Luis Sepùlveda

Ciao Luis. Tu forse non ci conosci. Ma noi conosciamo te. È il destino degli scrittori. E dei lettori. I lettori conoscono gli scrittori. Gli scrittori immaginano i lettori. Quindi forse tu hai immaginato le centinaia di migliaia di persone rapite dalle tue storie. Noi invece ti abbiamo conosciuto, abbagliati dai sentimenti, stupiti dall’ironia, conquistati dal sorriso, sopraffatti dall’incantamento, incarnati nella narrazione.

Ma cosa ti è saltato in mente di andartene così, senza neppure salutarci, in un giorno di aprile quando tutto sboccia? Ti dirò la verità: ci siamo rimasti male, al punto che centinaia di pagine facebook erano tutte un pullulare di citazioni, ricordi, emozioni gettate sulla tastiera.

Eri diventato – ammettiamolo – parte di tante biografie. Si dice: rimane l’opera, non necessariamente l’autore. Può darsi. Ma tu eri un caso particolare, originale anche in questo. Perché hai vissuto gli anni di tanti di noi come tanti di noi hanno vissuto i tuoi, perché stavi dalla parte di una scomoda felicità, con noi, dentro di noi, prima, durante e dopo.

11 settembre 1973, Santiago del Cile. Il bombardamento del palazzo della Moneda, dove si trovava il presidente Allende. Il colpo di stato militare porta al potere Pinochet (da http://contents.internazionale.it/wp-content/flagallery/golpe-cileno-73/rtx4mdx.jpg)

Prima: quando eri uno del Grupo Amigos Personales del Presidente Allende. Curiosa assonanza dell’acronimo GAP. Come quelli di Ilio Barontini, Giovanni Pesce, Giorgio Amendola, Rosario Bentivegna, Carla Capponi, e tanti altri e tante altre.

Durante: quando, compiuto il colpo di Stato e massacrati i tuoi compagni e il Presidente, fosti condannato all’ergastolo e poi, per pressioni internazionali, liberato con otto anni di carcere nella carne e nella memoria.

Dopo: in Svezia, Uruguay, Brasile, Paraguay, Equador, Nicaragua, e infine in Europa. E questo pellegrino che sei stato ha attraversato un mondo, come canta Mercedes Sosa, in cui “todo cambia”, “cambia la pianta e si veste di verde in primavera”, “cambia il manto della fiera, cambiano i capelli dell’anziano”, ma – eccoti nel tuo cammino – “non cambierà il mio amore per quanto lontano mi trovi, né il ricordo né il dolore della mia terra e della mia gente”.

Foto Imagoeconomica

 

Tu, che hai dedicato “L’avventurosa storia dell’uzbeko muto” alle tue compagne e compagni della gioventù comunista cilena e della gioventù socialista cilena “perché insieme abbiamo condiviso il bel sogno di essere giovani senza chiedere il permesso”. Tu, che hai composto “L’ombra di quel che eravamo” donandola “ai miei compagni ed alle mie compagne che caddero ma poi si rialzarono, curarono ferite e difesero risate salvando l’allegria e riprendendo la strada”.

Eccoti ancora, col sorriso per salvarti e salvarci, percorrere la salita della vita dopo lo schianto delle torture e l’ignominia dei carnefici, uomo nell’umanità, perché “non esistono i coraggiosi, solo persone che accettano di andare a braccetto con la loro paura”.

Tu, che ci hai insegnato a volare perché hai osato farlo, Luis-Zorba, l’uomo-gatto.

Tu, che hai raccontato le storie dei tuoi compagni partigiani contro i fascisti di Pinochet, e degli arrestati che “sopportarono gli interrogatori più disumani e degradanti, ma nessuno parlò, consegnò o tradì chi ancora resisteva”.

Tu, che di recente hai affermato che “l’unica cosa nera dei libri deve essere l’inchiostro” e che “il fascismo italiano è il più pericoloso d’Europa”.

Tu, compagno Luis.  Ma cosa ti è saltato in mente di andartene così, senza neppure salutarci, in un giorno di aprile quando tutto sboccia?