle aule arriva il ritratto del Duce

Con la circolare n. 68 del 22 novembre 1922 del sottosegretario alla Pubblica Istruzione Dario Lupi, ripresa nella Circolare del 24 novembre 1926, fu imposto nelle aule scolastiche, accanto al ritratto del re e al crocefisso, il ritratto del duce capo del fascismo «simbolo sacro alla fede e al sentimento nazionale e monito per additare alle nuove generazioni l’Uomo che tutta l’Italia ammira, che tutto il mondo civile c’invidia, che mercé l’opera sua appassionata, infaticabile, energica, trasse il nostro Paese dal baratro»[18]. Significativo il discorso del prof. Remo Branca, preside del liceo scientifico pareggiato Giorgio Asproni, che dà libero sfogo al culto del duce: «idolo delle masse socialiste a eroe delle avanguardie politiche e culturali dell’interventismo, fino al mito del duce come elemento di coesione e stabilità all’interno delle composite forze che costituivano il regime» [19].

Ispirato dal motto farneticante «Per orbis unionem sub Lictorii signo» [20] e dall’enfasi dannunziana annunzia agli studenti: «Domani entrando nelle vostre aule, troverete il ritratto del Duce. […] Desiderate conoscerlo nelle opere della giovinezza? Eccolo curvo per breve tempo sul paterno incudine, poi scolaro assai irrequieto, ma sempre studioso nella Scuola magistrale di Forlimpopoli, e, uscito di là, lo troverete maestro elementare a Gualtieri Emilia e a Caneva, nel Friuli. Da allora chi può seguirlo? Lasciata la scuola, povero, affamato, ribelle, dalla Svizzera in Francia, dalla Francia in Germania spinto da una forza interna va per vie non battute, fra ostacoli inauditi – ed è la vita perigliosa, la vita drammatica che egli ama – senza mai posa alcuna seguendo una voce arcana che gli ripete sempre: – Cammina, cammina! Perseverando arrivi!» [21].

Mussolini bersagliere

Senza remore alla plageria chiude l’apologia tra lo shakespeariano e il ridicolo con quello che dovrebbe essere il coup de théâtre «[Il duce] cercatelo sui campi di battaglia e lo troverete audace, impavido eroico bersagliere al battesimo del fuoco; lo sentirete rispondere al suo Colonnello, che gli offre un posto di scrivano, di preferire i pericoli della trincea e di voler morire tra i suoi camerati; lo troverete ferito, lacerate le carni per lo scoppio di un proiettile, in un ospedale da campo e davanti al suo letto S. M. il Re che loda il suo ardimento e il suo patriottismo» [22].

1927. Turati agli Educatori della nuova Italia

Che cosa intendesse fare dei giovani italiani il Regime lo chiarisce in un discorso del 17 maggio 1927 Augusto Turati, giunto alle cronache anche per le confidenze sessuali a Farinacci della maîtresse Paola Marcellino, che gestiva la lussuosa casa d’appuntamenti a Milano della quale sia Turati che Farinacci erano clienti. [23] Con tutto jl fervore di un profeta e l’ipocrisia di un frequentatore di case di tolleranza rivolgendosi agli Educatori della nuova Italia, dichiarava: «Non basta dire l’Italiano nuovo, non basta dire lo stile fascista» perché «Italiano nuovo vuol dire ad ogni ora sapere rinunziare a qualche cosa, pensando che la maggior gioia è donare alla Patria, non il gesto sublime, ma la piccola rinunzia, vuol dire saper costruire ogni giorno questa dura disciplina, sicché ogni gesto sia improntato allo spirito, alla coscienza, alla dignità fascista. Noi abbiamo la coscienza di aver indirizzato maestri e scolari non “ai gesti sublimi” ma a queste piccole rinunzie quotidiane. E so che si rinunzia molto al sonno, alle passeggiate» [24]. Tanto fervore morale imposto ai giovani non corrispondeva alla prassi quotidiana del gerarca [25].

Un’aula scolastica nel 1930, con gli elementi classici dell’arredo fascista

L’arredo scolastico

Tutte le scuole dovevano essere dotate del crocifisso collocato tra il ritratti del re e quello del duce, la bandiera, il calendario dei giorni in cui doveva essere esposta, una targa di bronzo in onore del Milite Ignoto, il Bollettino della Vittoria del 4 novembre 1918. Le scuole erano collegate con un altoparlante attraverso il quale agli alunni si imponeva di ascoltare i discorsi del duce. In genere le classi erano sovraffollate e i banchi di legno erano a due o tre posti, con in alto sulla destra, il buco per il calamaio di vetro. Le aule dovevano essere arredate con cartelloni per l’insegnamento, carte geografiche, ritratti di uomini illustri, pallottolieri, lavagne di ardesia con i porta-gessetti, la cattedra, i banchi, un armadio e durante la guerra in Africa orientale fu aggiunta la cartina su cui appuntare gli spilli che segnalavano l’avanzata dell’esercito italiano ed attrezzi per la ginnastica. A completare il programma di propaganda nelle copertine dei quaderni erano rappresentati: soldati e legionari romani, le imprese in Etiopia, oppure immagini della Marina Militare o dell’Aviazione italiana.

1928. La Riforma della Riforma Gentile

I tempi camminavano veloci e arrivarono i Patti Lateranensi e la Riforma Gentile finì per essere superata dai nuovi accordi politici del fascismo col Vaticano. Mussolini risolse il problema definendo la riforma borghese per non dire troppo laica in relazione ai nuovi Patti lateranensi. L’opera di smantellamento dei vari decreti iniziò a partire dal 1928 con la pratica dei «ritocchi» come furono definiti dall’Osservatore Romano.

Il ministro Francesco Ercole

1934. Francesco Ercole Ministro dell’Educazione Nazionale

Con la rielaborazione dei programmi attuata nel 1934 dal Ministro dell’Educazione Nazionale Francesco Ercole, si rafforza il ruolo del maestro elementare come amplificatore della propaganda del regime nella scuola col compito di fascistizzare le giovani nuove generazioni italiane. In questo mondo surreale la professionalità del docente viene giudicata attraverso l’adesione ideologica al regime e l’impegno nella propaganda [26].

1935. De Vecchi Ministro dell’Educazione Nazionale

Nel 1935 divenne ministro dell’Educazione Nazionale De Vecchi, uno dei quadrumviri, un uomo lontano dal mondo della scuola e dalla cultura. Il suo compito era introdurre nella scuola il «vero Fascismo» con un’operazione definita «bonifica», che voleva dire introdurre nella scuola il militarismo e reprimere ogni autonomia e nel suo totale assoggettamento allo Stato Fascista. I professori antifascisti furono esclusi dall’insegnamento e nel 1936 i docenti insegnanti non iscritti al Partito furono licenziati. Nel 1934 fu siglato un accordo tra Guf (Gruppi Universitari Fascisti) e Milizia per introdurre l’addestramento militare nell’istruzione media e secondaria e successivamente nuovi programmi che introducevano la cultura militare, con l’aumento delle attività extrascolastiche nelle organizzazioni giovanili paramilitari. Il controllo dello Stato fu esteso a tutti i manuali scolastici in uso nelle scuole medie, mentre fino a quel momento il fascismo si era limitato a imporre il suo libro di testo solo alle scuole elementari.

Periodo 1935-1943

Sono gli anni della Campagna di Etiopia e i testi scolastici vengono riscritti sulla base dei nuovi programmi approvati nel 1934. In particolare, cominciano a girare anche dei sussidiari secondo le indicazioni di Mussolini: «La Scuola italiana in tutti i suoi gradi e i suoi insegnamenti si ispiri alle idealità del Fascismo, educhi la gioventù italiana a comprendere il Fascismo, a nobilitarsi nel Fascismo e a vivere nel clima storico creato dalla Rivoluzione Fascista».

1938 La discriminazione razziale

Il 16 ottobre 1938 in occasione dell’apertura del nuovo anno scolastico ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai [27] annunciò in una conversazione radiofonica la discriminazione razziale nella scuola. Il compito di Giuseppe Bottai era realizzare «la scuola fascista» adeguata allo sviluppo economico del Paese. Il Regime aveva necessità di superare la Riforma Gentile e realizzare una nuova scuola, espressione delle idee pedagogiche del regime e funzionale sia ai fini militari e sia all’ordinamento economico che si stava realizzando nella società.

1939. La Carta della scuola 

Il Gran Consiglio del fascismo il 15 febbraio 1939 approvò la Carta della Scuola che in 29 dichiarazioni programmatiche, riassumeva la politica scolastica fascista. All’articolo 1 si afferma che «Nell’unità morale, politica ed economica della Nazione italiana, che si realizza integralmente nello Stato Fascista, la Scuola, fondamento primo di solidarietà di tutte le forze sociali, dalla famiglia alla Corporazione, al Partito, forma la coscienza umana e politica delle nuove generazioni. La Scuola fascista, per virtù dello studio, concepito come formazione di maturità, attua il principio d’una cultura del popolo, ispirata agli eterni valori della razza italiana e della sua civiltà; e lo innesta, per virtù del lavoro, nella concreta attività dei mestieri, delle arti, delle professioni, delle scienze, delle armi». Accanto alla scuola nascono la G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio) e i G.U.F. (Gruppi Universitari Fascisti), con l’obbligo della frequenza dei cittadini dalla prima età ai ventun’anni. Vengono istituite, accanto alla media unica, la scuola artigiana nelle zone rurali e i piccoli centri e quella professionale nelle grandi città. Queste permettono ai più capaci l’accesso ai collegi fascisti, altamente militarizzati. La riforma non fu attuata per lo scoppio della guerra; l’unica disposizione adottata fu la scuola media unica istituita nel 1940 [28].

La Carta della scuola stabiliva l’obbligo di frequentare la scuola materna dall’età di quattro anni e prevedeva la scuola elementare triennale (suddivisa in urbana e rurale) e la Scuola del lavoro biennale, dal 9° all’11° anno, «con esercitazioni pratiche organicamente inserite nei programmi». All’età di undici anni i fanciulli potevano così scegliere: Scuola artigiana (triennale): finalizzata a formare lavoratori. Scuola professionale (triennale): finalizzata a preparare «alle esigenze di lavoro proprie dei grandi centri», si prevedeva che in essa il «lavoro, scientificamente organizzato» vi avesse «parte preponderante». A integrazione della scuola professionale era prevista la Scuola tecnica, di durata biennale, per formare lavoratori specializzati per le grandi aziende. Scuola media (triennale): comune a quanti intendessero proseguire gli studi nell’ordine superiore, essa doveva fornire “i primi fondamenti della cultura umanistica”, secondo un «rigoroso principio di selezione». E prevedeva l’insegnamento del latino visto come «attore di formazione morale e mentale». La scuola media, avviata nel 1940, era altamente selettiva e accessibile solo attraverso il superamento di appositi esami. Essa permetteva l’accesso ai licei classico e scientifico, all’istituto magistrale e agli istituti tecnico-commerciali, che avrebbero poi permesso di frequentare l’università. Soltanto il liceo classico, come in precedenza, consentiva l’iscrizione a qualsiasi facoltà universitaria.

Vinicio Ceccarini


NOTE

[1] Sergio Belardinelli, Il cristiano Gentile il grande filosofo che capì la forza della chiesa. Dove l’Autore si smarrisce nella sterile disputa filosofica tra idealismo- religione cattolica, perdendo di vista il significato politico del pensiero di Gentile.
[2] Torna tra i banchi dopo quattordici anni ma ora veste la divisa dell’Esercito Il tenente Loris Bacaloni, ex alunno della scuola elementare Anna Frank di Pollenza
[3] R. D. n. 1054 del 6 maggio 1923 (Ordinamento della istruzione elementare) Altri decreti fondamentali della riforma sono : Regio Decreto n. 1058 del 6 maggio 1923 – Ordinamento della scuola media; Regio Decreto n. 1059 del 6 maggio 1923 – Ordinamento dei licei.; Regio Decreto n. 2185 del 2 ottobre 1923 – Istituzione dell’esame di Stato (maturità)
[4] Giuseppe Lombardo Radice non aderì all’ideologia fascista e dopo il delitto Matteotti abbandonò la collaborazione la collaborazione con il governo fascista, pur senza prendere mai apertamente le distanze dal fascismo
[5] Jürgen Charnitzky, Fascismo e scuola. La politica scolastica del regime (1922-1943), La Nuova Italia, 1996, p. 190
[6] Ibidem
[7]Ibidem
[8] Giovanni Gentile, L’unità della scuola media e la libertà degli studi (1902), in Id., Opere complete, a cura della Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici, Firenze 1954-1995, vol. XL, pp. 1-39.
[9] Ibidem
[10] http://memoriadibologna.comune.bologna.it/files/giornali/1918_05_01_carlino.pdf
[11] Jürgen Charnitzky, op.cit. p. 121
[12] Resto del Carlino, 4 maggio 1918
[13] Ibidem
[14] Ibidem
[15] La Riforma rimase in vigore nelle sue linee essenziali anche dopo l’avvento della Repubblica, fino a quando il Parlamento italiano, con la legge 31 dicembre 1962 n. 1859, abolì la scuola di avviamento professionale creando la cosiddetta scuola media unificata.
[16] In proposito è significativo un recente articolo di Sergio Belardinelli dal titolo, Il cristiano Gentile che capì la forza della Chiesa, https://www.ilfoglio.it/cultura/2025/04/19/news/il-cristiano-gentile-il-grande-filosofo-che-capi-la-forza-della-chiesa-7617907/ URL 21.04.2025. L’Autore sembra trascurare il significato politico della Riforma e si smarrisce nel labirinto dei problemi dell’idealismo-religione cattolica
[17] Luciano Pazzaglia, Consensi e riserve gei giudizi cattolici sulla riforma Gentile, in Gabriele Turi, Giovanni Gentile: una biografia, Giunti, Firenze, 1995, p. 330
[18] Il fascismo nella scuola attraverso gli Annuari scolastici https://art.torvergata.it/bitstream/2108/1380/5/capitolo%202.pdf
[19] Ibidem
[20] Il motto è di Nicolò Giani, fondatore della mistica fascista
[21] Ibidem
[22] Ibidem
[23] 1932: Farinacci contro Augusto Turati. Ricatti di sesso fra gerarchi che si odiavano (Sergio Turone), pubblicato da Salvatore Lo Leggio, https://salvatoreloleggio.blogspot.com/2017/09/1932-farinacci-contro-augusto-turati.html; Luca Faccioli, Lotte per il potere nel partito fascista. La storia di Augusto Turati https://www.e-storia.it/Public/e-Storia-Anno-II-Numero-2-Giugno-2012-Articolo-4.pdf.
[24] Ibidem. Nel frattempo era scoppiata la guerra all’interno del PNF, Farinacci, aspirante duce, provvide a coinvolgere Turati, accusato tra l’altro di essere omosessuale nello scandalo Belloni grazie alla confidenze anche per le confidenze a Farinacci della maîtresse Paola Marcellino, che gestiva la lussuosa casa d’appuntamenti a Milano della quale era entrambi clienti
[25] Op, loc.cit, nota 22
[26] Elena d’Ambrosio, Libro e moschetto;l’istruzione primaria nel ventennio fascista, Istituto di storia contemporanea Pier Amato Perretta Como Didattica, 2025
[27] Giuseppe Bottai, ministro dell’Educazione nazionale dal novembre 1936 al febbraio 1943
[28] La legge 1º luglio 1940 n. 899 attuò parzialmente con l’istituzione della scuola media.