Tutto cominciò il primo aprile, quando l’Unità pubblicò uno scatenato attacco di Fabrizio Rondolino al Presidente nazionale dell’ANPI. Tuonò Rondolino, e tanto tuonò che piovve.
La controprova avvenne nei giorni successivi, quando il direttore de l’Unità, pur sollecitato, si guardò bene dal pubblicare le sue scuse per l’inverecondo scritto. Poi – con un’accelerazione da pole position – apparvero sul quotidiano, già dell’incolpevole Antonio Gramsci, prima una bella lettera di Fiorella Ferrarini, dirigente dell’ANPI di Reggio Emilia, corredata da una risposta del Rondolino ad impenitente conferma del suo tuonare. Poi, il diluvio: la pubblicazione, sempre sul quotidiano Pd, dell’appello di 70 senatori contro le posizioni dell’ANPI sul referendum, la lettera di risposta di Carlo Smuraglia corredata dall’irricevibile articolo di due accademici contro il Presidente dell’ANPI stesso (Rondolino docet), forse – chissà! – ispirato da una richiesta del direttore Erasmo D’Angelis, l’avvio tonitruante degli attacchi della ministra Boschi – CasaPound, partigiani finti e partigiani veri – con la benevola comprensione del Presidente del Consiglio, l’appello dei 184 costituzionalisti per il Sì, molti dei quali – si scoprirà – non sono costituzionalisti, l’occupazione di tutta la rete della comunicazione da parte del Presidente del Consiglio (tv, radio, quotidiani, socialnetwork), insistente nel raccontare la catastrofe biblica in cui precipiterebbe il Paese ove al referendum vincessero i No e persistente sulle sue futuribili ancorché irrevocabili dimissioni in caso di vittoria del No (“Après moi le déluge!”, narrano che abbia esclamato il re di Francia Luigi XV conversando con la marchesa di Pompadour), il divertente, ma in palese contrasto col comune senso del pudore, arruolamento postumo nelle truppe del Sì, anzi, nel Quartier Generale, degli incolpevoli Enrico Berlinguer, Umberto Terracini, Nilde Iotti, Pietro Ingrao. Mancano solo – finora – Carlo Marx e Groucho Marx.
Non poteva mancare, in pieno congresso nazionale, il colpo di teatro da parte di un quotidiano che ha pubblicato le opinioni di alcuni delegati favorevoli al Sì come se il congresso si stesse rovinosamente spaccando, laddove si trattava invece di un punto di vista legittimo ma larghissimamente minoritario.
Da quel momento e in contemporanea in tutte le sale si avviava la proiezione del film splatter (ispirato – sembra – a Quentin Tarantino) “L’ANPI si spacca, o yes!”, forse con regìa – saperlo! – di qualche guru proveniente dagli States a sostegno della campagna per il Sì. La trama: l’ANPI non è più un’associazione dedita esclusivamente alla custodia del passato, ma osa interessarsi ad un argomento puramente politico, e cioè la salvaguardia della Costituzione repubblicana. Come si spiega codesto sacrilegio? Con due gravissimi errori: il primo consiste nel fatto che tanti soci dell’ANPI – gli “antifascisti” – sono troppo giovani, e non hanno di conseguenza l’autorevolezza morale per parlare di Costituzione e di Resistenza, il secondo attiene al Presidente, che è troppo vecchio, come peraltro tutti i partigiani, motivo per il quale è fermo al 900 e non ha capito che viviamo in un altro più ridente tempo. Se ne dedurrebbe, di conseguenza, che, come la giri o la volti, l’ANPI se ne deve stare zitta, non disturbare mai il manovratore, pena la sua delegittimazione. Se ne evincerebbe altresì che cambiare la Costituzione è politica pura, che è di competenza esclusiva di membri del governo, parlamentari, dirigenti di partito. Ed anche cittadini, sia chiaro. Ma a condizione che questi siano perfettamente d’accordo con i suddetti membri del governo, parlamentari, dirigenti di partito.
Gli spettatori osservavano il film in allibito silenzio, con qualche considerazione: come mai tutto ciò vale oggi per il referendum costituzionale e non valeva nel 2006, in occasione del precedente referendum costituzionale contro la riforma proposta dal governo Berlusconi? Come mai si parla di spaccatura dell’ANPI quando in tutti i congressi, compreso il congresso nazionale, la quasi totalità dei partecipanti ha condiviso e sostenuto la decisione di schierare l’ANPI per il No? Come mai oggi ci si accorge di questa scelta dell’ANPI, quando la critica radicale alla riforma costituzionale è iniziata due anni fa ed è stata serenamente ribadita in mille successive circostanze?
Questa, in breve, la trama del film. La realtà, com’è noto, è un cicinìn difforme: 1) sullo Statuto dell’ANPI, articolo 2, si legge che “l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia ha lo scopo di (…) concorrere alla piena attuazione, nelle leggi e nel costume, della Costituzione Italiana, frutto della Guerra di Liberazione, in assoluta fedeltà allo spirito che ne ha dettato gli articoli”. Ne consegue che l’assunzione di una posizione in merito alla riforma costituzionale, acclarata una certa qual differenza fra questa e il regolamento condominiale, non è vezzo innovativo ma un dovere associativo; 2) la spaccatura dell’ANPI è una fantasiosa creazione mentale, è vero invece che, a fronte di un larghissimo consenso attivo degli iscritti e dei dirigenti dell’ANPI, dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, vi sono anche – e ci mancherebbe altro, vivaddio! – iscritti e attivisti che la pensano diversamente e che voteranno Sì. Va da sé che sarebbe scorretto comunicare questa legittima opinione come una scelta dell’ANPI, perché la scelta dell’ANPI è un’altra. Il percorso pubblico, lineare, limpido, trasparente seguito dell’ANPI ha un nome che si intende in queste righe comunicare a tutti coloro che hanno invocato la spaccatura. Si chiama democrazia. Esattamente ciò che l’ANPI auspica venga applicato sempre e comunque nella vita interna dei partiti del nostro Paese.
Così la realtà, diversamente dal film, ha rappresentato l’immagine dell’ANPI nei giorni scorsi, quando l’organismo dirigente nazionale eletto dal congresso, il Comitato Nazionale, ha approvato all’unanimità un documento di conferma delle posizioni dell’ANPI e di difesa dell’associazione dall’aggressione di cui è stata vittima.
Tutto questo accade ora, a più di quattro mesi dal voto referendario. Quello che accadrà da oggi fino ad ottobre è scritto nel Grande Libro del Destino e nel più modesto, ma non irrilevante, cronoprogramma del governo.
Con l’amaro retropensiero che ci sia qualcuno che consapevolmente stia spaccando tutto, c’è da augurarsi in ogni caso che, dopo questo avvio roboante e apocalittico, si apra una discussione, finora del tutto assente, sul merito della riforma costituzionale (e della inseparabile nuova legge elettorale) non foss’altro che per la natura del contendere: le regole comuni della collettività che chiamiamo Italia, nate da un’aspra lotta popolare che chiamiamo Resistenza e incarnate in un breve testo che chiamiamo Costituzione, e che nacque nella partecipazione, nel consenso, nel reciproco rispetto e nella concordia di tutte le forze costituenti.
Pubblicato mercoledì 1 Giugno 2016
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