Rob Gonsalves (da http://www.incredibilia.it/wp-content/uploads/2015/12/artisti-eccezionali-001.jpg)
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Essendoci molti che – all’interno ed all’esterno del Pd – hanno sostenuto che, in presenza di modifiche significative dell’Italicum – le nuova legge elettorale già approvata dal Parlamento -avrebbero votato Sì al Referendum, mentre al contrario avrebbero votato NO, la Direzione nazionale del Partito Democratico aveva istituito una Commissione con il compito di “ricercare un accordo sulla possibile modifica della legge elettorale per la Camera dei deputati” alla quale partecipava, in rappresentanza della sinistra del Partito, l’ex suo presidente Gianni Cuperlo. Venerdì 4 novembre è stato annunciato che l’accordo era stato raggiunto e che anche Gianni Cuperlo lo aveva sottoscritto; pareva, stando alla notizia, che ogni dissidio fra le varie anime del partito fosse così stato composto, ma sono bastate poche ore a far insorgere la sinistra facente capo a Bersani (ex Segretario) e Speranza (ex capogruppo), nonché ad esponenti politici a loro vicini, che a gran voce denunciavano la “fumosità” del preteso “accordo” e lo dichiaravano inaccettabile in quanto inconcludente ed inaffidabile, sancendo così una rottura per certi versi clamorosa all’interno dell’ala “di sinistra”, poiché poco è mancato che Cuperlo fosse esplicitamente definito un “traditore”.

Proviamo ad analizzare il “documento di accordo”, che è stato pubblicato integralmente dal quotidiano “l’Unità” (http://www.unita.tv/focus/documento-commissione-elettorale-italicum/), per riscontrare se veramente esso contenga delle novità significative rispetto al testo vigente – che, non va dimenticato, è una legge dello Stato e tale resterà finché non sarà annullata o sostituita da una legge diversa –, testo che viene da molti avversato: da alcuni per l’intreccio (il “combinato disposto”, cosiddetto) fra legge elettorale e riforma costituzionale, da altri per i suoi propri contenuti, anche a prescindere dalla contingenza referendaria.

Conviene riportare testualmente, ai fini di tale analisi, le parti salienti del documento della Commissione, come esso è stato firmato dai suoi componenti (Lorenzo Guerini, Matteo Orfini, Luigi Zanda, Ettore Rosato, Gianni Cuperlo). Si riprende dal sito citato de l’Unità online:

A) Si è effettuata una verifica su tre aspetti:

  1. Premio di lista / premio di coalizione
  2. Ballottaggio / turno unico
  3. Modalità di espressione della volontà degli elettori nella scelta degli eletti

B) In merito alla futura elezione dei senatori è confermata l’indicazione espressa dal segretario per assumere la proposta di legge a firma Fornaro Chiti quale riferimento del Pd per il varo della disciplina ordinaria in materia

C) Sul piano dei contenuti si è riaffermato il perno di un sistema elettorale fondato sull’equilibrio tra i due principi della governabilità e della rappresentanza. A tale scopo le verifiche realizzate rendono possibile:

  1. La preferenza per un sistema di collegi inteso come il più adatto a ricostruire un rapporto di conoscenza e fiducia tra eletti ed elettori.
  2. la definizione di un premio di governabilità (di lista o di coalizione) che consenta ai cittadini, oltre alla scelta su chi li deve rappresentare, la chiara indicazione su chi avrà la responsabilità di garantire il governo del Paese attraverso il superamento del meccanismo di ballottaggio.

La commissione sottopone questo documento all’Assemblea nazionale, alla Direzione e ai gruppi parlamentari del Partito Democratico di Camera e Senato per le relative valutazioni e conseguentemente tradurne l’impianto nei testi di legge (elezione dei senatori secondo il Ddl Fornaro-Chiti e legge elettorale) da portare al confronto con le altre forze politiche e gruppi parlamentari. 

Vladimir Kush (da http://3.bp.blogspot.com/-XJsXy6uHQUQ/T1nlBOTQeSI/AAAAAAAAB1M/Acwu7kQcJjI/s1600/vladimir+kush.jpg)
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Vediamo dunque nell’ordine:

A’) Non si capisce (nel senso che la lettura non lascia intendere) cosa voglia dire, né a quali risultati abbia portato, la così definita “verifica” sui tre aspetti nominati. In dettaglio:

Sul fatto che il “premio di maggioranza” – punto centrale della legge, che nei suoi effetti quantitativi è assolutamente equivalente al (giustamente) vituperato Porcellum, assegnando essa a chi vince la maggioranza assoluta di 340 seggi alla Camera – fosse attribuito ad una coalizione oppure ad una singola lista c’è stato, lungo il percorso parlamentare, un confronto sanguinoso: aveva prevalso la posizione di Renzi e dei suoi seguaci, sull’assegnazione dei seggi ad una lista unica senza possibilità di coalizione fra liste diverse (forse perché era ancora fresca l’euforia del 40,8% ottenuto alle elezioni europee del 2014). Dunque, prima domanda: che cosa significa questa “verifica”, e come si è conclusa? Vuol dire che il premio potrà definitivamente essere assegnato ad una coalizione, è stato così deciso oppure no? Nulla, nel documento, autorizza a ritenere che vi sia un accordo acquisito sulla possibilità di coalizione fra liste: chi sostiene il contrario dovrebbe provarlo, ma come?

Idem per la questione “ballottaggio”: Renzi era stato, e lo è stato sempre anche in seguito, irremovibile sul ballottaggio. Le ragioni sono facili da spiegare: c’è la volontà di affermazione personale che è propria del personaggio-Renzi, ma c’è anche dell’altro. Si è poc’anzi richiamato il Porcellum: si ricorderà che esso fu dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale con sentenza n° 1/2014; una delle ragioni fu che esso assegnava la maggioranza assoluta dei seggi – 340, proprio come fa l’Italicum – senza nessuna soglia minima: bastava superare anche di un solo voto qualunque altra lista, ed eventualmente anche con un risultato percentualmente molto basso, per far “scattare” il premio. Ecco la furbizia renziana e dei suoi consiglieri: un po’ per la richiamata euforia indotta dalle elezioni europee ed il 40,8% riportato, un po’ per aggirare la sentenza della Corte, ecco che è stata introdotta la soglia del 40% per l’attribuzione del “premio”, ed il ballottaggio fra le due meglio classificate se nessuna lista raggiunge il 40%: come ha scritto di recente l’autorevole costituzionalista Lorenza Carlassare, «la soglia del 40 per cento prevista dall’Italicum è del tutto fittizia, è apparenza pura, scritta per non mostrare in modo vistoso il contrasto con la sentenza 1/2014. Il 40 per cento in realtà non interessa a nessuno, è un semplice schermo; se non lo si raggiunge, interviene infatti il ballottaggio per il quale nessuna soglia è richiesta. Il trucco è qui, attraverso il ballottaggio il legislatore ha aggirato la sentenza costituzionale: le due liste più votate partecipano qualunque percentuale abbiano ottenuto al primo turno. Così, anche conseguendo un risultato modesto (il 20 per cento o meno) chi vince piglia tutto».

Allora, seconda domanda: sono cambiate le cose, il ballottaggio può essere eliminato? Il prof. Roberto D’Alimonte, “padre” dell’Italicum, ha detto: «L’Italicum è proprio il ballottaggio e senza il ballottaggio non c’è più l’Italicum… Oggi l’Italicum è lo status quo e la sua sorte verrà decisa il 4 dicembre» (Repubblica, 7 novembre, pag. 10), una frase inquietante per il significato che può avere (una possibile interpretazione: se vince il NO, bisognerà per forza fare una nuova legge elettorale, ed allora tutti i giochi dovranno per forza essere riaperti; se vince il SÌ, a risultato acquisito la maggioranza farà come le pare, tanto non c’è nulla di scritto e di chiaro); e Roberto Giachetti ha protestato che «L’eliminazione del ballottaggio è un suicidio». Quindi lo scetticismo sulla sorte della legge non è solo dei suoi oppositori (anche il professor Pasquino, fiero sostenitore del NO, ha detto: «Senza il ballottaggio l’Italicum è castrato»).

E comunque: se, ammettiamo per ipotesi, l’elezione si svolge con un unico turno (come comporterebbe l’eliminazione del ballottaggio), come viene assegnato il “premio di maggioranza” (o “di governabilità” che sia: vedere più avanti)? Ci deve essere una soglia, lo impone la sentenza della Corte (la 1/2014): quale soglia? E se nessuno supera la soglia (il che è praticamente certo, non potendo essere fissata una soglia inferiore al 40%, risultato ad oggi irraggiungibile per qualunque lista o anche coalizione) cosa succede? Non si può lasciare indeterminata una questione come questa, bisogna definire una “clausola di uscita”: quale?

In definitiva, non basta dire che “si è fatta una verifica” senza aggiungere parole chiare, a garanzia di tutti i contraenti del “patto”: allora, di che cosa stiamo veramente parlando?

È poi per la verità un po’ oscura la frase “Modalità di espressione della volontà degli elettori nella scelta degli eletti“: che cosa significa? Un “politichese” impenetrabile ai più: un “accordo” non dovrebbe servirsi di espressioni così fumose, ma cercare di essere comprensibile a tutti. Vedremo se aiuta a capire meglio le cose il punto C.1, più avanti.

Man Ray (da http://barbarainwonderlart.com/wp-content/uploads/2013/05/i-php.jpg)
Man Ray (da http://barbarainwonderlart.com/wp-content/uploads/2013/05/i-php.jpg)

B’) A proposito della “futura elezione dei senatori” per la quale, nel documento Pd, si indica la “proposta di legge a firma Fornaro-Chiti quale riferimento del Pd per il varo della disciplina ordinaria in materia”: questo sembra un dialogo fra sordi; oppure qualcuno non capisce o fa finta di non capire.

Sembra che le cose siano abbastanza chiare: l’art. 57 comma 2 recita, testualmente: «I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori». E allora, poiché la disposizione costituzionale dice che “I Consigli eleggono“, che ha senso del tutto chiaro e non discutibile, per cambiare le condizioni e permettere che i senatori siano “eletti dai cittadini” (come assicurerebbe il “lodo”, secondo i suoi sostenitori) non basta una legge ordinaria ma occorre una legge di revisione costituzionale che modifichi il richiamato art. 57 comma 2, e che deve perciò seguire l’iter previsto dall’art. 138, con i tempi e le incertezze che questo comporta: come fa un “lodo” a dare una assicurazione in tal senso?

C’è una proposta giacente in Parlamento, che viene richiamata nel documento, a firma Fornaro-Chiti, secondo la quale gli elettori riceverebbero, per le votazioni dei Consigli regionali, due schede, in una delle quali verrebbero indicate le preferenze per la eventuale carica senatoriale; i Consigli regionali “pescherebbero” in quelle preferenze espresse dagli elettori per eleggere i senatori, i quali verrebbero così indicati dai cittadini, anche se in modo indiretto. Osservazioni: anzitutto, quella proposta riguarderebbe solo i senatori: e i sindaci? Essi vengono eletti per quella carica comunale, non per fare i senatori: e sono 21 su 95, non pochi; e poi essa è di validità costituzionale tutta da verificare e non certa, e comunque di là da venire (e da approvare, e niente garantisce che tale proposta sarà realmente approvata): al momento, quando si voterà per il Referendum, si sa solo che “i Consigli eleggono”, punto. E se poi quella proposta non venisse approvata? Intanto il Referendum sarà passato (appunto).

Senza poi dire che in quel comma c’è un aspetto anche divertente – se fosse lecito divertirsi in cose così serie – quando indica il “metodo proporzionale“. Occorre osservare che in 10 delle 21 istituzioni (19 Regioni e due Province autonome) a cui compete l’elezione dei neosenatori si deve eleggere un solo consigliere regionale (oltre ad un sindaco, come dovunque): come si fa ad osservare un criterio di “proporzionalità” in questi casi? La matematica non è un’opinione: uno è uno, non c’è proporzionalità possibile.

Ed insomma: anche questo secondo punto non dà alcuna indicazione precisa, ed anzi sembra compiere errori che stupiscono (o meglio, insospettiscono).

Da http://media.artsblog.it/th/2011/2/p6937-620x350.jpg
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C’) Il documento sostiene poi che “si è riaffermato il perno di un sistema elettorale fondato sull’equilibrio tra i due principi della governabilità e della rappresentanza”. Qui siamo proprio in presenza non di “equilibrio”, come il testo recita, ma di “equilibrismi verbali” fra ciò che si dice e quello che non viene detto.

È opportuno rifarsi alla già citata sentenza 1/2014 della Corte: un altro dei motivi di “illegittimità” attribuiti al Porcellum è stato la “abnormità” del premio di maggioranza, che poteva arrivare ad assegnare anche circa il doppio dei seggi derivanti dal risultato elettorale puro (mettiamo il caso di una lista, o coalizione, che al primo turno otteneva il 30% dei consensi: le sarebbe spettato il 30% dei 618 seggi da assegnare in Italia, cioè 185 seggi. Se quella lista, o coalizione che fosse, si posizionava al primo posto – il Porcellum era a turno unico, non c’era ballottaggio – otteneva invece 340 seggi, l’84% in più, quasi il doppio). Questo effetto risultava chiaramente “distorsivo” della volontà espressa dagli elettori con il voto, e quindi dei concetti stessi di rappresentanza e di eguaglianza (art. 48 della Costituzione: “Il voto è personale ed eguale…”), e perciò la Corte lo ha sentenziato. È per questo che una parte della sinistra Pd ha parlato di un premio “di governabilità”, tale cioè – sembra di capire – da non assicurare di per sé la maggioranza assoluta ma di “aiutare“, in limiti contenuti, la lista/coalizione vincente (ammesso che la possibilità di coalizione, esclusa prima, rientri poi) a raggiungere la maggioranza che dà la possibilità di governare (perciò “di governabilità”).

È di questo che si tratta? È questo che si intende con il punto C.2, che richiama il “superamento del ballottaggio” senza però dare alcuna indicazione sulle modalità sostitutive? È un interrogativo non da poco. Perché, ragioniamo: se non c’è il ballottaggio ed il turno diventa unico, dovendosi fissare una soglia di attribuzione (in ottemperanza alla sentenza 1/2014 della Corte) e trattandosi di un “premio” di entità non tale da garantire il raggiungimento della maggioranza assoluta, si apre la porta a possibili necessità di negoziazioni politiche, per raggiungere la maggioranza (numerica, oltre che politica); ci troveremmo quindi di fronte ad una quasi “rivoluzione anti-renziana”, nel senso di condizioni assolutamente contrarie a quanto da lui sempre propugnato – la necessità di sapere da subito e con certezza chi ha vinto e può governare: le negoziazioni, invece, richiedono tempo e sono incerte – e che d’altronde finora non ha mai né smentito né corretto. Dov’è scritto che le cose stiano veramente così?

C.1′) La frase “preferenza per un sistema di collegi inteso come il più adatto a ricostruire un rapporto di conoscenza e fiducia tra eletti ed elettori”, insieme a quell’altra, già richiamata e di senso oscuro, “Modalità di espressione della volontà degli elettori nella scelta degli eletti” (A.3) ha fatto sostenere a qualcuno (anche fra i dirigenti del Pd, forse un po’ avventatamente) che verrebbero introdotti i collegi uninominali. Sarebbe un’ottima cosa, ma c’è un problema: i collegi uninominali (che sono quelli nei quali si elegge uno solo dei candidati) non sono compatibili (tecnicamente e matematicamente, oltre che concettualmente) con alcun tipo di premio (sia esso “di maggioranza“, come detto finora, oppure “di governabilità“, come recita il documento); essi sono caratteristici dei sistemi elettorali maggioritari che forniscono tutti gli eletti, nel numero richiesto, e non possono perciò subire “incrementi da premio”. E allora? Di quale sistema elettorale stiamo parlando? Di un nuovo sistema elettorale, di tipo maggioritario? È francamente difficile credere che di questo si possa trattare, perché significherebbe mettere a zero tre anni di “renzismo elettorale”. Oppure il senso non è questo, ma allude – per esempio – all’abolizione dei capilista bloccati e/o delle candidature plurime (vale a dire che un capolista può presentarsi in più collegi, fino a 10)? O quale altro?

Insomma, nessuno può dire che questa oscurità, questa ambiguità, possa essere soddisfacente: si esca dal vago e dal “politichese”, e si dica cosa realmente c’è nella pentola.

In conclusione: bisogna fornire risposte chiare a tutte le domande logiche poste, invece di proclamare che sia stato ormai raggiunto un “accordo per la modifica dell’Italicum“. C’è una cosa che si chiama “onere della prova”: vale a dire che sta a chi ne sostiene la validità dimostrare la fondatezza dell’accordo, e per farlo bisogna dare risposte esaurienti a tutte le molte questioni oscure che sono state elencate. A tutt’oggi nessuno lo ha fatto: ma, per la verità, quelle questioni aprono interrogativi talmente importanti che nessuno potrebbe farlo, perché si tratta, in definitiva, di definire – e garantirne l’approvazione – un nuovo sistema elettorale, ciò che, ragionevolmente, non può essere fatto da una Commissione di cinque persone che “ha tenuto tre riunioni”, come si legge nel documento.

Per tutte le “solide” e decisive ragioni elencate ha ragione – fino a prova contraria – chi sostiene che quella paginetta di documento non vale nulla. L’unico modo certo per cambiare l’Italicum è quindi quello di votare NO, perché se il 4 dicembre verrà bocciata la riforma costituzionale sarà obbligatorio definire ed approvare una nuova e diversa legge elettorale. Un’ottima ragione perciò, insieme a molte altre, per votare NO.

Franco Bianco – Ricercatore in scienze economiche e sociali